[08/02/2008] Comunicati

Multinazionali e Cina, pulite in patria e sporche a Shanghai?

LIVORNO. Qualche giorno fa greenreport ha dato notizia che da febbraio in Cina sarebbe partito un giro di vite contro le industrie straniere inquinanti che operano nel Paese. In seguito ad una campagna congiunta avviata dai media e Ong cinesi, l’Agenzia statale di protezione ambientale (Sepa) ha già stilato, iniziando dal 2004, un elenco di 130 multinazionali “cattive”.

Nel 2006 l’Institute of Public and Environmental Affairs (Ipea), una Ong di Pechino, ha denunciato pubblicamente le multinazionali, tra le quali marche famose come Pepsi, KFC, Carlsberg, Nestlè, GM, Dupont e 3M, di aver pesantemente inquinato acqua, suolo ed aria. Secondo l’Ipea, tra le multinazionali presenti in Cina 260 inquinano le acque, 50 l’aria. Gli inquinatori più recidivi sono i giapponesi, ma anche statunitensi ed europei non scherzano, e nessuna tipologia di industria è immune dal vizietto dell’inquinamento.

Le multinazionali, che in Occidente cercano sempre più di dare di sé un’immagine “ambientalista” per conquistare il cuore dei clienti, quando arrivano in Cina si trasformano (o forse tornano alle origini). Un “doppio standard” che prima era accettato, ma che da un po’ di tempo ha iniziato ad irritare i cinesi. Va detto che la faccia sporca delle multinazionali è ben coperta e favorita dalle autorità locali che, come in tutti i Paesi in via di sviluppo, tollerano i comportamenti non proprio ambientalmente sostenibili delle grandi industrie straniere.

Nonostante il governo comunista mostri la faccia dura, la realtà è che la mancanza di controlli reali favorisce il comportamento inquinante delle industrie e le multe sono spesso così basse da non costituire un reale deterrente. L’ammenda massima per un grave inquinamento delle acque è di un milione di Yen (circa 140 mila dollari), per l’inquinamento atmosferico è poco più della metà, ma nella maggioranza dei casi le multe saranno di 10 mila yen .(14 mila dollari), e nessuno investirà in depuratori e filtri costosi se ogni tanto dovrà pagare un cifra così bassa.

Più che altro sembra di essere davanti ad una tassa, una specie di agevole balzello che permetterà di continuare ad inquinare con un sovrapprezzo insignificante rispetto al giro di affari ed al basso costo del lavoro. Le multinazionali contano poi sulla sempre disponibile copertura dei funzionari e degli amministratori locali, anche perché, come prevede ad esempio il regolamento della municipalità di Anhui (simile a molti altri), i piani di ispezione alle fabbriche dovranno essere comunicati dettagliatamente e con un mese di anticipo, e non potranno essere eseguite più di una volta all’anno.

Amministratori locali e multinazionali puntano tutto sulla bassa importanza che l’opinione pubblica cinese dà ancora ai problemi ambientali e di qualità, ma anche in Cina la sensibilità della nuova massa di consumatori sta cambiando e si cominciano a mettere in atto le prime timide azioni di protesta e di boicottaggio verso le industrie inquinanti.

Le multinazionali hanno comunque scarsa attitudine ad auto migliorare le loro prestazioni ambientali in mancanza di regole più stringenti e di un effettivo controllo pubblico e, nonostante le nuove leggi, la strada cinese verso la società armoniosa sembra ancora molto difficile e lunga, se dovranno passarci anche le ingombranti fabbriche che riforniscono il mondo di prodotti puliti in patria e sporchi a Shanghai.


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