Climate Change Performance Index 2020: l’Italia scende al 26esimo posto. Usa ultimi, la migliore è la Svezia

Legambiente: «L’Italia deve invertire subito la rotta con un Piano Clima-Energia ambizioso e coerente con la soglia critica di 1.5° C»

[10 Dicembre 2019]

Secondo il Climate Change Performance Index 2020, presentato alla COP Unfccc in corso a Madrid e realizzato da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute e con la collaborazione di Legambiente per l’Italia, «Le azioni messe in campo dall’Italia per fronteggiare la crisi climatica non sono sufficienti e appaiono inadeguate a dare piena attuazione agli obiettivi di lungo termine fissati nell’Accordo di Parigi».

Lo studio prende in considerazione la performance climatica di 57 Paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano circa il 90% delle emissioni globali. La performance è misurata, attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il CCPI si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.

Anche quest’anno il Climate Change Performance Index non ha attribuito le prime tre posizioni della classifica perché nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici in corso, in coerenza con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, e non superare la soglia critica di 1.5° C.

In testa, al 4° posto si classifica ancora una volta la Svezia «grazie ad un’ambiziosa politica climatica e una continua crescita delle rinnovabili», seguita dalla Danimarca che fa un balzo in avanti di 10 posizioni rispetto all’anno scorso. Sesto è il sorprendente Marocco e tra i Paesi emergenti, l’India delle metropoli inquinatissime migliora ancora la sua performance posizionandosi al 9° posto, grazie alle basse emissioni pro-capite e al considerevole sviluppo delle rinnovabili. La Germania avanza al 23esimo posto grazie ala recente approvazione dell’ambizioso pacchetto clima, che prevede tra l’altro il phasing-out del carbone entro il 2038.

Registra miglioramenti anche la Cina che raggiunge il 30esimo posto, grazie ad una politica climatica più incisiva e all’ulteriore sviluppo delle rinnovabili, ma la scarsa performance nella riduzione delle emissioni e nell’efficienza energetica continuano ad avere un peso negativo sul suo ranking.

La (brutta) novità à che per la prima volta da quando esiste questa classifica, l’Arabia Saudita lascia il 61esimo e ultimo posto cedendolo agli Stati Uniti di Donald Trump che continuano ad indietreggiare in quasi tutti gli indicatori compromettendo i passi in avanti fatti negli scorsi anni dall’amministrazione di Barack Obama.

In fondo alla classifica, prima di Arabia Saudita e Usa, ci sono. Iran (57), Corea del sud (58), Taiwan (59).

Ma il rapporto evidenzia che anche negli Usa «segnali positivi giungono dall’inedita Alleanza per il Clima – oltre 3.000 tra Stati, città, imprese nazionali e multinazionali, università e college – che sta lavorando per mantenere gli impegni assunti a Parigi attraverso un’azione congiunta che va oltre le attività dell’amministrazione federale».

Purtroppo il CCPI segnala un ulteriore crollo del nostro Paese nella classifica sulla performance climatica dei principali Paesi del pianeta e l’Italia perde ancora 3 posizioni e rispetto al 23esimo posto del 2018 e ben 10 rispetto al 16esimo di due anni fa. Questo, spiega Legambiente «nonostante una piccola riduzione delle emissioni (-1% nel 2018 rispetto all’anno precedente). Una performance negativa dovuta principalmente al rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (29esima posizione) e per una politica climatica nazionale inadeguata agli obiettivi di Parigi».

Il Cigno Verde ricorda che «La bozza del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) consente solo una riduzione delle emissioni al 2030 di appena il 37%. Un passo indietro rispetto alla Strategia Energetica Nazionale (SEN) adottata nel dicembre 2017 che fissava un obiettivo del 42%».

Ma purtroppo è l’intera Unione europea a fare un notevole passo indietro nella classifica CCPI, piazzandosi al 22esimo posto rispetto al 16esimo del 2018, «a causa della scarsa efficacia delle politiche nazionali che rischiano di compromettere il raggiungimento degli obiettivi al 2030 per clima ed energia. Infatti, secondo le recenti proiezioni dell’Agenzia europea dell’ambiente, il trend di riduzione delle emissioni al 2030 è di appena il 36%, inferiore all’inadeguato obiettivo attuale del 40%».

Da Madrid, dove sta partecipando alla COP21, il vicepresidente di Legambiente, Edoardo Zanchini, sottolinea che «L’Italia può e deve fare la sua parte nella lotta alla crisi climatica, ma serve un drastico cambio di passo rispetto al Piano Nazionale Integrato Energia e Clima proposto dal governo. Nel piano italiano non si va oltre una prospettiva di riduzione delle emissioni di appena il 37%, con una proiezione al 2050 del 64%. Obiettivo ben al di sotto delle possibilità del nostro Paese, come abbiamo recentemente dimostrato presentando una roadmap che consentirebbe di anticipare la completa decarbonizzazione della nostra economia entro il 2040, grazie ad un pacchetto di misure ambizioso e perfettamente praticabile fin da subito. Solo così l’Italia potrà essere protagonista in Europa nella lotta all’emergenza climatica e dare gambe ad un vero Green New Deal nella transizione verso un’economia globale libera da fonti fossili, circolare e a zero emissioni».

Il vicepresidente di Legambiente conclude: «Sarà così possibile colmare il ritardo degli anni passati e raggiungere una riduzione delle emissioni del 60% già entro il 2030, grazie al fondamentale contributo degli assorbimenti (-8%) indispensabili per compensare, in particolare, le emissioni del settore industriale che presenta le maggiori difficoltà per una rapida decarbonizzazione. Un impegno che anche l’Europa dovrà assumere nel corso della Cop25, andando ben oltre il 55% già proposto da diversi governi europei, dall’Europarlamento e dalla Presidente della nuova Commissione Ursula von der Leyen. L’Europa può e deve ridurre le sue emissioni di almeno il 65% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990, per raggiungere zero emissioni nette in modo economicamente efficiente entro il 2040, anticipando gli impegni di riduzione delle emissioni secondo quanto previsto dall’Accordo di Parigi per i paesi industrializzati».