Dai campi potremmo avere 8 miliardi di mc di biometano, ma in Italia gli impianti sono solo 2

Che cos’è l’economia circolare agricola e come può aiutare lo sviluppo sostenibile italiano

Al centro di questo modello c’è il digestore anaerobico: un assimilabile al pancione dei ruminanti dove, in assenza di ossigeno, avviene un naturale processo di fermentazione di materia organica che genera biogas e un biofertilizzante organico

[9 Luglio 2020]

Si parla oramai molto di economia circolare, mentre è meno consueto sentire discutere di economia circolare in agricoltura, sebbene la circolarità sia da sempre nella natura stessa del settore. Si tratta di dinamiche poco note, ma che vale la pena raccontare.

Al centro del moderno modello di economia circolare agricola c’è un digestore anaerobico ovvero un impianto che si può assimilare a un grande rumine – il cosiddetto pancione dei ruminanti – dove, in assenza di ossigeno, avviene un naturale processo di fermentazione di materia organica che genera biogas per la produzione di energia elettrica e calore rinnovabili. Se invece, il biogas viene sottoposto ad un processo di purificazione (upgrading) diventa biometano: gas metano rinnovabile del tutto analogo al gas che si usa per cucinare o come carburante per le automobili.

Ma qual è la materia organica che entra nel digestore? Qui inizia la circolarità e il concetto di digestore anaerobico quale presidio ambientale in territorio rurale. Entrano i reflui degli allevamenti, entrano gli scarti delle produzioni agricole, entrano i sottoprodotti dell’industria di trasformazione (solo per fare degli esempi, dalle buccette di pomodoro che residuano dalla produzione della salsa, ai raspi d’uva che risultano dalla vinificazione, agli scarti delle verdure dopo la lavorazione di prodotti di quarta gamma). Si crea un ciclo virtuoso per cui, quello che è scarto di una trasformazione diventa input da valorizzare in un altro processo. Per quel che riguarda i reflui, è importante sottolineare che il confinamento immediato nel digestore consente anche di contenerne le emissioni sia di metano che di ammoniaca.

Nell’alimentazione del digestore, integrato nell’azienda agricola, entrano anche seconde colture. Su questo punto è interessante aprire una parentesi perché in alcuni casi si è creata, nel tempo, un po’ di confusione.

Fare seconde colture significa coltivare sullo stesso terreno nello stesso anno due colture in rotazione, una di seguito all’altra. Una coltura viene prodotta a scopo alimentare o foraggero, la seconda coltura, invece, viene destinata alla produzione di energia. In questo modo l’azienda agricola può contare su due mercati utilizzando al meglio il proprio terreno. Ma, al di là della questione economica, ciò che è altrettanto importante è l’aspetto ambientale. Con questo metodo di coltivazione, infatti, la capacità fotosintetica dello stesso ettaro di terreno con due colture è maggiore rispetto alla classica coltura singola e questo determina un incremento di capacità di stoccaggio di carbonio nella pianta e, quindi, maggiore sottrazione di CO2 dall’atmosfera.

Tenendo il suolo coperto per la maggior parte dell’anno, inoltre, questo diventa più resiliente a piogge battenti e dilavamento che provocano erosione della parte fertile. Infine, poiché le infestanti crescono meno e si alternano diverse colture, saranno necessari meno prodotti chimici per il controllo delle malerbe, delle malattie e dei fitofagi. Con le doppie colture, dunque, si ottengono molti vantaggi ambientali e si supera la contrapposizione food vs fuel, ovvero la competizione tra produzioni alimentari e produzioni energetiche, da molti temuta quando si parla di impianti biogas. Si può produrre sia cibo che energia dallo stesso ettaro, non c’è conflitto.

La pratica delle seconde colture ha poi portato le aziende agricole, quasi naturalmente, ad aumentare il livello di innovazione e a ricorrere all’agricoltura conservativa, all’agricoltura di precisione. In questo modo si riducono gli impatti delle lavorazioni sul suolo e si ottengono elevati livelli di efficienza nell’uso dei carburanti, di acqua, di sementi e di fertilizzanti oltre ad un miglioramento della qualità del lavoro degli operatori.

Ma il fattore che consente la completa chiusura del ciclo produttivo è il digestato, ovvero, un altro prodotto della fermentazione anaerobica. Il digestato, ricco di sostanza organica e nutrienti, è un vero e proprio biofertilizzante organico che ritorna al terreno, incrementa la fertilità del suolo contribuendo al sequestro di carbonio nel suolo stesso e sostituisce quasi completamente i fertilizzanti di sintesi da fonti fossili riciclando i nutrienti contenuti nelle matrici organiche di partenza.

Questo è il modello agro-ecologico circolare che abbiamo chiamato Biogasfattobene, che consente di produrre un’energia rinnovabile, flessibile e programmabile, che può agire come fondamentale elemento di bilanciamento della rete elettrica, provvedendo energia rinnovabile quando le altre fonti (solare ed eolico) non produconoo, viceversa, interrompendosi nei loro momenti di picco. Questa flessibilità, quindi, sarà tanto più necessaria quanto più alto sarà il grado di diffusione di fotovoltaico ed eolico. Per questa ragione, auspichiamo che il patrimonio infrastrutturale costituito dal parco impianti esistenti possa avere le condizioni idonee a proseguire nella propria produzione.

Ricordiamo che l’Italia ha una leadership nel settore, essendo il secondo paese in Europa, dopo la Germania per numero di impianti biogas. Il biometano prodotto secondo il modello del biogasfattobene è invece un biocarburante avanzato 100% made in Italy che potrà contribuire alla decarbonizzazione di uno dei settori più emissivi: i trasporti.

Nonostante un buon decreto che ha posto le basi per la diffusione degli impianti, il DM 2 marzo 2018, per questioni legate ad alcune interpretazioni, il settore del biometano agricolo a oggi non è ancora decollato: ci sono solo due impianti, quando il potenziale di producibilità del biometano da matrici agricole è di circa 8 miliardi di m3 al 2030.

Queste, in estrema sintesi, le ragioni per cui gli impianti di biogas e biometano sono da considerare alleati dei territori, presidi ambientali, strumenti della sostenibilità e volani di sviluppo rurale.

Non ci sono motivi concreti per avversarli, anzi come ha sottolineato recentemente Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, durante un live su Facebook il 5 giugno scorso: «Il biometano è un’alternativa al modello di estrazione delle fonti fossili. Va promosso, accompagnato e richiesto a gran voce. L’economia circolare e la lotta alla crisi climatica si fanno con gli impianti, costruendo 1000 nuovi impianti di biometano, 1000 nuovi digestori anaerobici per produrre biometano da tutte le frazioni».

di Guido Bezzi, responsabile agronomia del Consorzio italiano biogas e gassificazione (Cib), per greenreport.it