In occasione della prima Giornata nazionale contro lo spreco alimentare ripubblichiamo la nostra intervista al coordinatore Andrea Segrè

Spreco alimentare, Segrè a greenreport.it: «Oltre 8 miliardi buttati, ma qualcosa sta cambiando»

All’aumentare della spesa aumenta lo spreco, fino al limite di saturazione. I giovani rimangono i più spreconi, al contrario degli anziani

[5 Febbraio 2014]

Lo spreco alimentare è odioso di per sé. Peggio ancora è venire a sapere che, nonostante la crisi, nella “spazzatura” gettiamo in questo modo 8,7 miliardi di euro all’anno (come due manovre sull’Imu). Come? Ogni settimana via nel secchio 213 grammi di cibo, soprattutto perché si è ammuffito, pari in media 7,06 euro a famiglia. Attenzione, non sono numeri duri. Si tratta del risultato di un sondaggio fornito oggi dal Rapporto 2013 sullo spreco domestico realizzato da Knowledge for EXPO, il nuovo Osservatorio di SWG e Last Minute Market, con l’apporto dell’Osservatorio nazionale sugli sprechi Waste Watcher. «E’ un progetto pilota – spiega a greenreport.it il presidente di Last Minute Market Andrea Segrè – sono state intervistate 2000 persone e sulla base delle loro risposte è stato fatto il report. Non si poteva fare altrimenti. Quindi è una percezione, ma significativa».

Non c’è quindi un trend, non si riesce a sapere insomma in che direzione stiamo andando rispetto al passato?

«No, non c’è alcun record storico. Va detto che calcolare lo spreco non è assolutamente facile. Sprechi e rifiuti, infatti, non sono la stessa cosa. Il rifiuto è il barattolino dello yogurt che ho appena mangiato, lo spreco è l’intero barattolo gettato senza nemmeno averlo aperto. Detto questo, contrariamente a quello che si possa pensare vedendo questi numeri strabilianti, è che, per noi abituati a guardare nei cassonetti dell’immondizia, oggi l’attenzione allo spreco alimentare è molto più alta rispetto al passato. Infatti, il 90% degli italiani considera molto o abbastanza grave lo spreco alimentare, il 78% si dichiara preoccupato da questo problema, e l’89% degli italiani vorrebbe ricevere maggiore informazione sulle conseguenze dello spreco e sui sistemi utili a ridurlo».

Dunque si spreca forse meno per via della crisi, ma comunque a ritmi ancora inaccettabili. Che fare per contrastare questo fenomeno?

«Quello che propongono gli intervistati per contrastare lo spreco è anche la nostra posizione. In generale, chiedono una maggiore informazione su questo tema, in particolare sui danni all’ambiente e sull’impatto negativo dello spreco per l’economia nazionale. Per noi è quindi fondamentale investire sull’istruzione nelle scuole. I più ignoranti in materia e i più spreconi sono infatti i giovani fino a 24 anni. Loro non danno alcun valore al cibo, questo è grave. Più si è adulti e più invece si fa attenzione».

In particolare lo spreco riguarda frutta e verdura.

«Sì, anche perché sono i prodotti che si deteriorano più facilmente. La cosa infastidisce perché dovremo mangiare tutti più frutta e verdura per una questione di salute, invece ne mangiamo troppo poca e ne buttiamo tantissima».

Il questionario proponeva 14 diverse possibili cause dello spreco di cibo e ciascun rispondente poteva segnalarne anche più di una. A partire dalle combinazioni delle possibili cause dello spreco, così come sono state generate dall’insieme dei rispondenti, è stato possibile individuare 9 tipologie “naturali”, 9 spreco-tipi risultanti da un algoritmo di clustering, in cui sono raggruppati gli individui che hanno indicato la stessa combinazione di possibili cause.

In linea con il trend generale del Rapporto, risulta significativo che il 35% appartenga alla categoria meno sprecona, il “sensoriale che getta solo se costretto”. Questo spreco-tipo di italiani getta in media “solo” 4,81 euro settimanali per nucleo familiare, e ritiene che “la quantità di cibo giornalmente buttato rappresenti per il pianeta un problema molto grave”. Questi italiani gettano via solo “se costretti” da una oggettiva non fruibilità dei cibi in questione. Non si tratta dunque di italiani che cucinano troppo (sono molto decisi nel dire no a tale possibile causa), né imputano alla grandezza delle confezioni lo spreco da loro generato.

Altri tre spreco-tipi si collocano al di sotto della media dei 7,06 euro di costo-spreco settimanale per famiglia. C’e’ innanzitutto “l’ignaro un po’ marginale” (6,01%). È un gruppo di italiani che non conosce le cause dello spreco, probabilmente vive in una condizione piuttosto marginale. È uno spreco-tipo che non sa rispondere a buona parte dell’indagine SWG sugli orientamenti ed è emblematica l’assenza sostanziale di opinioni. Il titolo di studio più diffuso in questo gruppo è la media inferiore, gli intervistati dichiarano di ignorare la differenza tra la data di scadenza di un cibo e la dicitura ‘…da consumarsi preferibilmente entro..’, e di essere disinteressati alle discussioni politiche. L’età è leggermente più anziana ma non sembra una chiara determinante della tipologia. E ci sono poi il “nostalgico autoisolato, arreso ma senza cause precise” (5,21%) e il “cliente della spesa grande, ma tifoso del fresh” (15,22%): due spreco-tipi che gettano settimanalmente 5,06 euro e 6,97 euro per nucleo familiare.

Al di sopra della media dei 7,06 euro di costo-spreco settimanale per famiglia si collocano 5 spreco-tipi: il “fanatico del cotto e mangiato”, il “cuoco esagerato”, “l’illuso del packaging”, “lo sperimentatore deluso” e “l’accumulatore ossessionato”. Si tratta di gruppi di italiani caratterizzati comunque un valore dello spreco che tocca punte di quasi 13 euro alla settimana (è il caso di dell’Accumulatore Ossessionato). Se ai 5 Spreco-tipi del box sopra si aggiunge la tipologia precedente “dei tifosi del fresh”, con uno spreco medio simile a quello globale, si raggiunge una percentuale della popolazione italiana ragguardevole, ossia il 54% circa. Si tratta di italiani che in generale mostrano un tenore di vita medio-alto, con declinazioni del tempo, dello stile di vita, delle propensioni valoriali differenti, ma che denotano un livello di capacità di reazione importante a eventuali azioni politiche di supporto alla riduzione degli sprechi.

Tecnologia della conservazione, consigli per approvvigionamento e consumo migliore, packaging intelligente, possono sicuramente muovere l’attenzione di questi segmenti poiché quelli più marginali della popolazione, come visto, sono già a livelli minimi di spreco.

Ma qui emerge la contraddizione di fondo: più elevata è la partecipazione a modalità attive e moderne di vita sociale e maggiore sembra “il rischio” di generare spreco. La relazione tra spreco medio e spesa media è infatti positiva: all’aumentare della spesa aumenta la quantità di spreco generato.

Stessa cosa accade per il numero di componenti della famiglia, con un’intensità della relazione però più bassa. Fa aumentare lo spreco anche l’aumentare della quota degli acquisti di cibo pronto, consumato al bar e al ristorante. La relazione è negativa invece con l’età: più si invecchia meno si spreca. La relazione tra lo spreco pro-capite e la spesa per consumi (entrambe settimanali) rileva che a livelli di spesa pari a 100 euro corrisponde uno spreco pro-capite di poco più di 1,5 euro.

All’aumentare della spesa, aumenta lo spreco pro-capite, con un’elasticità via via crescente fino ad arrivare ad un punto di “saturazione”, corrispondente circa ai 350 euro di spesa media settimanale; oltre tale soglia lo spreco diventa costante e indipendente dall’incremento della spesa, ovvero verosimilmente del reddito. Ne deriva che una politica di redistribuzione del reddito potrebbe sostenere la riduzione dello spreco tra le fasce più abbienti, ma allo stesso tempo favorirne l’aumento tra le classi più povere che, con una maggiore disponibilità di reddito, potrebbero iniziare a “sprecare”, forse in quantità ridotte perché coscienti, attenti e praticanti da sempre la non-generazione dello spreco. Insomma, per dirla con uno slogan, nessun pasto è gratis, meno che mai quando si parla proprio di cibo!