L’auto elettrica e l’illusione delle emissioni zero

Incentivare il solo veicolo elettrico, senza una rimodulazione delle fonti energetiche a monte e delle fasi di produzione e smaltimento che lo interessano, sarebbe un processo incompleto

[5 Agosto 2020]

Le caratteristiche dei motori elettrici, un tempo trascurate a favore del termico, vengono oggi riscoperte perché capaci di incontrare e soddisfare le esigenze di una ritrovata e nuova coscienza ecologica ed ambientale. Ma con quali vincoli?

Prospettive e limiti dell’auto elettrica sono stati i temi al centro dell’incontro di una riflessione condotta da Arpat con Giovanni Ferrara, professore associato presso il dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Firenze, docente dei corsi e “Motori a combustione interna” e “Sviluppo e innovazione nei motori a combustione interna”, di cui l’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana dà un interessantissimo rendiconto.

Dopo un excursus sulla storia dell’auto elettrica, in parte già affrontato anche da greenreport di recente, rivisitato anche alla luce degli ultimi modelli sul mercato compresi i veicoli ibridi, Ferrara ricorda che l’obiettivo primario di contenere la presenza di inquinanti (NOx, CO, HC, Polveri sottili) nei centri urbani ha portato ad individuare proprio nel veicolo elettrico la soluzione più efficace. Ma perché “si tende spesso a confondere le emissioni di inquinanti tossici con quelle di CO2 che è un gas clima-alterante”.

In questo senso – è uno dei passaggi chiave dell’ingegnere – l’affermazione “emissioni zero” che spesso accompagna le pubblicità dei veicoli elettrici è da considerare con attenzione perché sia la produzione e lo smaltimento del veicolo che la produzione dell’energia elettrica che lo alimentano sono tutt’altro che ad emissioni zero. Pertanto, risalendo nella filiera produttiva, l’energia elettrica necessaria da qualche parte è stata sicuramente prodotta ed è anche molto probabile che derivi da combustibile fossile (almeno ad oggi, visto che gli ultimi dati Gse indicano che arriva da rinnovabili circa il 34% dell’elettricità italiana). Si parla in questo caso di emissioni inquinanti “indirette” in atmosfera che si sono verificate comunque ed in particolare di CO2.

D’altra parte è ben noto che l’energia elettrica non si trova in natura ma va prodotta e, ancora oggi, per la maggior parte anche in Europa, lo si fa utilizzando combustibile fossile. Questo implica che si introduce comunque CO2 in ambiente. Considerato che la CO2 non è un problema locale ma è un problema globale possiamo affermare che considerare il veicolo elettrico a zero emissioni è solo parzialmente vero; diventa del tutto vero nel caso in cui tutta l’energia necessaria alla sua produzione, al suo esercizio e al suo smaltimento derivi interamente da fonti rinnovabili. E questo è attualmente un’utopia, un obiettivo verso cui tendere.

Si sta assistendo ad una sempre maggior convergenza tra i soggetti interessati ad incentivare il passaggio all’elettrico (amministrazioni, società di erogazione di energia, produttori di veicoli) ma attualmente non appare essere la soluzione definitiva anche se è innegabile il valido contributo che questa tecnologia può dare nella diminuzione sia degli inquinanti a impatto locale che dei gas climalteranti.

Come da sempre molti osservatori fanno notare, anche per l’ingegnere Ferrara “un altro fattore di cui tener presente sono le procedure industriali inerenti le filiere di smaltimento delle batterie/accumulatori che ad oggi risultano usufruire di energia proveniente da fonti fossili e pertanto produttrici di CO2 derivanti dalle emissioni inquinanti “indirette”. Per i tre fattori, processo di produzione, smaltimento e produzione di energia da immagazzinare per la trazione, i veicoli a trazione termica sia diesel che benzina producono una quantità minore di CO2 rispetto ai veicoli elettrici”.

Ecco un altro punto dolens: in una abitazione civile ad oggi l’energia elettrica somministrata ha una potenza massima tipicamente pari a 3 kW ma per poter disporre di un punto di ricarica adeguato per impiantistica e potenza di erogazione, capace di supportare il “rifornimento” di un veicolo elettrico, occorre attivare un contratto di almeno 6-10 kW. Ciò non rappresenta di per sé un problema almeno finché il fenomeno rimane limitato a poche famiglie. Qualora il veicolo elettrico si diffondesse in maniera più massiccia si dovrebbe invece passare ad una rivisitazione profonda di tutta la rete elettrica.

Se facciamo l’ipotesi di far raggiungere all’elettrico il 30% sul totale dei veicoli venduti (obiettivo spesso ritenuto raggiungibile in 5-10 anni) per il trasporto privato e consideriamo che, secondo i dati Aci, ogni auto in Italia percorre una media di 10.000 km l’anno, considerando che un veicolo elettrico necessita di circa 15kWh per 100km, ne deriva che l’energia elettrica da aggiungere a quella già prodotta per l’attuale fabbisogno nazionale, si aggirerebbe sull’ordine del 5-6%. Si tratta di una quota certamente non trascurabile da aggiungere a quella già attualmente prodotta, anche perché non avrebbe senso pensare di produrla da fonti fossili altrimenti il vantaggio ambientale si perderebbe completamente.

Ecco allora che diventa importante capire che tipo di visione/scelta energetica ha individuato il paese per attuare in maniera parallela ed allineata il passaggio al trasporto elettrico. E su questo elemento si giocano anche quote di tributi, tasse, di spostamenti di accise e di pressione fiscale, tutti elementi di un risvolto di cui occorre tenere conto. Incentivare il solo veicolo elettrico, senza una rimodulazione delle fonti energetiche e delle fasi di produzione e smaltimento che lo interessano, appare un processo incompleto o quantomeno con delle zone d’ombra.

Verso quale modello andare, quindi? “Sembra abbastanza improbabile la creazione di un mercato privato di auto elettriche perché la loro gestione soprattutto in relazione alla ricarica delle batterie e al costo indiretto legato al loro invecchiamento non è semplice. È auspicabile che le batterie/accumulatori e le ricariche siano gestite da aziende specializzate che gestiscano sistemi di car sharing e questo ovvierebbe anche al problema della realizzazione di infrastrutture per attivare le singole utenze”.

Dunque “abbasso l’auto elettrica”? Assolutamente no, semmai il contrario: ma come per ogni cosa serve una visione globale delle opportunità e delle criticità e mai andare dietro agli slogan.