Ecco il Piano nazionale energia e clima italiano, spiegato

Buone intenzioni sull'efficienza energetica, mentre per le rinnovabili l’Italia mostra meno ambizione dell’Europa

[9 Gennaio 2019]

Grazie al lavoro congiunto dei ministeri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico e dei Trasporti, finalmente l’Italia ha inviato ieri alla Commissione europea – dunque in ritardo di 8 giorni rispetto al termine ultimo previsto – la propria proposta di Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec). Si tratta di un documento contemplato dal regolamento sulla governance dell’Unione dell’energia, che rappresenta «uno strumento fondamentale per la politica energetica e ambientale del nostro Paese e dell’Ue per i prossimi 10 anni», come ha dichiarato il sottosegretario del Mise Davide Crippa. «Il Piano energia e clima inviato in Europa – aggiunge il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – è una precisa scelta di campo che condurrà l’Italia fuori dal fossile, come promesso».

In realtà le 238 pagine del Piano non sembrano affatto brillare per ambizione, nonostante alcune delle cinque dimensioni in cui si presenta strutturato (decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività) siano più avanzate delle altre. Su tutti il caso dell’efficienza energetica: «Il Piano – riassume Crippa – prevede una riduzione dei consumi di energia primaria rispetto allo scenario Primes 2007 del 43% a fronte di un obiettivo Ue del 32,5%, e la riduzione dei Ghg vs 2005 per tutti i settori non Ets del 33%, obiettivo superiore del 3% rispetto a quello previsto da Bruxelles». In altre parole le emissioni nazionali di gas serra vengono previste in declino dalle 433 Mt CO2eq del 2015 alle 328 del 2030, con un calo complessivo (nel periodo 2005-2030) del 65% raggiunto dalle industrie energetiche, del 36% per i trasporti, del 39% per il settore residenziale e del 41% per l’industria.

Molto peggio va sul fronte delle energie rinnovabili, il cui sviluppo sembra delinearsi più come un aggravio per le finanze pubbliche che un vantaggio (anche competitivo) per il Paese. Già nella prima pagina del Piano si rileva infatti che nell’ultimo «nonostante la crisi economica, gli oneri per il sostegno alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica sono sensibilmente cresciuti: considerando i soli incentivi coperti dalle tariffe, si è passati dai circa 3,5 mld€ del 2009 ai circa 15 mld€ del 2017». Questo ha «acuito la sensibilità affinché la sostenibilità, anche ambientale, del sistema energetico, sia perseguita con oculatezza e attenzione agli impatti economici sui consumatori». Impatti economici che – ricordiamo – relativamente al 2016 il Gse ha conteggiato in appena un 5% della bolletta energetica totale: è questo tutto il peso, peraltro già in declino, degli incentivi stanziati sia per le rinnovabili sia per l’efficienza energetica. Un “peso” che ha portato (solo per il 2016) a 39mila posti di lavoro e a tagliare tanta CO2 quanta ne avrebbero assorbita 2,2 miliardi di alberi.

Eppure il Piano nazionale energia e clima prevede un target inferiore per le rinnovabili italiane al 2030 di quello comunitario fissato dall’Ue con la direttiva Red II: 30% contro 32%, mentre a luglio 2018 il vicepremier Luigi Di Maio dichiarava che «raggiungere il 32% da fonti rinnovabili nei consumi finali significa che dobbiamo raddoppiare, in soli 10 anni, la produzione da rinnovabili. Passando dagli attuali 130 TWh a più di 200. Questi obiettivi, insieme al programma di decarbonizzazione, guideranno la stesura del Piano energia e clima».

«L’Italia – si legge invece oggi in quel Piano –  intende perseguire un obiettivo di copertura, nel 2030, del 30% del consumo finale lordo di energia da fonti rinnovabili, delineando un percorso di crescita sostenibile delle fonti rinnovabili con la loro piena integrazione nel sistema. In particolare, l’obiettivo per il 2030 prevede un consumo finale lordo di energia di 111 Mtep, di cui circa 33 Mtep da fonti rinnovabili». Un obiettivo così differenziato: 55,4% di rinnovabili nel settore elettrico, 33% in quello  termico e 21,6% nei trasporti.

Di particolare interesse risulta infine il focus sull’impatto economico del Piano energia e clima. Nel documento si stimano 7,2 miliardi di euro annui in più (nel periodo 2017-2030) di valore aggiunto rispetto alle politiche correnti, 115 mila occupati temporanei medi annui (Ula dirette e indirette) aggiuntivi e 13,2 miliardi di euro in più all’anno di investimenti. Tenuto anche conto che si tratta di «ricadute economiche e occupazionali lorde (ossia senza considerare eventuali effetti negativi in settori che potrebbero essere considerati concorrenti) degli investimenti negli interventi previsti nello scenario Pnec» è possibile e doveroso ambire a un’azione più incisiva. Modifiche che è auspicabile possano arrivare dal confronto del Governo col resto del Paese.

«Il Piano – aggiunge Crippa – è uno strumento che per raggiungere i propri obiettivi avrà bisogno del sostegno e della collaborazione attiva da parte di tutti gli stakeholders, sia nella fase di predisposizione che di realizzazione. Per questo, prevediamo una consultazione a tutti i livelli e, soprattutto, con le parti interessate, comprese le parti sociali». Una volta che il Piano sarà poi approvato dall’Europa diverrà vincolante, e l’Italia non potrà prescindere dagli obiettivi elencati.