Pubblicato il primo rapporto del Comitato di gestione degli Pfu

Che fine fanno in Italia gli pneumatici fuori uso

Il 100% di quelli raccolti viene destinato a recupero di materia. Che non sempre viene poi ricomprata

[17 Febbraio 2015]

Il primo report sulle attività del Comitato di gestione degli pneumatici fuori uso (Pfu), presentato oggi, porta per una volta in dote alcuni numeri che inducono a un moderato ottimismo. Nell’anno appena trascorso sono state 19.453 le tonnellate di Pfu raccolte in Italia (+15,9% rispetto al 2013), smontati da veicoli giunti a fine vita: in totale le operazioni di ritiro, effettuate nei 1.365 autodemolitori dai 29 operatori abilitati, sono state 3.231 (+19%).

Una crescita importante che, secondo il Comitato previsto dal ministero dell’Ambiente con decreto ministeriale 82/2011 (lo stesso che a oggi regolamenta la gestione degli pneumatici fuori uso in Italia), dimostra «le sempre maggiori capillarità ed efficienza del servizio garantito dai vari soggetti della filiera su tutto il territorio nazionale».

Sembra così si stiano allontanando a grandi passi i tempi di Copertone selvaggio, i dossier elaborati in tandem da Legambiente e Ecopneus per indagare sulla destinazione dei pneumatici fuori uso (Pfu): solo nel 2010 erano 100mila le tonnellate disperse nell’ambiente a detrimento della salute dei cittadini – i roghi di pneumatici sono dopotutto uno dei primi simboli della Terra dei Fuochi – e dell’imprenditoria sana di settore. «Ogni anno spariscono nel nulla – annotavano allora gli ambientalisti – circa 1/4 degli pneumatici immessi in commercio nello stesso arco di tempo».

Anche se rimane molto da fare, come dimostrano i dati messi in fila oggi dal Comitato di gestione degli pneumatici fuori uso, dal 2010 a oggi sono stati conseguiti importanti progressi nel settore, e questo in gran parte per merito non di inasprimenti penali (sempre invocato, anche a ragione, quando si parla d’ambiente), ma grazie a una normativa chiara e al costruttivo coinvolgimento di tutti gli attori che ruotano attorno alla filiera degli pneumatici: la associazioni dei produttori-importatori-rivenditori dei veicoli, motoveicoli e macchine movimento terra, quelle dei produttori-importatori degli pneumatici, le associazioni dei demolitori di veicoli, il Consiglio nazionale dei consumatori infine l’Automobile club d’Italia. Il tutto con la regia del ministero dell’Ambiente.

«Il corretto recupero riduce di fatto a zero la possibilità di smaltimenti illegali – rimarca infatti il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti – che negli anni passati hanno disseminato il nostro paese di discariche abusive di pneumatici. Questo dimostra come attraverso i corretti stimoli, anche normativi, la green economy italiana sia capace di costruire sistemi complessi e capillari, riunendo operatori privati, strutture pubbliche e rappresentanti di cittadini e consumatori e garantendo all’intero Paese un’ulteriore passo avanti verso la sostenibilità»

Un modus operandi che, nel caso degli pneumatici usati, ha portato a una gestione bilanciata tra obiettivi economici e ambientali. «Oggi nel nostro Paese per ogni pneumatico che viene immesso su strada su un veicolo nuovo ne viene recuperato uno giunto a fine vita», sottolinea Galletti, grazie anche al versamento di un contributo ambientale – attualmente pari a 3,95 euro in media, per ogni auto nuova – versato dagli acquirenti.

Con scelta lungimirante il Comitato ha deciso di «avviare il 100% degli pneumatici fuori uso al recupero di materia, eliminando del tutto opzioni meno sostenibili dal punto di vista ambientale come l’utilizzo come combustibile per cementifici o la termovalorizzazione». Un capillare sistema informatico è quindi in grado di tracciare l’intera filiera, che consente di produrre materie prime seconde ed evitare così il consumo di materie prime non rinnovabili (nonché l’immissione di gas serra in atmosfera pari a 39.000 tonnellate di CO2 equivalenti nel 2014), il principale componente riciclato dagli Pfu «è la gomma – dettagliano dal Comitato –, pari a circa il 70% in peso. Il 20% è invece rappresentato da metalli ferrosi, principalmente acciaio e il restante 10% da fibre tessili».

Arrivati a questo punto, il cerchio però non si chiude completamente, minando il resto della catena: «In Italia il mercato delle materie prime seconde derivanti da Pfu stenta ancora a decollare – nota in fondo al report il Comitato – a causa di un’insufficiente capacità produttiva di manufatti e soprattutto per lo scarso impiego del polverino negli asfalti. All’estero quest’ultimo impiego è sempre più diffuso grazie anche a politiche di “green procurement” più efficaci di quella italiana». Quella degli pneumatici fuori uso potrebbe dunque essere la storia di un successo a tutto tondo, non fosse per lo strabismo tipicamente italiano che, nella gestione dei rifiuti prima e nel loro riciclo poi, non si sa perché finisce sempre per non occuparsi di dove i materiali riciclati andranno a finire: se non è nel mercato, con relativa e giusta valorizzazione economica, il castello di carte costruito a monte non potrà che rimanere una cattedrale nel deserto.