[04/08/2010] News

Tremonti non è il mio ministro dell'economia (ecologica) e figuriamoci premier

LIVORNO. Se per economia si intendesse nel suo senso più ampio «l'utilizzo di risorse scarse per soddisfare al meglio bisogni individuali e collettivi contenendo la spesa», parlare di economia ecologica sarebbe superfluo, in quanto l'economia sarebbe ecologica di default. I debiti dello Stato, quindi, sarebbero anche quelli nei confronti dell'ecosistema. E i bilanci conterrebbero input e output di materia e di energia. Così la crescita sarebbe parametrata su tutt'altri indici e un ministro di questa economia mai si permetterebbe di dire cose tipo: «Oggi quando un'opera pubblica passa su un territorio, i comuni la vedono come un bancomat e subordinano il loro via libera ad elenchi via via crescenti di interventi da fare nel loro territorio a titolo "compensativo": dalle rotonde alle palestre. Come se avere il passaggio di una via di comunicazione equivalesse ad accogliere una discarica nucleare. Perché non porre soglie di voto diverse dalle attuali nelle varie conferenze locali chiamate a dare le autorizzazioni? E perché non prevedere ex ante una percentuale invalicabile in modo da contenere dentro questo limite il gioco domanda-offerta delle compensative? Anche così l'opera si farebbe prima e a costi inferiori. E anche questa è crescita».

Non avrebbe, insomma, la sfacciataggine di bypassare completamente le questioni degli impatti ambientali che certe grandi opere hanno; e a livello economico non dimenticherebbe che quella crescita è sulle spalle di un territorio che magari perde qualcosa in termini di risorse idriche, oppure di suolo. Quel ministro avrebbe, invece, una visione d'insieme. Non spaccerebbe la Scia come "la reazione alle vischiosità trovate sul piano casa (...)" che "fa più bene all'edilizia, e dunque all'economia, di tante chiacchiere politiche", dimenticando che essa nasce - nelle intenzioni/chiacchiere del governo - come iniziativa per far aprire un'impresa in un giorno e che si è trasformata, appunto, in una scappatoia per rilanciare un piano casa del tutto insostenibile nella prima scrittura e del tutto inutile nella seconda diventata legge.

Non farebbe inoltre il prestidigitatore lessicale, sostenendo che «un forte recupero di imposta arriverà attraverso l'emersione dei 2 milioni di immobili oggi sconosciuti al catasto» o dicendo che non si tratta di un condono ma del «recupero dell'evasione fiscale» in quanto «Piani urbanistici e abusivismo sono di competenza dei comuni». Che vuol dire infatti con queste affermazioni? Nemmeno il Sole24Ore ci ha capito qualcosa (pagina 17).

Un ministro dell'economia come vorremmo noi, di fronte alla crisi in atto che è finanziaria-economica e anche ecologica, difficilmente sosterrebbe che ad esser necessaria sia una «rivoluzione nuova che deve fare l'Europa: una rivoluzione giuridica, una rivoluzione che non ha costi economici, ma ha "costi" mentali, culturali e anche sindacali».

Facendo peraltro l'esempio di Pomigliano: «L'ideale è avere tanto la fabbrica perfetta quanto i diritti perfetti. Il reale è un po' diverso. Ed è reale il rischio che si conservino i diritti, ma si perda la fabbrica, emigrata altrove. Questo è il nostro problema. E la soluzione non può essere massimalista, può essere solo riformista, complessa e oggettivamente difficile da gestire politicamente: quanto dei diritti "perfetti" è compatibile con la globalizzazione?». Perché queste considerazioni anche se legittime, non assomigliano minimamente a risposte: a meno che non sia quella "scussa scussa" che di fronte alla globalizzazione bisogna solo abbassare le brache soprattutto agli operai.

Tanto più che sul caso Pomigliano non servirebbe nemmeno un economista ecologico di chiara fama, visto che gli stessi operai - come dimostra la lettera pubblicata oggi su Repubblica - la sanno più lunga del ministro: «Se riuscissimo a produrre un'auto elettrica a emissioni zero e con consumi bassissimi, con tanta di quella ricerca e innovazione da far impallidire le utilitarie sul mercato forse ci sarebbe un futuro per noi. Ma certo non ci sarà se pensiamo di fare concorrenza ai costi del lavoro della Serbia oggi o del Montenegro domani. Noi ci lavoriamo nell'auto abbiamo il dovere e il diritto di guardare al futuro e non di ritornare alle condizioni del passato per sopravvivere».

Insomma, il ministro dell'economia del migliore dei governi possibili non assomiglia a Giulio Tremonti nemmeno un po'. Non solo, anche l'economista di un governo "laqualunque" come quello italiano potrebbe avere qualche guizzo in più se fosse così lungimirante come vuol farci credere. Pensarlo poi addirittura premier la prendiamo invece come una boutade estiva incommentabile.

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