Coronavirus e crisi climatica: la quiete prima della tempesta?

All’emergenza sanitaria in corso è legato un rallentamento delle emissioni solo temporaneo, cui potrebbe poi seguire un picco non appena le attività economiche torneranno a regime: per evitarlo dobbiamo agire ora

[30 Marzo 2020]

L’Italia e l’intera Europa sono ancora lontane dalla fine dell’emergenza sanitaria Covid-19, ma a questa se sta già affiancando un’altra di stampo economico che richiede sia sforzi nell’immediato per contrastare la nuova ondata di povertà legata all’epidemia da coronavirus, sia progettualità e risorse in grado di impostare un nuovo modello di sviluppo che sia sostenibile – perché quello che ci ha condotto verso l’ennesima emergenza evidentemente non lo è.

Non basterà la temporanea limitazione a spostamenti e attività produttive per cancellare la crisi climatica che, non dimentichiamo, sta proseguendo la sua corsa: le misure messe in atto per il contenimento dell’epidemia stanno (momentaneamente) frenando le concentrazioni di inquinanti in atmosfera, ma per quanto riguarda invece i cambiamenti climatici l’impatto si stima sarà irrisorio. Anzi, se il rimbalzo economico dopo l’emergenza sanitaria sarà solido, le sorprese per il clima potrebbero essere amare.

Come ricorda infatti Enrica de Cian, direttrice del master di ricerca in Science and management of climate change dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, a causa della crisi economica del 2009 «le emissioni globali calarono di 460 milioni di tonnellate di CO2 in un anno. Poi nel 2010 abbiamo registrato un aumento di un miliardo di tonnellate». Secondo Faith Birol, direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) potrebbe accadere anche stavolta: «È molto importante capire che con ogni probabilità si tratta solo di un rallentamento di breve periodo, a cui potrebbe facilmente fare seguito una ripresa della crescita delle emissioni non appena le attività economiche torneranno a regime».

Per questo la Iea, come sottolinea anche la Fondazione per lo sviluppo sostenibile, ritiene che sia necessario mettere le energie pulite, e più in generale criteri compatibili con il clima, al centro dei pacchetti di stimolo economico allo studio contro la crisi da coronavirus: «Si deve dunque impedire – spiegano dalla Fondazione – che i già gravi impatti della attuale pandemia inneschino danni ancor più ingenti e con impatti ancor più imprevedibili, causati da una ripresa economica whatever it takes e dalla conseguente crescita incontrollata delle emissioni».

Nel 2009, per uscire dalla crisi la Cina investì 220 miliardi di dollari in green economy, gli Usa 100, l’Europa 24. Se la lezione è stata imparata, stavolta occorre saper osare di più. Gli strumenti disponibili sono molti, e la Iea ne indica uno in particolare: tagliare i sussidi ai combustibili fossili, che valgono circa 400 miliardi di dollari annui a livello globale. I bassi prezzi a cui sono precipitati materie prime come il petrolio a causa della crisi da coronavirus offrono un momento d’oro per farlo: solo guardando all’Italia sono in ballo almeno 16 miliardi di dollari l’anno, che potrebbero essere impiegati in modo assai più proficuo.

L. A.