[11/06/2008] Comunicati

L’impronta ecologica dell’Africa pesa poco ma è quasi al limite

LIVORNO. Secondo il rapporto Africa’s ecological footprint, gli africani consumerebbero ancora meno risorse ambientali pro-capite degli altri abitanti del pianeta, ma l’aumento della popolazione sta portando anche l’Africa verso il proprio limite ecologico. Africa-Ecological Footprint and human well-being, la prima valutazione dettagliata di questo tipo che riguarda il continente, è stata preparata dal Wwf e dal Global footprint network e presentata alla Conferenza dei ministri africani dell’ambiente. Lo studio evidenzia che l’impronta ecologica di ogni africano (una stima della quantità di terra e di mare necessaria a soddisfare ogni anno il consumo personale) era di 1,1 ettari nel 2003, la metà della media mondiale di 2,2 ettari a persona e lontanissima dai record Usa e di altri Paesi ricchi.

«La nostra ricerca – spiega Emeka Anyaoku, presidente del Wwf International - dimostra che in media l’Africa ha un basso impatto ambientale rispetto agli standard occidentali. Ma un numero crescente di Paesi africani stanno ormai consumando le loro risorse ambientali, o lo faranno prossimamente, più velocemente di quanto può essere sostituito».

I Paesi africani con l’impronta ecologica più forte sono Egitto, Libia e Algeria (tre Paesi petroliferi) che vivono ben al di là delle loro possibilità ecologiche, ma anche Marocco, Tunisia, Etiopia, Kenia, Uganda, Senegal, Nigeria, Sudafrica e Zimbabwe hanno un consumo di risorse alla capacità biologica nazionale.
Nel 2003, a livello globale, il consumo mondiale di biocapacity era stato superato del 25% e le proiezioni economiche sul 2050 dimostrano che allora avremo bisogno di due pianeti terra per sostenere l’impronta dell’umanità sull’ambiente. Current business-as-usual projections show that humanity will require the resources and waste absorption capacity of two planets by 2050.
Il rapporto spiega che «Al contrario, la biocapacity globale africana è di 1,3 ettari a persona, poco più di quanto hanno raggiuntogli africani, ma del 28% inferiore alla media mondiale di 1,8 ettari globalmente disponibili». I pericoli vengono soprattutto dal raddoppio della popolazione africana previsto per il 2050, inoltre i Paesi africani si piazzano sul fondo della classifica dell’Human development index, mentre in gran parte del continente la penuria di risorse idriche è in aumento.

«Non c’è un forte impegno internazionale per migliorare il benessere umano in Africa e per promuovere gli Obiettivi di sviluppo del millennio per ridurre la fame e le malattie – spiega Mathis Wackernagel, direttore esecutivo del Global footprint network – Ma per avere un successo duraturo, abbiamo bisogno di lavorare per vincoli di bilancio ecologico, invece che contro. Lo sviluppo che ignora i limiti delle nostre risorse naturali finisce per imporre costi sproporzionati alle fasce più vulnerabili, come ad esempio i poveri delle aree rurali, la cui salute dipende per la maggior parte dai sistemi naturali».

L’Africa’s ecological footprint rileva però anche tendenze incoraggianti, come i segnali di ripresa della consistenza delle popolazioni di alcuni animali selvatici nell’Africa orientale, e l’attenzione crescente dei governi africani verso le tematiche ambientali come problema chiave dello sviluppo e per mettere in campo efficaci politiche nazionali di riduzione della povertà.
«Non c’è alcun dubbio che l’Africa debba affrontare grandi sfide ecologiche – dice Anyaoku – ma ci sono segnali positivi che l’impatto ambientale possa essere invertito. L’impronta ecologica dell’Africa è sempre più grande, ma il problema non è solo l’Africa. Spetta a tutti noi invertire la tendenza».

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