[25/02/2010] News

L'Ue vuole un'acquacoltura verde e di qualità

LIVORNO. «Costruire un futuro sostenibile per l'acquacoltura », è il rapporto presentato da Guido Milana (Nella foto), un parlamentare italiano del gruppo Democratici & Socialisti. I rappresentanti dei piscicoltori sono convinti che l'acquacoltura possa contribuire a soddisfare la crescente richiesta di pesce senza danneggiare l'ambiente, ma che per riuscirci occorre garantire la qualità del prodotto ed avere un maggior sostegno politico, regole più chiare ed un sistema di etichettatura affidabile.

«In Europa - ha detto Milana - la richiesta (in termini di consumo) di pesce è sempre stata in forte aumento, mentre la capacità di produzione, negli ultimi anni, è rimasta pressoché invariata. Le risorse disponibili sono sempre meno soggette a controlli; l'aggressività di mercati esteri, come quello del sud-est asiatico, pongono la Ue in una posizione economicamente delicata, con livelli occupazionali del settore ancora troppo bassi, destinati, se non vi sarà una riforma seria del comparto, ad una inesorabile retrocessione. In questo contesto, è opportuno cercare le leve necessarie per la riqualificazione del settore. Una di queste può essere la qualità del prodotto. Vi è la necessità di qualificare il prodotto europeo, facendolo rientrare in determinati standard qualitativi, serve una politica del marchio che sia associabile al prodotto ittico, serve una percezione, una lettura positiva del consumatore, percezione che può essere indirizzata anche da accorgimenti come la tracciabilità del prodotto. Solamente in questo modo potremo evitare situazioni come quella creatasi con il Pangasio vietnamita, allevato nel Mekong, all'interno del vennero trovati valori di cesio altissimi, importato in tutto il mondo, Ue compresa».

Milana ha parlato della necessità della stesura di un vero e proprio Piano Regolatore Generale del Mare: «Costruire le condizioni per questa pianificazione, che consentirà di individuare i siti adatti alla costruzione di impianti di acquacoltura, con minor impatto sul territorio, che garantiranno livelli occupazionali accettabili, dovrà essere una delle priorità della Ue. Se al principio, l'acquacoltura era un'attività prettamente artigianale, oggi è strutturata in modo particolare attraverso una miriade di PMI; vi è inoltre la presenza di alcune grandi aziende che ad oggi integrano le fasi principali della filiera (riproduzione e ingrasso dei pesci, alimentazione, trasformazione, commercializzazione)».

Tra il 1995 ed il 1999 la produzione nella UE-27 è aumentata del 3 - 4% e poi è rimasta pressoché stagnante, ma in termini di consumo i prodotti di acquacoltura rappresentano il 60% del prodotto ittico consumato. La Commissione pesca non si nasconde però che l'acquacoltura non ha una buona immagine, a volte giustificata da metodi di allevamento davvero poco ecologici, ma anche dovuta alla cattiva conoscenza di un'attività economica abbastanza nuova.  Secondo Fernando Otero Lourido, direttore dell'associazione dei produttori di rombo della Galizia, «Uno dei principali soggetti di preoccupazione è la sostenibilità ambientale. La piscicoltura può essere un'attività integralmente sostenibile. E' il caso della Galizia che ospita uno dei siti di acquacoltura più importanti del mondo, accanto alla riserva marina di Lira. I produttori  hanno bisogno di regole chiare, di regole del gioco eque e di volontà politica. Un sistema di etichettatura affidabile aiuterebbe il settore».

Marco Greco , dell'Associazione italiana agricoltura biologica, ha sottolineato che «Esistono apparentemente una moltitudine di marche sulle etichette. Nella piscicoltura, come in agricoltura, conviene distinguere la produzione « sostenibile » ed "eco-compatibile" dalla produzione "biologica".

Gli eurodeputati si sono anche chiesti come si può parlare di acquacoltura sostenibile data la quantità di pesci che è necessario pescare per allevare altri pesci. Rispondendo alla verde svedese Isabella Lövin sulla possibilità di proporre ai consumatori una maggiore quantità di pesci « erbivori » come la carpa o la tilapia, Dawn Purchase, della Marine Conservation Society, ha detto che «I dettaglianti faticano a convincere i consumatori a mangiare questi pesci, almeno in Gran Bretagna. Però, la loro preparazione da parte di cuochi dell'alta gastronomia potrebbe stimolare la domanda».

Milana ha sottolineato che «Per poter puntare sul fattore qualità del prodotto europeo si dovranno avere accorgimenti specifici, sulle condizioni di salute del pesce allevato, sulle farine e sugli oli utilizzati come mangime. La questione della produzione di farine derivanti da pesce è ancora attuale. E' oggi inaccettabile consumare una quantità di pesce tre volte superiore a quella che poi viene prodotta in farine derivate. Il dibattito su queste problematiche è ancora aperto, si dovrà prima o poi giungere ad una conclusione, magari anche grazie all'apporto scientifico della ricerca. Tutto questo però, ha un minimo comun denominatore: un fondo specifico, strutturato, che sia garanzia ed oggetto per una pianificazione complessiva del settore. Fino ad oggi il settore ne ha risentito, non ha potuto usufruire di questa opportunità, come per esempio ne ha usufruito il settore agricolo. Settore dal quale la pesca ha tirato fuori le norme su cui fonda la propria esistenza. Questo è un punto fondamentale. Serve rimettere mano alle norme che regolano questo settore, che fino ad oggi lo hanno organizzato e farne un vero e proprio codice normativo che regoli la vita delle migliaia di impianti, attività, persone che compongono questo mondo.».

L'esempio al quale si guarda è quello di un Paese europeo che non fa parte dell'Ue, la Norvegia, che esporta il 97% della sua produzione ittica di allevamento, e dove l'acquacoltura gode di un forte sostegno politico, facilitato da una eccellente situazione geografica ed ambientale.

Petter Arnesen, della norvegese Feed & Environment, Marine Harvest ASA, ha spiegato che «La Norvegia applica delle regole stringenti al fine di assicurare la sostenibilità dell'acquacoltura e non risparmia nessuno sforzo nella lotta contro le infezioni, i parassiti dei pesci. Di conseguenza, sfugge alla contaminazione dei pesci selvatici attraverso i salmoni di allevamento. Oggi, il ricorso agli antibiotici è quasi inesistente, salvo per la lotta antiparassitaria».

Il popolare francese Alain Cadec ha posto il problema dell'impronta di CO2 degli allevamenti del salmone e della sostenibilità delle esportazioni del salmone norvegese verso la Cina, che in seguito viene reimportato nell'Unione europea come prodotti trasformati. Arnesen ha risposto che «L'impatto CO2 di questa operazione non è molto importante se si pensa che i pesci sono congelati e trasportati in grandi quantità».

Una spiegazione che non ha convinto molti. La maggior parte degli intervenuti in commissione pesca ha sottolineato la necessità di utilizzare meglio i finanziamenti europei per la ricerca e sviluppo per tradurre la ricerca in buone pratiche. Secondo Peter Heffernan, del Marine Institute di  Galway, «I temi di ricerca degli attuali programmi europei devono essere mirati meglio» e Purchase ha sottolineto che «Le attività di ricerca di alta qualità sono oggi numerose  ma tuttavia devono essere meglio applicate».

Il rapporto Milana dovrebbe essere votato in commissione pesca del Parlamento europeo il 3 e 4 aprile, e dall'assemblea plenaria a giugno.

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