[28/06/2010] News toscana

Cambiare la legge 69? Il rischio di una “partecipazione non informata”

FIRENZE. "Se" evolvere la partecipazione in Toscana è cosa buona è giusta, alcune perplessità sono inerenti al "come", secondo quanto dichiarato dall'assessore al Bilancio e ai Rapporti istituzionali Riccardo Nencini (vedi altro articolo - primo link in fondo alla pagina), occorra perseguire questo obiettivo in direzione di un maggiore coinvolgimento dei cittadini nelle grandi opere infrastrutturali, e quindi, in sostanza, verso una effettiva applicazione del Capo II della legge regionale 69, finora rimasto al palo.

Anzitutto, a questo proposito, vanno citate le parole di Alberto Magnaghi, ordinario di Pianificazione territoriale presso la facoltà di Architettura dell'Ateneo fiorentino, che in un commento alla legge 69/07 edito dalla rete Nuovo municipio ricordava come «la sede primaria della democrazia partecipativa resta il municipio, il quartiere, il luogo dove è possibile realizzare relazioni sociali di prossimità e la costruzione diretta di esperienze comunitarie», mentre la dimensione dei grandi interventi infrastrutturali (sia pure da includere nei processi partecipativi anche secondo lo stesso Magnaghi, che parla poi della necessaria «interscalarità degli attori interessati» comprendendovi anche le regioni e le province e gli interventi di più ampio respiro sul territorio) è molto più difficile da includere in un processo partecipativo, che rischia così infatti di ridursi a semplice "consultazione" della cittadinanza, svalutando ad una dimensione sostanzialmente referendaria una potenziale occasione di reale coinvolgimento della cittadinanza nella pianificazione/progettazione/gestione dell'opera pubblica.

La differenza la fanno, in questo senso, i flussi informativi, comunicativi ed "educativi" reciproci che si instaurano all'interno del processo partecipativo, e che primi fra tutti sono finalizzati sì a fornire elementi di conoscenza, ma soprattutto proprio a contrastare, insieme alla sindrome Nimby, quell'antipolitica che più allontana il cittadino e l'Istituzione: flussi che, certo, sono ben più difficili da attivare utilizzando le opportunità offerte dalla telematica piuttosto che tramite incontri, assemblee, iniziative ricreative e culturali organizzate "dal vivo", e proprio qui sta il principale vulnus annesso all'ipotesi di estendere la partecipazione alle grandi scelte infrastrutturali per come la intende Nencini.

La partecipazione, cioè, deve necessariamente evolvere le sue pratiche grazie alle opportunità offerte dalla Rete, ma una consultazione virtuale non potrà mai sostituirsi alle attività svolte dal vivo, in quei contesti cioè di contatto e comunicazione informale in cui il confronto tra cittadini e stakeholders politici e tecnici (e il relativo flusso informativo/comunicativo reciproco) può svolgersi in modo facilitato, e dove il necessario "senso di proprietà" (sense of ownership, come definito dalla letteratura centroeuropea in materia) da parte della cittadinanza può essere effettivamente proiettato sullo spazio pubblico oggetto di pianificazione/progettazione partecipata in occasione del confronto riguardo alle modifiche da compiersi.

Insomma, per dirla con le parole usate dall'Autorità regionale per la partecipazione Rodolfo Levanski nella sua intervista a greenreport del luglio 2009 (vedi secondo link in fondo alla pagina), con la partecipazione «il cittadino, in un certo senso, ha accesso alla stanza dei bottoni. Ma deve farlo necessariamente in modo informato. Ad esempio, prima di parlare di contrasto all'inquinamento in un processo di partecipazione, è necessario che tutti gli intervenuti sappiano cos'è il Pm10»: e il problema, secondo le condivisibili affermazioni di Levanski, è che «così spesso non è». Ciò significa che se un processo partecipativo non viene non solo "composto di", ma proprio "costruito intorno a" ambiti di educazione reciproca e permanente tra cittadini e stakeholder tecnici e istituzionali, allora l'obiettivo di una pianificazione/progettazione degli interventi territoriali condivisa con la cittadinanza rischia di vanificarsi, e il processo partecipativo rischia così a sua volta (come è avvenuto tante volte, ci insegna la relativa letteratura accademica) di diventare veicolo di affermazione di particolarismi egoistici o, peggio, di andare nella direzione opposta alla sostenibilità sociale e soprattutto ambientale.

La "partecipazione non informata" è peggio ancora della non-partecipazione, insomma, ed è questo l'orizzonte fondamentale da tenere presente in ogni ipotesi di evoluzione della normativa e della politica sulla partecipazione, sia che si tratti di modificare la legge 69 (che forse peraltro avrebbe più bisogno di essere "applicata", piuttosto che "riscritta", poiché la partecipazione sulle grandi scelte infrastrutturali ha bisogno più di coraggio politico che della ridefinizione di norme già presenti nel testo di legge), sia che si tratti di introdurre norme accessorie finalizzate ad una sua migliore applicazione.

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