[09/02/2011] News

Industria 2015 addio, Silvestrini: «Segnale preoccupante, va invece rilanciata al 2020 in chiave fotovoltaico!»

LIVORNO. «Un segnale molto preoccupante, pensare che invece andrebbe rilanciata!». A Gianni Silvestrini, direttore del Kyoto Club e "padre putativo" di Industria 2015 proprio non va giù l'idea dell'attuale maggioranza di far chiudere i battenti alla sua creatura, voluta ai tempi in cui ministro dello sviluppo era Bersani nel governo Prodi. Come del resto non è assolutamente d'accordo con l'altra idea sempre dell'attuale governo, e appoggiata da Confindustria, di rilanciare il nucleare in Italia. Due cose assolutamente legate perché Industria 2015 voleva dire scommettere sulle rinnovabili e l'efficienza energetica; mentre la "Rinascita nucleare" significa se non l'opposto, quasi, perché oggi è chiaro speriamo che la favola "del si fa tutto" era appunto tale.

Nato nel 2006 per il sostegno a progetti di innovazione tecnologica, Industria 2015 fece incetta di adesione e fu sommersa di progetti quasi tutti legati alla sostenibilità ambientale. Ma la riforma degli incentivi del governo, sempre che duri, ora prevede di abrogarla.

«Si parlava da tempo di un suo ridimensionamento - commenta a greenreport.it Gianni Silvestrini - infatti c'è, parecchio malessere tra le industrie. E' un segnale molto preoccupante perché mentre si fanno polemiche sulla tariffa del fotovoltaico, una azione ragionevole del governo, dovrebbe rilanciare proprio Industria 2015, magari con un programma Industria 2020, ovvero l'esatto opposto».

Ci spieghi meglio.

«L'azione di governo in questo caso dovrebbe percorrere tre strade: ridurre le tariffe del fotovoltaico; potenziare la ricerca e quindi potenziare industria 2015 riprogrammandola a Industria 2020; fare un'azione coordinata di sostegno alla creazione di consorzi tra le imprese, come stanno facendo in Francia e Germania. Ormai, infatti, si sa che l'orizzonte del fotovoltaico è molto, molto più grande di quello che si pensava solo due o tre anni fa. Tra il 2017 e il 2020 non ci sarà più bisogno di incentivi e quindi sarà fondamentale avere industrie in questo settore strategico. Nel 2050 il fotovoltaico avrà un ruolo molto rilevante, ma l'Italia davanti a questa grande opportunità, sta a guardare».

Prima di andare oltre, viste le discussioni in corso, di quale fotovoltaico sta parlando? Di quello di grandi dimensioni o di piccoli impianti secondo il modello della generazione distribuita di energia?

«In prevalenza di piccoli impianti distribuiti e poi anche a terra, è chiaro, ma in maniera intelligente. Ne parleremo anche al convegno "100% Rinnovabili. La sfida per le energie verdi entro il 2050" del Kyoto Club in programma il 16 febbraio e l'idea è quella di far convivere l'agricoltura e gli impianti fotovoltaici. Si può fare benissimo distanziando a dovere i pannelli e facendolo convivere con l'impianto di irrigazione, un metodo ottimale specialmente al Sud. In questo modo di può anche rilanciare l'agricoltura nelle zone abbandonate».

Torniamo, allora, all'industria del fotovoltaico in Italia.

«Come dicevo l'Italia sta a guardare, mentre il mondo va in un'altra direzione. Qui non c'è governo della ricerca come invece in Francia in Germania e anche negli Usa. Giusto ieri il Segretario per l'energia americano Steven Chu ha annunciato programma SunShot che prevede nove progetti per i quali il Dipartimento dell'Energia ha già messo a disposizione 27 milioni dollari e che ha come obiettivo quello di ridurre del 75% il prezzo del fotovoltaico entro il 2020. Si parla di arrivare a un dollaro al watt. L'Italia è riuscita nell'impresa di aver assunto improvvisamente un ruolo di primo piano nelle installazioni di fotovoltaico, secondo stato in Ue, ma di balbettare contemporaneamente sulla produzione».

Ma come si può ridurre il costo del fotovoltaico del 75%?

«Ci sono due strade: la ricerca, e nella Silicon Valley c'è già un'attività sulle nanotecnologie che forniranno soluzione interessantissime; e gli aumenti di scala degli impianti che si progetteranno da 1000 megawatt. Insomma servono salti tecnologici e per questo serve l'industria».

La favola che il nucleare non avesse costi per il pubblico ora è chiara a tutti: non si può fare tutto. Secondo uno studio pubblicato oggi da Sole, però, il nucleare addirittura sarebbe la scelta più "low cost".

«Allora, intanto basta vedere l'ultimo studio sui costi del nucleare scritto dal dipartimento dell'energia Usa, che dice tutt'altro rispetto a quanto sostenuto sul Sole. Ma voglio soffermarmi su un altro aspetto: non ha senso fare i calcoli sull'oggi, bisogna guardare all'energia tra 50 o 60 anni. E in questa ottica il futuro sono le rinnovabili, non il nucleare».

 

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