[13/12/2007] Comunicati

Il cosmopolitismo ai tempi dell´(in)sostenibilità

LIVORNO. Qual è il migliore dei mondi possibile? Ognuno di noi ha certamente una risposta diversa. Da Popper a Giddens fino a Naomi Klein sono in molti ad aver indagato e a continuare ad indagare sull’uomo globale del XI secolo e su quale potrebbe/dovrebbe essere l’orizzonte cui mirare. Un orizzonte necessariamente migliore sul piano sociale nel suo significato più ampio di uguaglianza, libertà, fraternità. Che non potrà esistere senza un’economia ecologica che impedisca all’uomo di tagliare il ramo sul quale sta seduto esaurendo tutte le risorse disponibili del pianeta. Nuove (?) frontiere con un vecchio (?) nemico, quel capitalismo che tutto prende, consuma e restituisce degradato: dagli oggetti ai sentimenti. Ma come combatterlo, anche se la malattia sviluppista, sempre intesa come crescita, non è solo del capitalismo? Per Ulrich Beck, sociologo tedesco professore presso la Ludwing Maximillians Universitat di Monaco di Baviera, il ‘cosmopolitismo’ è la risposta.

«Lo Stato cosmopolita – citiamo dal Corriere della Sera di ieri che ha pubblicato parte dell’ultima fatica di Beck – non nasce dalla dissoluzione e sostituzione dello Stato nazionale, ma da una trasformazione interiore, attraverso una ‘globalizzazione interna’. Le potenzialità legali, politiche ed economiche a livello locale e nazionale sono ristrutturate e spalancate al mondo». Beck parte dal fatto che lo Stato nazione e il multiculturalismo siano ideologie ormai al tramonto e la globalizzazione sia «assenza organizzata della responsabilità». Così propone, come altri, “una terza via” che è appunto quella del ‘cosmopolitismo’, l’apertura all’Altro e non la sua semplice accettazione. Come sconfiggere però lo strapotere consumista che impone il modello di società attuale?

Con i consumatori – sostiene Beck - che smettono di consumare. O meglio con il «consumatore politicizzato», che si rifiuta di fare quel determinato acquisto. E’ lui che decide di consumare altro rispetto alle griffe e che si organizza transnazionalmente, trasformandosi così «in un’arma letale». Sembra un po’ l’idea dei gruppi di acquisto, già sperimentata con successo da diverse parti, ma che elevata a futura organizzazione transnazionale pone diversi interrogativi. Creare un mercato parallelo è un’ipotesi, riconvertire il mercato attuale in senso ecologico è un’altra che ci pare abbia però qualche chance in più. Perché sfrutta un meccanismo già rodato e combatte (combatterà) con le stesse armi. Diversamente ci pare destinato a rimanere testimonianza. Anche perché, questa scelta dei consumatori avrà dei tempi piuttosto lunghi, troppo probabilmente, e non si può pensare di imporre un nuovo modello per decreto regio…

Trasformare i muri in ponti è la conclusiva tesi contro l’uomo globale di Beck, ed è una metafora nella quale ci ritroviamo di più. La ‘prospettiva cosmopolita’ del sociologo tedesco è veramente entusiasmante pur partendo da un multiculturalismo dato per assodato e che invece ci pare ben lontano dall’essere realizzato. Sì, perché la società in cui viviamo ancora non è arrivata neppure a quella tolleranza (pur se di malavoglia come dice Beck) dell’Altro. Anzi, siamo più spesso di fronte a un’intolleranza senza se e senza ma. Ad un non riconoscimento dell’Altro. Ma siccome Beck guarda avanti, molto avanti, è senz’altro auspicabile che arrivi il tempo del cosmopolitismo permetta di superare la logica di “o l’uomo o l’altro” per approdare a quella “sia l’uomo che l’altro”.

«Bisogna trasformare – dice Beck – in realtà la metafora, i ponti devono spuntare non solo nella testa delle persone, nella mentalità e nell’immaginazione, ma anche in seno a nazioni e località (…), nei sistemi normativi (diritti umani), nelle istituzioni (Ue), come nella politica interna globale, che intenda fornire una risposta alle problematiche transnazionali (politica energetica, sviluppo sostenibile, lotta contro il riscaldamento del pianeta, battaglia contro il terrorismo». Nell’attesa dunque che quella metafora si realizzi, che si schiudano le porte di un mondo migliore, bisogna che si agisca nella situazione data e si cerchi – nei limiti del possibile – di governare questa globalizzazione, orientando il mercato verso la sostenibilità ambientale e sociale cosa che, se non vi si arriverà con la forza delle idee, c’è il forte rischio che ci si arrivi con la forza della natura…

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