In Europa produzione siderurgica da 170 milioni di ton/anno (con i relativi scarti)

Acciaio, la Toscana e le altre regioni Ue spingono per industria e occupazione sostenibili

Rossi: «Non è possibile che la Cina faccia la padrona del mondo sfruttando il dumping sociale e ambientale»

[16 Giugno 2016]

Dalla Lapponia a Piombino, ieri ha Bruxelles hanno preso parola i rappresentanti delle più importanti regioni dove si produce l’acciaio europeo. L’industria siderurgica del continente, nonostante numerosi affanni, rappresenta ancora un fatturato di circa 180 miliardi di euro, 328mila occupati diretti dislocati in più di 500 impianti in 23 Paesi Ue. Ogni anno produce 170 milioni di tonnellate d’acciaio, il 10% della produzione mondiale: tre lustri fa, nel 2001, la quota era più che doppia. Nel mentre a cambiare è stato il contesto internazionale, con la Cina che oggi produce circa la metà di tutto l’acciaio mondiale mentre nel 1999 era ferma al 15%. Per non morire, l’industria europea ha bisogno di una strategia coordinata.

«L’Europa non può e non deve abbandonate il settore dell’acciaio – ha dichiarato il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi – Il prezzo che si pagherebbe sarebbe l’impoverimento di tutta l’industria europea e della sua capacità di innovare e di competere in un mercato globalizzato». Il Comitato delle Regioni si è riunito per votare un progetto di parere sulle misure presentate nel marzo scorso dalla Commissione Ue per sostenere la siderurgia europea e l’occupazione in un’ottica di sostenibilità, mostrando di apprezzare il progetto ma sottolineando la necessità di azioni più incisive.

«In un mercato come quello siderurgico, dove i costi maggiori sono quelli dell’energia – sottolinea Rossi – sono necessarie un’armonizzazione e regole uguali per tutti per evitare un dumping interno. Servono anche norma più flessibili per gli aiuti di Stato, laddove ovviamente necessarie a sostenere processi di ristrutturazione. Chiediamo che si possa utilizzare il fondo regionale per lo sviluppo per interventi di innovazione od abbattimento delle emissioni in atmosfera e che i fondi Junker possano essere destinati ad investimenti per gli stessi fini da parte di privati». La prima battaglia rimane però quella contro la Cina, verso cui l’Europa deve essere «unita come un solo uomo. Non è possibile – chiosa Rossi – che faccia la padrona del mondo sfruttando il dumping sociale e ambientale».

La sfida della sostenibilità non può però procedere a passo di gambero, come sembra suggerire il Cor parlando di maggiore equilibrio tra la riduzione delle emissioni di gas serra nell’industria siderurgica e la competitività economica. Ogni tonnellata di acciaio prodotto in Europa causa emissioni di CO2 molto minori rispetto a quello prodotto in Cina o India, che hanno meno preoccupazioni ambientali – argomenta Isolde Reies, rappresentante del Saarland tedesco e relatrice del parere del Cor – Abbiamo bisogno di obiettivi realistici, che siano tecnicamente ed economicamente raggiungibili».

È proprio l’eredità lasciata dalla vecchia industria dell’acciaio sui territori d’Europa a suggerire la necessità di puntare sulla riconversione ecologica degli impianti per poter consentire una produzione sostenibile, in grado di continuare nel tempo. E questo non significa “solo” migliorare l’efficienza energetica degli impianti e ridurne le emissioni inquinanti e climalteranti. È indispensabile un’evoluzione complessiva dei processi industriali, mettendo al centro la sostenibilità dei flussi energetici come quelli di materia, dall’approvvigionamento alla gestione delle emissioni e degli scarti.

Per avere un’idea delle dimensioni in gioco si pensi che, se tutte e 170 le milioni di tonnellate d’acciaio prodotte in Europa provenissero dai più efficienti forni elettrici disponibili oggi sul mercato – un’ipotesi a dir poco minimizzante, che taglia fuori gli impianti più vecchi o quelli a ciclo integrale –, la dimensione dei conseguenti rifiuti speciali da gestire sarebbe pari a 25,5 milioni di tonnellate (ossia un rapporto prodotto-scarto che va da 1 a 0,15-0,20). E questo considerando solo forni elettrici di ultima generazione, che sono a loro volta veri e propri impianti di riciclo. In caso di ciclo integrale il rapporto raddoppia – nell’ordine di 1 a 0,40 – 0,45, dove fatto 100 di acciaio prodotto si hanno 40-45 di scarto –, come d’altronde è ben noto a Piombino. Oggi, bonifiche, riciclo e compatibilità ambientale delle future produzioni non sono un vezzo, ma il cardine per garantire lavoro e occupazione nel segno dell’efficienza.

«La Toscana è siderurgica da 3000 anni – conclude Rossi – e gli operai di Piombino in lotta vogliono ora certezze dall’Europa. Certo, se la Regione Toscana non si fosse fatta garante nell’accompagnare questo processo, anche tramite interventi infrastrutturali come quello del porto, e sopratutto se non avesse seguito la vicenda con il massimo impegno, difficilmente oggi potremmo registrare una soluzione che sostanzialmente salvaguardia l’occupazione e la produzione della zona».