[20/10/2009] News

Sovracapacità produttiva: fino a quando ricorreremo ai palliativi?

LIVORNO. In questi mesi di crisi e di diminuzione dei consumi le imprese hanno sopperito alla sovracapacità produttiva «ricorrendo a tagli e ottimizzazione del capitale circolante, massicci ricorsi alla cassa integrazione e riduzione degli investimenti» ci fa sapere il Sole 24 ore di oggi sulla base dei dati Isae che mettono a confronto il grado di utilizzo degli impianti nei principali settori industriali italiani.

Nel 2009 per esempio i prodotti metallici hanno visto gli stabilimenti funzionare al 56% e anche per quanto riguarda macchine e apparecchi metallici hanno "girato" al 62%, mentre il legno ha raggiunto il 63%. In ogni settore comunque si è registrato un calo medio intorno al 10 % e in attesa della ripresa che verrà (forse) si snocciolano le buone pratiche messe in campo dalle aziende: ammortizzatori, ferie lunghe, talvolta cassa integrazione e quando va bene si è colta l'occasione per portare a termine investimenti  tecnologici e organizzativi finalizzati a una maggiore efficienza e competitività.

«Ora però - chiosa Il Sole lasciando intendere di credere fino a un certo punto alle misure anticrisi intraprese - è necessario che i timidi segnali estivi di ripresa della domanda si consolidino, altrimenti la medicina da somministrare potrebbe essere più amara».

Soffermiamoci sulla metafora medica per chiederci appunto, se tali medicine non siano indirizzate in realtà all'effetto piuttosto che alla causa della malattia.

E' il caso per esempio, lo abbiamo detto più volte, degli (eco)incentivi per la rottamazione delle auto: sono un (blando?) antipiretico che abbassa momentaneamente la febbre (settore automobilistico in crisi) ma che non affronta la malattia alla radice (il mercato è fermo, è ormai di sostituzione, e quindi è estremamente sottodimensionato rispetto all'offerta).

Uno sguardo lungo imporrebbe quindi a partire da questi dati confermati oggi dall'Isae, di cominciare a pianificare una riconversione dell'economia verso settori che garantiscano di avere un futuro, che siano duraturi, che siano sostenibili e riproducibili senza erodere risorse destinate prima o poi a finire.

Finché questa riconversione ecologica dell'economica sarà intrapresa da settori con l'acqua alla gola (come nell'industria delle piastrelle, esempio raccontato ieri su Affari & Finanza di Repubblica) si tratterà comunque di esempi virtuosi ma isolati, legati all'intelligenza e alla visione lungimirante di qualche imprenditore o settore imprenditoriale (ma non tutti hanno la forza economica e la capacità per fare investimenti soprattutto anticiclici). Per questo è stato proprio il mondo imprenditoriale, che più volte ha giocato d'anticipo come nel caso di numerose multinazionali, a chiedere ai governi di intervenire per cominciare a riorientare l'economia, fissando paletti col fine di garantire la continuità di un mercato che ovviamente le imprese sono le prime a voler preservare.

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