Amazzonia tra estrattivismo e Covid-19, cosa vogliono gli indigeni per loro stessi? Chiediamoglielo

Intervista a Julio Cesar Lopez Jamioy, coordinatore dell'Organizzazione dei popoli indigeni dell'Amazzonia colombiana, alla vigilia della prima assemblea mondiale sull’Amazzonia dei popoli della foresta

[17 Luglio 2020]

Alla vigilia della prima assemblea mondiale sull’Amazzonia dei popoli della foresta, che si terrà il 18 e il 19 luglio, abbiamo intervistato Julio Cesar Lopez Jamioy, coordinatore dell’Opiac, l’Organizzazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia colombiana. Fondata 25 anni fa, l’associazione rappresenta e difende i diritti delle 64 popolazioni indigene che vivono nella porzione colombiana della grande foresta pluviale: oltre 100.000 persone, distribuite su un territorio di 40 milioni di ettari. È inoltre parte della Coica, il Coordinamento delle organizzazioni indigene della conca amazzonica, che ha convocato per la prima assemblea mondiale sull’Amazzonia “contro l’etnocidio, l’ecocidio e l’estrattivismo aggravati dalla pandemia di Covid-19”. Una riflessione, uno scambio, un appello perché la situazione dei popoli indigeni che vivono nella foresta più grande del pianeta possano continuare a vivere una vita dignitosa, nel rispetto della terra e del “buenvivir”. Salvaguardando per tutti noi un patrimonio mondiale a livello ambientale e culturale.

La Colombia ha una peculiarità rispetto ad altri paesi dell’Amazzonia: una grande quantità di terra è stata riconosciuta come proprietà  delle popolazioni indigene. Come utilizzano gli indigeni questa terra?

«Qui in Colombia abbiamo un istituto giuridico stabilito nella Costituzione del 1991, risultato del grande lavoro svolto in quel periodo dai nostri leader, che riconosce ai popoli indigeni la proprietà collettiva della terra, sotto la forma di “resguardo”. Queste terre le abitiamo e le usiamo per la conservazione della foresta, per la nostra autosufficienza, per i nostri rituali, per viverci come popoli indigeni. Stiamo parlando di 24 milioni di ettari di foresta che gestiamo pensando non solo all’oggi, ma pensando ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai popoli indigeni del futuro. È il messaggio che i nostri anziani, i nostri nonni, ci hanno trasmesso».

Puoi parlarci dei conflitti sulla terra che attraversano oggi l’Amazzonia colombiana?

«I conflitti di cui soffrono e di cui hanno sofferto per molto tempo le popolazioni indigene dell’Amazzonia sono legati allo sfruttamento della terra e sono stati a lungo una ragione per rendere invisibile la nostra storia in Colombia. Ne è un esempio la vicenda dell’estrazione della gomma, una forma di economia che ha decimato o ridotto in schiavitù molte popolazioni amazzoniche.

Esempi come questo, dove sembra che l’Amazzonia sia terra di nessuno, ce ne sono molti. È il caso delle imprese minerarie e delle imprese per l’estrazione del legname, società che compiono attività illegali e che spesso sono alleate con gruppi armati. Ultimamente si assiste poi a nuova ondata di deforestazione di grandi estensioni di terra, per fare agricoltura intensiva. Assistiamo inoltre all’ingresso del business legato al turismo, di alberghi, di imprenditori turistici che stanno entrando nei nostri territori senza coordinarsi con le autorità indigene. In Amazzonia abbiamo dunque problemi gravissimi e abbiamo bisogno di rafforzare le nostre forme di governo e la nostra cultura, perché dobbiamo davvero affrontare dei veri e propri mostri che vengono dall’esterno e sono  molto ben organizzati».

In questo contesto già problematico cosa ha rappresentato l’arrivo della pandemia?

«Nel nostro caso la pandemia ci ha permesso di rendere visibili i problemi strutturali storici dell’Amazzonia colombiana. Sebbene in modo tragico, la pandemia ha portato a rivolgere lo sguardo alla foresta, e non solo sulle sue fragilità dal punto di vista ambientale,  ma anche dei popoli e  delle  comunità che la abitano.

Siamo stati in grado di dimostrare che esiste un sistema sanitario delle popolazioni indigene e come il tipo di economia che abbiamo noi popoli indigeni sia stato sufficiente e necessario per riuscire a mantenerci in questo periodo di pandemia. Questo non significa certo che non abbiamo problemi e che non abbiamo bisogno di aiuto. Ma quello che vogliamo chiarire ed evidenziare è che nell’Amazzonia colombiana esistono strutture di governo indigeno che devono essere rafforzate, perché in casi come questi, come la pandemia, è l’unica strada  che abbiamo noi, come popoli indigeni, per sopravvivere».

Cosa pensi sia importante lasciare come messaggio alle organizzazioni sociali, alla società civile di un paese come l’Italia o l’Europa?

«Abbiamo detto che non vogliamo essere un peso per la società, ma in questo momento abbiamo bisogno di solidarietà per poter portare aiuti umanitari di emergenza. E se abbiamo una possibilità di incidere sulla cooperazione, chiediamo che le ong ed i governi tengano conto della forma, delle strategie, del modo in cui i popoli indigeni pensano e sono organizzati, e che quando si fanno progetti per i popoli indigeni ci prendano in considerazione: prima nell’elaborazione e poi nella realizzazione dei progetti, non solo come beneficiari, ma anche come partner  e realizzatori. In questo modo, siatene certi, starete contribuendo a mantenere il nostro modo di vivere. Non vogliamo essere solo persone a cui qualcuno che viene da fuori dà un po’di aiuto. Vogliamo essere gli attori, vogliamo essere i protagonisti. Vogliamo essere quelli che decidono sulle realtà di ciò che sappiamo e conosciamo, che è l’Amazzonia colombiana».

L’Assemblea mondiale dell’Amazzonia si svolgerà online sabato 18 e domenica 19 luglio alle 15.00 in Ecuador, Colombia e Perù, alle 16.00 in Bolivia, Cile, Paraguay, Guyana e Venezuela, e alle 17.00 in Brasile-Sao Paolo, Guyana francese e Suriname (alle 22:00 in Italia).

Molti i gruppi di lavoro previsti. Cospe parteciperà alla “Campagna Covid”: strutturazione di una campagna mondiale per fare fronte ai gravi impatti del Covid-19 sulle popolazioni indigene e afrodiscendenti di tutta l’Amazzonia; alla “Campagna Boicottaggio”: campagna di boicottaggio a prodotti, imprese, investimenti, politiche governative, accordi commerciali e estrattivismo che distruggono l’Amazzonia; “Giornata globale di azione”: giornate di mobilitazione mondiale per fermare l’etnocidio, l’ecocidio e l’estrattivismo e salvare l’Amazzonia, essenziale per fronteggiare il cambiamento climatico.

Per partecipare a questo processo e ricevere il relativo Zoom link è necessario compilare il seguente modulo https://forms.gle/gViUA68EGPzbqRtV7. La prima Assemblea mondiale per l’Amazzonia sarà trasmessa anche su: https://www.facebook.com/asambleamazonica/ e https://www.youtube.com/channel/UC5uRVxQWBKbtyYZXj4_8Zkg

a cura di Roberto Bensi – cooperante Cospe in Colombia, per greenreport.it