[04/06/2010] News

La decrescita: tessendo alternative per una trasformazione socio-ecologica

La proliferazione di progetti politici é sintomo di un vuoto, o meglio della ricerca di cammini nuovi per riempirlo. I giovani vivono spesso con la credenza di essere immortali, lo stesso succede alla società. I limiti ci sono, e per tutti. L'ingenuità sta nel non rendersene conto.

Siamo chiamati ad uno sforzo di auto cura collettiva.

La chiave sta nella ripoliticizzazione del dibattito sulla (in)sostenibilità. Ad esempio, concentrare i nostri sforzi solo sul cambiamento climatico, sarebbe diventare cani al guinzaglio del discorso dominante (come lo é la sinistra italiana). La crisi é sistematica (economica, ecologica e sociale), caratterizzata da urgenza, incertezza ed una posto in gioco alta. Che fare?

I detentori dell'ordine costituito propongono di uscire dalla crisi con la causa come soluzione: la crescita economica. Questo dimostra l'esistenza di interessi non dichiarati, mancanza di creatività e paura per una specie di 'tragedia del cambio'. Qualcosa tuttavia potrebbe cambiare.

A Barcellona, tra il 26 ed il 29 Marzo 2010, si sono riunite oltre 500 persone provenienti da più di 40 paesi per discutere (attraverso l'elaborazione partecipata di un progetto politico e metodi di micro-democrazia) una delle visioni emergenti dai movimenti sociali: la decrescita (www.degrowth.eu).

C'é una crescente coscienza collettiva sul fatto che "le cose cosi non possono continuare". Come dimostra l'apertura alla società civile della conferenza, sul 'che fare', 'come farlo' e 'farlo', siamo tutti chiamati a partecipare. I nostri cosiddetti rappresentati politici, la tecnologia ed il mercato, non affronteranno i problemi per noi. Il protocollo di Kyoto propone una riduzione del 5.2% delle emissioni (rispetto al 1990) con un sistema flessibile (troppo) formato da offsets, meccanismi di sviluppo pulito (CDM), mercati del carbono (carbon trading schemes). Il target sarà forse rispettato da alcuni paesi grazie alla crisi economica ed il vulcano islandese Eyjafjallajokull. Tuttavia, secondo il principio di precauzione (e l'IPCC) dovremmo optare per una riduzione del 45% con un obbiettivo di concentrazione nell'atmosfera di 350 ppm (parti per milioni) di CO2, oltre a prendere in considerazione la responsabilità storica e per tanto il 'debito climatico' dei paesi ricchi con quelli impoveriti. Come discusso a Cochabamba tra il 19 ed il 22 Aprile, oltre il feticismo della CO2, c'è la giustizia climatica.

Una questione altamente rilevante per la decrescita che è un movimento plurale composto da diverse anime che co-esistono:

La diversità intrinseca del movimento porta a una molteplicità di strategie complementarie e per lo più coerenti. Tre sembrano essere le priorità. 

In primo luogo, andare al di là dell'infostrazione (o info-distrazione) per ampliare la presa di coscienza delle questioni politiche rilevanti per noi e le generazioni future. Un approccio radicale, ovvero che affronta il problema nelle sue radici, che vuole mutare lo stato dai suoi fondamenti.

Il capitalismo si fonda sulla crescita. Il credito ed il consumo sono la benzina. La finanziarizzazione dell'economia, a cui abbiamo assistito durante vent'anni di neoliberalismo, spinge il sistema al collasso per strangolamento. Siccome i salari, ed il loro potere d'acquisto, hanno continuato a diminuire, il sistema ha fatto crescere i debiti (vedi ipoteche subprime). Debiti creati col credito facile e poi assunti dagli stati attraverso il rilevamento delle banche. Chi pagherà i debiti (pubblici e privati)? I debiti si pagano con l'inflazione (difficile con l'euro) o con crescita economica. Si entra cosi in un circolo vizioso, dove si creano debiti, per stimolare la crescita economica, con la speranza di pagare i precedenti. In poche parole stiamo ipotecando il futuro.

In secondo luogo, sono importanti le costruzioni di alternative e le sperimentazioni di stili di vita che permettano di rendere più armoniosa la nostra relazione con il resto dell'umanità e l'ambiente. Ci sono buone pratiche che vanno diffuse e rafforzate, come i bilanci di giustizia, le reti di economia solidale, la permacultura, le cooperative di consumo ed i mercati di prodotti locali. I principi guida potrebbero essere la prossimità, data l'importanza della rilocalizzazione, l'autoproduzione ('do it yourself'), l'autonomia e la resilienza (in ecologia, la capacità di un sistema di autoripararsi dopo un danno). Queste esperienze permettono di rafforzare le comunitá, la coerenza con i nostri principi nella vita quotidiana e l'adattamento ai cambi a cui stiamo assistendo. Tuttavia, non possiamo rispondere a problemi collettivi e globali solamente con risposte individuali e locali.

Il movimento delle 'cittá in transizione' (transitionculture.org) è un buon esempio pratico delle prime due priorità; ovvero promuovere la presa di coscienza, in particolare sul picco del petrolio ed il cambiamento climatico.

Il fine è la costruzione di un progetto politico (non partitico) ovvero di una visione alternativa della società futura. Cosi facendo, potremo rivendicare un cambio istituzionale e strutturale della nostra società. Sarà cosa buona e giusta che l'elettricità  di casa nostra venga da fonti rinnovabili, ma se non saremo capaci di fermare l'estrazione dei combustibili fossili, il cambiamento climatico fará il suo corso. Un ottimo esempio è l'iniziativa ITT Yasuni promossa dal governo di Ecuador (www.yasuni-itt.gov.ec), in particolare da Alberto Acosta (ex-presidente dell'Assemblea Costituente). L'idea è quella di lasciare il petrolio sotto terra,  in cambio di una compensazione monetaria della comunità internazionale come pagamento di una 'rata' del debito climatico. Cosi facendo si eviterebbero gli impatti dell'estrazione, tra cui la deforestazione e perdita di biodiversità,  la violazione dell'isolamento volontario delle comunità indigene e l'emissione di 407 milioni di tonnellate di CO2. Per di più il governo dell'Ecuador si compromette ad investire i fondi nella sua transizione socio-ecologica, da un paese basato su un economia estrattiva ad uno fondato sulle energie rinnovabili, rispetto della biodiversità ed equità sociale.

La Seconda Conferenza Internazionale sulla Decrescita a Barcelona fotografa la internazionalizzazione di un dibattito che fino ad ora era principalmente rimasto in Italia, Francia e Spagna. Fino a due anni fa la parola in inglese 'Degrowth' non esisteva, mentre oggi si moltiplicano articoli scientifici e di divulgazione, documentari ed eventi (per esempio la conferenza di Vancouver, Canada. Gruppi locali e reti per la decrescita nascono come funghi dal Messico (red-ecomunidades.blogspot.com) alla Danimarca (www.noah.dk); si parla di una rete internazionale e potenziali alleanze con movimenti del sud come l'ecologismo dei poveri ed il Buen Vivir. Per di più, mentre negli ultimi dieci anni il dibattito era rimasto confinato tra attivisti di base e ricercatori, adesso si apre sempre più alla società (organizzata e non), ai media ed alla politica. Le azioni rimangono locali, ma gli incontri a livello nazionale ed internazionale permettono un costruttivo scambio di informazioni ed esperienze. Un buon esempio di localismo aperto. 

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