Food e cibo sono tra le parole più ricercate su Internet, ma a pochi interessa la sostenibilità alimentare

La sostenibilità inizia da come mangiamo e come beviamo. Cibo e migrazioni

[22 Febbraio 2019]

Il cibo spunta dappertutto, specialmente in televisione e su internet e che gli italiani amino il cibo lo sanno bene anche esponenti politici che sembrano diventati pubblicità ambulanti di piatti e prodotti. Di cibo ne parliamo, lo fotografiamo, lo postiamo sui social network, secondo la  Ricerca Squadrati  “Italiani che parlano di cibo: un dibattito infinito”, «Il 51% dei nostri connazionali discute di cibo tutti i giorni (percentuale che sale al 58% fra i giovani tra i 18 e i 34 anni)». E da Google Trends risulta che sono proprio “Cibo” e “Food” alcune delle parole più ricercate su Internet.  Il Rapporto sul consumo di informazione di Agcom conferma che «Il cibo è anche al centro delle nostre foto: l’hashtag #food raccoglie oltre 321 milioni di post a livello mondiale su Instagram». Dati importanti se si pensa che 1 italiano su 2 si informa proprio sul web (il 55% della popolazione usa motori di ricerca e social media per farlo).

Ma  la Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (Bcfn) fa notare che «Eppure, soprattutto online, si parla di cibo solo – o quasi – in relazione al gusto, mentre l’appeal scende quando si tratta di parlare del modo in cui lo produciamo. Perché se parliamo di cibo non si può trascurare l’impatto ambientale che genera la sua produzione. Nonostante questo, l’analisi delle ricerche online degli italiani mostra come – tra le keyword associate a “sostenibilità” – l’aggettivo “alimentare” sia tra i meno ricercati. Meno, ad esempio, della “sostenibilità economica”».

Proprio per stimolare il dibattito sulla sostenibilità, Bcnf e i suoi partner parteciperanno alla quarta edizione del Festival del Giornalismo Alimentare di Torino, «per sottolineare come mai in questo momento sia necessario ripensare il nostro modo di produrre, distribuire e consumare il cibo e anche per incoraggiare i media a raccontare il cibo al di là del semplice gusto e a mettere in evidenza i paradossi del nostro sistema alimentare proponendo soluzioni concrete per superarli».

Alla Bcfn sottolineano che «Trasporti, riscaldamento degli edifici e utilizzo di energia elettrica hanno avuto un grande impatto sull’ambiente, contribuendo ai cambiamenti climatici che oggi vediamo. Eppure, l’impatto maggiore sull’ambiente deriva da quello che mettiamo nel piatto: la produzione di cibo causa il 24% delle emissioni di gas serra globali, più di industria (21%) e trasporti (14%). Ecco perché parlare di cibo in chiave sostenibilità diventa fondamentale». Di questo se ne discute oggi, dalle 17:10 alle 18:00,  al Festival del Giornalismo Alimentare nel corso panel La sostenibilità inizia da come mangiamo e come beviamo”, durante il quale Alessandro Galli di Global footprint network dimostra perché il nostro stile di vita è sbilanciato e la nostra impronta ecologica troppo alta: «L’assunto è che mangiamo troppo, usando troppe risorse della Terra e anticipando così ogni anno l’Overshoot Day, giorno a partire dal quale esauriamo le risorse disponibili della Terra.  Una giornata che, in poco meno di 50 anni, è passata dal ricorrere il 29 dicembre, nel 1970, al cadere il 1° agosto nel 2018. In pratica sono stati “persi” circa 30 giorni di autosufficienza del Pianeta ogni 10 anni ed oggi, per sostentarci, usiamo l’equivalente di 1,7 pianeti. Invertire questo trend è possibile: se sostituissimo il nostro consumo di carne con alimenti di origine vegetale e se riducessimo i nostri sprechi alimentari del 50%, potremmo far slittare la data di 38 giorni. E c’è di più, riducendo del 50% la componente di carbonio nella nostra impronta ecologica, a livello mondiale, sposteremmo la data in avanti di ben 93 giorni».

Simona Castaldi, dell’università degli studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e  Research Manager del progetto europeo Su-Eatable Life racconterà questa iniziativa finanziata dalla Commissione Ue, il cui obiettivo è quello di «dimostrare che è possibile ridurre le emissioni di CO2 e l’impronta idrica relativa al consumo di cibo, per cercare di aumentare la consapevolezza e il coinvolgimento dei cittadini sullo stretto legame tra cibo, salute dell’uomo e quella del Pianeta».

Su Eatable Life punta a dimostrare, attraverso una serie di esperimenti svolti in università e mense aziendali e l’implementazione di un sistema informativo digitale facile e di pronto utilizzo, che «E’ possibile coinvolgere i cittadini dell’Ue a modificare le proprie diete, per apportare vantaggi all’ambiente e alla nostra salute». Nella prima fase, Su-Eatable life coinvolgerà 5.000 cittadini Ue in mense universitarie e mense aziendali, e attraverso piatti “sostenibili” aiuterà a risparmiare circa 5.300 tonnellate di CO2 e 2 milioni di metri cubi di acqua.

Come argomenta l’associazione di cooperazione internazionale LVIA citando un detto arabo che recita “Non conosci realmente qualcuno finché non ci mangi insieme”, il cibo «con un linguaggio universale può mettere “allo stesso tavolo” persone diverse». E l’inclusione attraverso il cibo sarà  uno degli argomenti principale del panel “Cibo e migrazioni. I migranti scappano per il cibo e con il cibo possono avvicinarsi alle nuove culture che li accolgono” del quale parleranno oggi pomeriggio a Torino  diversi esperti, come il direttore di LVIA Italo Rizzi, il presidente di Macrogeo Lucio Caracciolo e Abderrahmane Amajou per Slow Food, affondando anche la correlazione esistente tra cambiamenti climatici e flussi migratori.

Bcfn conclude ricordando che «nel mondo, infatti, oltre 257 milioni di persone si spostano ogni anno, all’interno della propria nazione o al di fuori e a guidare le migrazioni sono soprattutto motivazioni legate all’insicurezza alimentare (ogni punto percentuale di aumento dell’insicurezza alimentare porta l’1,9% della popolazione a spostarsi, mentre lo 0,4% fugge per ogni anno aggiuntivo di guerra)».