Il “Green new deal” spiegato dal ministero dell’Ambiente

Spostare i 16,8 miliardi di euro l’anno destinati oggi a sussidiare i combustibili fossili permetterebbe una crescita del Pil italiano fino al +1,60%, 16 volte tanto quella stimata dalla Commissione Ue per il nostro Paese nell’anno in corso

La seconda edizione del Catalogo dei sussidi ambientalmente dannosi e dei sussidi ambientalmente favorevoli è arrivata con più di un anno di ritardo, ma l’attesa non ha portato buone notizie: secondo le stime elaborate dal ministero dell’Ambiente lo Stato spende in un solo anno 19,3 miliardi di euro in sussidi ambientalmente dannosi (Sad) – di cui 16,8 miliardi di euro individuati come sussidi ai combustibili fossili – a fronte dei 15,2 miliardi di euro dedicati ai sussidi ambientalmente favorevoli (Saf).

Significa che, al di là di tutta la retorica sullo sviluppo sostenibile, i soldi continuano ad andare in direzione ostinatamente contraria: l’Italia spende 4,1 miliardi di euro in più all’anno per sostenere attività dannose per l’ambiente di quanto non stanzi in sussidi volti a ridurre l’impatto ambientale della nostra economia.

Non solo, si tratta di un quadro in peggioramento. I numeri appena riportati appartengono all’edizione 2018 (con dati 2017) del Catalogo, quando quella precedente mostrava un divario più contenuto: l’edizione 2017 (con dati 2016) documentava infatti spese italiane in misure dannose per l’ambiente pari a 16,16 miliardi di euro, comunque superiori a quelle per interventi ambientalmente favorevoli (15,67 miliardi di euro/anno). A completare il puzzle manca l’ultimo report, ovvero la terza edizione del Catalogo, con dati 2018: come stabilito per legge dall’art. 68, L. n. 221/2015 avrebbe dovuto arrivare entro il 30 giugno scorso, ma non c’è n’è ancora traccia.

«Seppur con molto ritardo, abbiamo finalmente a disposizione il secondo Catalogo preparato dal ministero dell’Ambiente – commenta il vicepresidente di Kyoto Club, Francesco Ferrante – L’ordine di grandezza della quantità dei sussidi ambientalmente dannosi e in particolare di quelli destinati a sostenere i fossili era peraltro già nota e non c’è stata alcuna sorpresa Ora però davvero non ci sono più scuse: è venuto il momento delle scelte politiche. Si sa tutto, si tratta di muoversi con decisione e fermezza verso un’economia low carbon, che seppur con la gradualità e l’attenzione necessaria alle sue implicazioni sociali, preveda la riduzione e infine l’eliminazione di tutti questi sussidi in modo da liberare risorse per detassare il lavoro e le imprese e sostenere davvero un’economia innovativa, circolare e densa di futuro».

A guadagnarci sarebbe non solo l’ambiente e dunque la nostra vivibilità, ma l’intero sistema economico del Paese. A certificarlo è un’analisi elaborata dal ministero dell’Ambiente all’interno del Catalogo, in cui si esamina cosa succederebbe se decidessimo di indirizzare ad altro i 16,8 miliardi di euro l’anno destinati a sussidiare i combustibili fossili. Sono tre le alternative prese a riferimento nello studio del ministero: nello scenario A la rimozione delle sovvenzioni comporta solo una riduzione della spesa pubblica; nello scenario B le entrate derivanti dalla rimozione sono ripartite per aumentare gli attuali risparmi di bilancio, sovvenzionare le fonti rinnovabili e migliorare l’efficienza energetica del settore industriale; nello scenario C i proventi sono invece destinati a ridurre il cosiddetto cuneo fiscale del lavoro “qualificato”.

«In tutti gli scenari – spiega il ministero dell’Ambiente – le emissioni si riducono in modo significativo a causa della riduzione (scenario A) o ristrutturazione (scenari B e C) della spesa pubblica. Per quanto riguarda gli effetti sul Pil, i risultati differiscono tra gli scenari. Nel primo scenario A, osserviamo una riduzione del Pil bassa ma significativa di -0,58% mentre negli scenari B e C dove i risparmi di bilancio sono riciclati per favorire i risultati dell’attività economica si registra un aumento del Pil dello 0,82% e 1,60% rispettivamente. Tra i settori, l’offerta di energia e i settori dei trasporti mostrano le maggiori riduzioni della produzione. Al contrario, il settore delle energie rinnovabili aumenta significativamente in tutti e tre gli scenari: rispettivamente dell’1,1%, del 22,9% e dello 0,3%. I settori dei servizi e dell’industria aumentano lievemente solo negli scenari B e C rispettivamente dello 0,6% e 1,2% e dello 0,7% e del 2,2%. Per gli stessi scenari, i risultati mostrano anche un impatto positivo sull’occupazione che aumenta del 2,3% e del 4,2%».

In altre parole, secondo le stime dello stesso Governo togliere i sussidi attualmente destinati ai combustibili fossili permetterebbe al Paese di guadagnarci sotto il profilo ambientale, quello sociale e quello economico. In tutti e tre gli scenari sarebbe possibile ridurre in modo significativo le emissioni di gas serra (del -2,13% nello scenario A, del -2,68% nel B, del -0,88% nel C), permettere una crescita del Pil fino al +1,60% – ovvero quasi il doppio di quella effettivamente conseguita dall’Italia nel 2018, e 16 volte tanto quella stimata dalla Commissione Ue per il nostro Paese nell’anno in corso (+0,1%) – e di spingere l’occupazione fino al +4,2%. Peccato che finora il Governo non abbia ascoltato neanche se stesso: di tutto questo non c’è traccia nelle politiche portate avanti negli ultimi 14 mesi dalla maggioranza di governo giallo-verde.

Quest’articolo è stato pubblicato oggi (con il titolo Il Belpaese incentiva le fonti fossili) anche da “il manifesto”, con cui greenreport ha attiva una collaborazione editoriale