Il paradosso dell’acqua e le fontane di Roma

Un approccio radicalmente nuovo per affrontare la crescente minaccia della scarsità d'acqua

[24 Gennaio 2019]

Edward B. Barbier, professore di economia alla School of global environmental sustainability della Colorado State University, è un noto esperto di politica ambientale e consulente di numerose organizzazioni internazionali che ha appena pubblicato il libro “The Water Paradox: Overcoming the Global Crisis in Water Management” (Yale University Press – 2019) partendo da una constatazione: «L’acqua è essenziale per la vita, ma la relazione tra l’uomo e l’acqua è complessa. Per millenni, la abbiamo percepita come abbondante e facilmente accessibile. Ma la scarsità d’acqua sta rapidamente diventando una realtà persistente per tutte le nazioni, ricche e povere. Con la domanda che supera l’offerta, una crisi idrica globale è imminente». Una crisi che secondo Barbier è dovuta in gran parte alle attuali politiche e pratiche idriche e che rappresenta «un fallimento della gestione delle risorse idriche, in quanto è il risultato della scarsità. Strutture e istituzioni di governance obsolete, combinate con una continua sottovalutazione, hanno perpetuato l’uso eccessivo e la sottovalutazione dell’acqua e disincentivato l’innovazione tecnologica tanto necessaria. Di conseguenza, “l’accaparramento di acqua” è in aumento e la cooperazione per risolvere queste controversie è sempre più difficile».

Per mostrare la portata del problema, Barbier raccogli prove da Paesi di tutto il mondo e poi delinea le politiche e le soluzioni di gestione secondo lui necessarie per scongiurare questa crisi, come i dissalatori gestiti da enti pubblici.

La carenza idrica colpisce ormai, ogni anno, più di un terzo della popolazione mondiale e il libro di Barbier parte da un fatto che ci riguarda da vicino: nel 2017 Roma, l’antica pioniera dell’approvvigionamento idrico urbano, ha dovuto chiudere moltissime delle sue fontane e fontanelle pubbliche. Partendo dall’acqua di Roma, in The Water Paradox Barbier si tuffa in profondità nelle storie dell’intricato e affascinante mondo del passato e del presente della gestione delle acque e indaga anche sulle minacce future che incombono sulle risorse idriche.

Un libro/inchiesta che ha sollevato anche l’interesse di Margaret Catley-Carlson – ex presidengte della Global Water Partnership, del Global Agenda Council on Water and the Suez Foresight Advisory Council l del World Economic Forum e che ha fatto parte anche dell’Advisory Board on Water and Sanitation del segretario generale dell’Onu  – che su Nature scrive: «Il paradosso è questo: nonostante ampie prove scientifiche sullo sfruttamento e l’uso eccessivo dell’acqua dolce e l’ampia ricchezza, conoscenza e potere istituzionale, l’umanità ha creato una crisi idrica prevenibile. Continuiamo a sfruttare l’acqua dolce come se fosse abbondante, anche se riconosciamo la sua scarsità. Entro il 2040, 2 miliardi di persone saranno colpite dalla crisi globale delle acque di falda (viene estratta più acqua di quella che sta rifornendo le falde acquifere); Indonesia, Iran e Sudafrica saranno tra i Paesi che soffriranno  di stress idrico elevato o estremo». Pressioni che si scaricheranno sull’ambiente e sull’agricoltura e che intensificheranno le crisi sociali ed economiche.

Il libro di Barbier, di fronte al disgregarsi di certezze planetarie e alla crisi verticale di alcune aree del nostro pianeta perché non siamo in grado di attuare i cambiamenti necessari, sottolinea che questo avviene e avverrà «non perché ci mancavano avvertimenti storici. Società, Stati, città e regioni sono crollati in macerie o ridotti a foglie secche a causa della cattiva gestione ambientale. Potrebbe succedere di nuovo».

Per capire come è successo e potrebbe succedere, Barbier scava in millenni di uso improprio dell’acqua ed esamina l’irrigazione e le pratiche agricole nell’antico Medio Oriente, in Cina, in Europa e altrove, citando l ‘”ipotesi idraulica” dello storico Karl Wittfogel degli inizi del XX secolo che sostenne che i primi imperi basati sull’agricoltura, come i Sumeri in Mesopotamia, aumentarono il controllo dell’acqua, ma tendevano a sperperarla, diventando così vulnerabili al degrado ambientale e agli attacchi esterni. Crolli di imperi subito dimenticati, fino agli esempi più recenti delle “corse di terra” in Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e il Nord America tra il 650 al 1900. Barbier sottolinea che nella conquista occidentale di queste nuove frontiere il guadagno economico dipendevano enormemente dal possesso di acqua “gratuita”. Una pratica di colonizzazione di una risorsa che continua: «I mercati generalmente sottovalutano laghi, corsi d’acqua e falde acquifere che sono beni pubblici. Un impatto di tutto questo è l’atteggiamento “use it or lose it”,  che incoraggia la territorialità e, in ultima analisi, le guerre per l’acqua».

Di fronte a questo tipo di impatti insostenibili, Barbier chiede «la fine di politiche, mercati e governance che sottovalutino l’acqua e consentano di utilizzarla come se fosse abbondante. Le nostre innovazioni sono generalmente orientate all’espansione senza ridurre il consumo». E dimostra le sue teorie con fatti e cifre e una lista impressionante di citazioni di ricerche accademiche, tabelle e compendi, dati storici e fatti storici, problemi attuali o strumenti per trovare soluzioni,  come ad esempio tipi di mercato dell’acqua che possono portare benefici o ulteriori pericoli. Tra questi ultimi ci sono i bacini idrografici a rischio di conflitti futuri; l’esaurimento delle acque sotterranee sia attualmente che nel prossimo futuro; il water grabbers e il grabbed-from e molti altri ancora.

Ma secondo la Catley-Carlson il libro ha tre lacune chiave: «Primo, Barbier è così chiaro e completo che speravo davvero che avrebbe affrontato il paradosso stesso: la nostra apparente incapacità di evitare una minaccia esistenziale portata dall’uomo. Ho cercato un barlume di strada, un percorso finora nascosto dalla nostra paralisi politica, o un problema psicologico che potrebbe essere reindirizzato. Ho cercato  filosofi o psicologi sociali che potessero suggerire modi per svegliare un mondo addormentato mentre le acque salivano e scendevano. Ma su questo punto chiave, Barbier tace. Secondo, omette quasi completamente la continua opposizione pubblica alla maggior parte delle sue misure proposte –  su come affrontare la cronica sottovalutazione dell’acqua – che è alimentata da fattori quali l’avversione alle tasse. Incrementi sostanziali dei prezzi dell’acqua, dei mercati idrici e della governance che comportano una maggiore predominanza del settore privato per molti sono un anatema (M. Catley-Carlson Nature 505 , 288-289, 2014). Negli anni 2000, grandi companies e altri players  sono stati cacciati dalla gestione delle risorse idriche, criticati da numerose organizzazioni non governative, dalla sinistra politica e dai sindacati. Questo movimento di base fa parte di una più ampia ondata di resistenza alla globalizzazione e alle società multinazionali. Ha influito sulla disponibilità del capitale di investimento, sulla direzione dei prestiti della Banca mondiale e su importanti elementi dell’opinione pubblica. Quindi, anche se in effetti se non è il suo intento, Barbier prescrive un approccio che è quasi certo che condurrà alla discordia, rendendolo problematico per i governi. Inoltre, dalla suo ragionamento mancano alcuni dei passi poco importanti fatti dalle  corporation  che però hanno innescato una protesta di successo. Terzo, Barbier ignora la tensione molto reale tra alcuni dei suoi suggerimenti sensati e la mancanza di capacità economica, infrastrutturale e governativa per attuarli di molti Paesi. Riconosce lo squilibrio tra governance dell’acqua e istituzioni e le nostre esigenze. Se questo deve essere un libro per il mondo, quella corsa ad ostacoli ha bisogno di più attenzione (forse anche una lista di prerequisiti sul terreno per una riforma). E benché copra bene la dissalazione, da appena uno sguardo a molti altri tipi di processi: il riutilizzo dell’acqua, il ritrattamento delle acque reflue e l’estrazione di risorse dalle acque reflue industriali e domestiche».

Insomma, la Catley-Carlson al (disatteso) referendum italiano per l’acqua pubblica avrebbe votato No e le sue critiche  danno il senso di due diversi approcci (che puntano più sul pubblico o sul privato) della governance di una risorsa sempre più scarsa nel mondo del riscaldamento globale e dell’Antropocene, ma non mettono in discussione, come scrive la stessa Catley-Carlson che «The Water Paradox è, tuttavia, non gergale e leggibile e descrive in modo brillante sia i problemi che i rimedi».

Barbier ritorna a quanto successo alle fontane di Roma: «Capire che il 2017 è stata la prima volta in 2000 anni che queste meraviglie dell’idro-ingegneria sono state disattivate in risposta alla siccità provoca lacrime di dolore e frustrazione. Sappiamo che sta accadendo. Non agiamo. Questo è il paradosso».