La violenza delle armi esplosive sulla popolazione civile in Yemen. L’appello a Parlamento e cittadini a far sentire la propria voce

Yemen: il massacro “made in Italy” di donne e bambini

Oxfam: «Negli ultimi 3 mesi aumentati del 25% i civili uccisi». Un Paese in ginocchio e il ruolo dell’Italia

[28 Novembre 2019]

Oxfam ha presentato oggi il nuovo rapporto “La violenza delle armi esplosive sulla popolazione civile in Yemen” dal quale emerge che «Dall’inizio del conflitto in Yemen in oltre 1 caso su 3 l’uso di armi esplosive ha ucciso una donna o un bambino. Vittime “collaterali” di raid aerei o bombardamenti via terra che colpiscono aree popolate, campi profughi, scuole e ospedali. Dal 2015 il 67% delle vittime civili è stato causato da attacchi aerei della Coalizione saudita, che hanno spezzato 8.000 vite innocenti. Bombardamenti che vedono l’utilizzo di armi prodotte in gran parte in Gran Bretagna, Usa, Francia, Iran e Italia».
I bmbardamenti, in particolare quelli effettuati dai Sauditi, hanno effetti devastanti su una popolazione allo stremo: in Yemen resta in funzione – e con gravissime difficoltà – solo il 50% delle strutture sanitarie del Paese, oltre 4 milioni di bambine e bambini che non possono più studiare perché 2.500 scuole sono state rase al suolo o ospitano gli sfollati che continuano a crescere di numero di mese in mese.
Il rapporto di Oxfam denuncia «L’orrore di un conflitto che – alimentato dall’export mondiale di armi – ha già causato 100mila vittime (20 mila solo nel 2019), tra civili e combattenti, cancellando ogni possibile futuro per chi è sopravvissuto. 11 milioni di bambini oggi non hanno nulla da mangiare o da bere. Milioni di madri e ragazze sono esposte a matrimoni precoci, molestie, tratta, prostituzione, nell’incubo costante che i propri figli, magari giocando o cercando qualcosa da rivendere in cambio di cibo, possano saltare in aria su una delle mine sparse anche nelle zone abitate o venire uccisi negli scontri».
Tra le tante testimonianze raccolte, Oxfam presenta quella di Malak, una 13enne, costretta a sposarsi per procurare una protesi al fratello Shadi di 5 anni, che aveva perso una gamba in un’esplosione, e dice che «Nella stessa condizione di Malak si ritrovano il 66% delle ragazze yemenite, “vendute”, costrette a sposarsi da famiglie disperate che solo così possono ridurre il numero di bocche da sfamare, o curare chi della propria famiglia è stato ferito o si è ammalato di colera. Il 76% circa degli sfollati interni sono donne e bambini e che in 1 un caso su 5 si tratta di ragazze sotto i 18 anni, responsabili della propria famiglia o di intere comunità di accoglienza».
Nel campo profughi di Jabal Zaid, una delle tante madri incontrate dagli operatori di Oxfam, Soud, ha raccontato la sua storia: «Due figlie di 3 e 4 anni spazzate via in un istante, nel lampo di un’esplosione in uno dei raid aerei che ha colpito il campo, mentre giocavano nella tenda che era diventata la loro casa. Altri 2 figli di 5 e 6 anni morti per mancanza di cure a causa del morbillo. Una grave disabilità come conseguenza dei traumi e la frustrazione di non poter provvedere alla vita degli altri figli sopravvissuti».
Le ONG come Oxfam, quelle accusate di essere trafficanti di carne umana e di lucrare sui profughi, sono sul fronte di questa tragedia che è anche una catastrofe umanitaria “made in Italy” dalla quale preferiamo distogliere lo sguardo, della quale i sovranisti di casa nostra non vogliono sapere niente per non veder crollare tutte le loro certezze sulla loro “civiltà superiore”. «Noi stiamo portando acqua pulita, cibo e servizi igienico sanitari a chi ha perso tutto come Soud – dicono a Oxfam – ma è difficile riuscire a nutrire la speranza di un futuro quando le bombe continuano a esplodere. Gli attacchi indiscriminati proseguono in aree popolate, causando la distruzione di infrastrutture vitali, come nel caso del nuovo violento bombardamento lanciato dagli Houti a Tahita, a sud della provincia di Hodeidah il 18 novembre, dove anche a causa della presenza del principale porto del Paese, continuano a morire 75 civili ogni settimana. O come nel caso del bombardamento, da parte della coalizione saudita, che ha colpito perfino un ospedale di Medici Senza Frontiere nel sud del Paese, lo scorso 6 novembre. Il 20 novembre un attacco sul mercato di Al-Raqw – nel distretto di Monabbih a Sa’ada – ha causato la morte di 10 civili e il ferimento di altri 18».
In questo Paese devastato e diviso in due, dove scorrazzano eserciti di occupazione e mercenari stranieri che tengono in piedi un governo fantoccio riconosciuto dall’occidente, tagliagole di Al-Qaeda, indipendentisti sudyemeniti e houti sciiti che occupano il nord e resistono ai bombardamenti sauditi e fanno esplodere due delle più grandi raffinerie del mondo, la stragrande maggioranza della popolazione – sunnita o sciita che sia – deve ormai fare i conti ogni giorno con la mancanza di cibo e di accesso ad acqua pulita e cure, in una sfida continua per accedere agli aiuti a causa dei combattimenti in corso. Oxfam fa notare che le conseguenze sono durissime per centinaia di migliaia di donne in gravidanza «colpite da malnutrizione acuta, che non potendo allattare i loro figli, spesso possono solo assistere alla loro morte».
L’ONG internazionale evidenzia che, in questo scenario genocida, «Dal Governo italiano non c’è ancora nessuna conferma pubblica sull’effettivo blocco all’export. Le grandi potenze mondiali, esportando armi in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno causato, anche se indirettamente, la morte di migliaia di innocenti e generato la più grave emergenza umanitaria al mondo. Esiste un giro d’affari da decine di miliardi di euro, visto che tra 2013 e 2017, il 61% delle importazioni di armi dell’Arabia Saudita provenivano dagli Stati Uniti e il 23% dal Regno Unito, mentre l’Italia tra 2015 e 2018 ha autorizzato export di armamenti italiani verso Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti per 1 miliardo e 363 milioni di euro, consegnandone per un valore di 1 miliardo. Sebbene lo scorso giugno il Parlamento abbia votato uno stop verso l’export di missili e bombe all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, ad oggi non vi è stata nessuna notizia pubblica dal Governo sulle effettive modalità di applicazione. L’Italia ha inoltre il dovere di rispettare le indicazioni del Trattato internazionale sul commercio sulle armi (ATT), ratificato nel 2014, che vincola la concessione di autorizzazioni all’export di armi italiane ad una valutazione preventiva del possibile impatto su donne e bambini. Valutazione, per la guerra in Yemen, che negli ultimi anni l’Italia sembra aver svolto male o non aver fatto proprio, visti i volumi autorizzati».
Due mesi fa Oxfam ed altre organizzazioni hanno chiesto un incontro con il ministro degli esteri Luigi Di Maio, ma ad oggi non è ancora arrivato nessun riscontro positivo. Oxfam conclude: «Mentre restiamo in attesa di una risposta dal Governo, chiediamo inoltre al Parlamento di interpellare il ministro per avere contezza su come sia stato reso effettivo lo stop parziale alla vendita di armi italiane, votato a giugno. Presentando inoltre un testo che vincoli l’Italia ad estendere la vendita di sospensione delle licenze a tutti i tipi di arma e verso tutti i paesi coinvolti nel conflitto. Si tratta di una battaglia di civiltà a cui tutti i cittadini possono contribuire facendo sentire la propria voce: chiedendo che si faccia subito tutto il possibile per alleviare le sofferenze del popolo yemenita, creando le condizioni perché il nostro Paese non si renda più anche solo indirettamente complice del massacro di civili in corso da più di 4 anni».