[02/10/2009] News

Legge Usa sul global warming, gli spazi bianchi dei senatori democratici. Ma l’Epa e la Nike…

LIVORNO. I senatori democratici Usa hanno trovato l'accordo sulla legge sul cambiamento climatico, ma il difficile viene proprio ora: si tratta di convincere qualche repubblicano "centrista" ed il gruppetto d recalcitranti democratici "moderati" (chissà poi perché si chiama moderato chi non vuol ammettere che gli Usa devono fare la loro parte per combattere il global warming...)  ad unirsi alle proposte di tagli di gas serra voluti da Barack Obama, per arrivare ai 60 voti necessari per far passare il pacchetto del Climate Bill.

L'ex candidato alla presidenza usa John Kerry, che ha stilato le proposte dei democratici sul climate change  insieme alla senatrice Barbara Boxer, ha confermato che sono in corso tutti i tentativi utili a convincere gli indecisi e secondo la Reuters «È probabile che ci si concentri su democratici moderati Evan Bayh dell'Indiana e centristi repubblicano come Olympia Snowe del Maine». Una pressione discreta ma molto insistita confermata da Kerry: «Dobbiamo mettere le persone intorno ad un tavolo. Questo è il punto di partenza... l'apertura del processo negoziale».

Per rendere possibile l'operazione di convincimento Kerry e Boxer hanno fatto una cosa che potrebbe rivelarsi rischiosa: il documento di 800 pagine approvato dai democratici è pieno di spazi bianchi e per non urtare le lobby industriali americane la riduzione delle emissioni di gas serra delle grandi imprese sarà probabilmente tenuta sotto il  20% entro il 2020, comunque meno di quanti o si è impegnata a fare l'Ue.

I buchi non sono dimenticanze, ma trappole, o meglio punti di foraggiamento, che dovrebbero attirare i senatori dei coal-state, quelli degli Stati rurali o che rappresentano gli interessi dell'industria pesante.

Lo sa anche Manik Roy, del Pew center for Global climate change che fra il rassegnato e lo speranzoso ammette: «In larga misura, il successo al Senato dipenderà da come questo disegno di legge tratta il  carbone». Ma forse sarebbe meglio dire l'industria ad alta intensità di consumo di carbone. I "moderati" democratici come Sherrod Brown minacciano di votare contro se non verranno favorite le industrie pesanti  del suo collegio elettorale dell'Ohio, dove la crisi sta facendo aumentare la disoccupazione. Il liberal-leaning Economic Policy Institute sottolinea che circa 4 milioni di posti di lavoro negli usa dipendono da fabbriche "energy-intensive".

I senatori democratici degli Stati del carbone, come Jay Rockefeller della West Virginia, stanno giocandosi tutte le loro carte e dicono che così la Kerry-Boxer bill  non va bene, perché i suoi obiettivi di riduzione della CO2 «Sono irrealistici e dannosi, semplicemente non abbiamo il tempo per sviluppare la carbon capture and storage e le nuove tecnologie per l'efficienza energetica».

I problemi dei democratici hanno nomi e cognomi: John Tester chiede incentivi per il carbone pulito e spera che finiscano anche in facilitazioni per l'estrazione di petrolio ne Montana; il senatore del North Dakota Byron Dorgan, che nel 2010 dovrà essere rieletto, non sembra voler rischiare un voto favorevole sulla legge per il cambiamento climatico in tempi brevi.

Il timore è che una legge sulla falsariga del pacchetto clima-energia dell'Ue possa ridurre la competitività americana e il possibile rimedio potrebbe essere, secondo gli scettici, una ricetta molto vecchia che negli Usa scatta ad ogni crisi come un riflesso pavloviano: il protezionismo (mascherato).

Brown ed altri democratici stanno in realtà trattando per ottenere "border adjustment" la cui sola ipotesi ha già fatto imbufalire la Cina: blocchi alle frontiere statunitensi e dazi salati per le merci che provengano da Paesi che non  adottando tagli obbligatori di gas serra e livelli accettabili di energie alternative.

Una concessione che Kerry (ed Obama) sembra disposto a fare, riempiendo una delle pagine bianche della legge, sforzandosi di trovare la maniera di renderlo conforme alle regole dell'Organizzazione mondiale del commercio.
Da parte loro i centristi repubblicani stanno trattando un loro voto favorevole in cambio di concessioni per l'amatissima industria nucleare, in questo si distingue l'ex candidato alla presidenza John McCain che chiede a gran voce maggiori concessioni per il nucleare e si dichiara fortemente insoddisfatto perché il documento Kerry- Boxer non tiene conto del soddisfacimento dei bisogni di energia nucleare degli Usa.

Ma a quanto pare i democratici, anche con la firma dell'accordo sulla cooperazione nucleare con l'Italia da parte del  segretario di stato Usa all'energia, Steven Chu,  stanno cercando di riscrivere qualche spazio bianco insieme ai pasdaran  filonucleari repubblicani come McCain , Lieberman e Graham.

Un aiuto ai democratici a convincere i senatori riottosi  potrebbe venire dell'Environmental protection agency (Epa) che ha chiesto maggiore rigore e tagli di emissioni per l'ottenimento dei permessi di emissione da parte di nuove centrali elettriche, fabbriche e raffinerie di petrolio.

Il rapporto dell'Epa è arrivato come un macigno pesantissimo sulla discussione al Senato, evidenziando che quella di dotare le industrie Usa delle più moderne tecnologie all'avanguardia per ridurre emissioni di CO2, più che una scelta è una necessità inderogabile, proprio a livello di competitività planetaria.

Insomma, invece di rallentare bisognerebbe innestare la quinta ed approvare una legge molto più ambiziosa di quella timida alla quale ha dato il via libera a giugno la Camera Usa.

«L'Ape è pronta a lavorare con il Congresso - ha detto l'amministratrice dell'Agenzia Lisa Jackson annunciando la proposta- Ma non possiamo continuare con il business as usual, in attesa che il Congresso agisca». Anche se il Federal clean air act limita la possibilità del Epa di intervenire sulle nuove normative, molte industrie temono che le nuove proposte dall'Agenzia potrebbero essere troppo onerose. Per questo l'Epa potrebbe esentare dagli obblighi le piccole imprese ed applicare gli obblighi agli impianti che emettono più di 25.000 tonnellate di gas serra all'anno, quanto le emissioni prodotte dal consumo energetico di 2.200 abitazioni. Contro l'Epa si è subito scatenata la National Mining Association che dice che è illegittimo distinguere tra piccoli e grandi emettitori di gas serra.

Secondo l'Epa i vincoli potrebbero entrare in vigore già nel 2010 e alle nuove centrali elettriche ed agli impianti di grandi dimensioni potrebbero essere negati i regulatory permits se non utilizzeranno le nuove tecnologie per ridurre le emissioni di CO2, la stessa cosa sarebbe obbligatoria anche per la ristrutturazione di fabbriche ed impianti energetici.

Ma qualche crepa (e forse un po' di greenwashing) si sta formando all'interno delle grandi imprese americane: ieri il rappresentante della Nike  si è dimesso dal consiglio di amministrazione della Camera di Commercio statunitense, perché in disaccordo con la posizione contro la nuova proposta di legge contro i cambiamenti climatici, e il portavoce della  Chamber of Commerce  ha ammesso che la decisione del famoso marchio di abbigliamento sportivo «Riflette la diversità dei suoi membri e della vasta comunità del  business».

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