[24/07/2006] Recensioni

La Recensione - Semiotica della pubblicità di Ugo Volli

Ugo Volli insegna semiotica del testo e della pubblicità all’Università di Torino.
La semiotica, come è noto, è tradizionalmente definita come la scienza dei segni ed è attraverso questo prisma che Volli analizza la pubblicità. Un´analisi non da un punto di vista psicologico o sociologico o economico dunque. «La semiotica si differenzia da queste analisi per il fatto di mantenere la propria attenzione focalizzata sulla dimensione testuale dell’attività pubblicitaria”.

Non è facile per un lettore non introdotto alla complessa multidisciplinarietà del nesso economia-ecologia afferrare il nocciolo della critica di Volli e del suo giudizio sullo stato di crisi che, sotto l’aspetto semiotico appunto, vivrebbe la pubblicità.

Volli conia un neologismo, la semiosfera, e lo accosta non a caso alla biosfera. «La semiosfera è altrettanto delicata e fragile della biosfera, e come questa, è altrettanto bisognosa di cura e di un atteggiamento ecologico».

Il “punto sottile” di analisi viene individuato nel fatto che «per quanto possa apparire che il discorso pubblicitario riempia di senso le marche di cui parla, la sua operazione fondamentale è un’altra, quella di opporre merci e marche potenzialmente simili, di istituire differenze dove materialmente non ci sono, di costruire opposizioni……….Il valore semiotico consiste in queste opposizioni e non certo negli attributi, spesso banali o poco pertinenti o comuni a tutti i concorrenti, che vengono riferiti ai prodotti».

E’ così che il nuovo prodotto appena lanciato viene sistematicamente valorizzato a svantaggio di ciò che era nuovo fino a poco tempo fa e che ora diviene vecchio e fuori moda. L’obsolescenza controllata e pianificata delle produzioni e dei prodotti (compreso quelle e quelli low cost importati dalla Cina) accelera non il tasso di consumo ma quello della sostituzione del parco dei beni.

In questo senso dice Volli, si potrebbe persino sostenere, paradossalmente, che la pubblicità ha una natura contraria alla razionalità economica in quanto, come strumento semiotico valorizza esclusivamente i consumi individuali a scapito di quelli collettivi.

Su questo fronte, dell’esasperata promozione dei consumi individuali, la pubblicità e i media si sono concentrati su forme di comunicazione iperseduttive, orientate cioè nel convincere le persone, escludendo totalmente i contenuti e le informazioni. Più che parlare di merci, la pubblicità e i media parlano seduttivamente ai destinatari di loro stessi. Non a caso si parla di infotainement. Cioè l’informazione assomiglia sempre più alla pubblicità e viceversa.

«Un potente fattore di inflazione semiotica ( e quindi, secondo Volli di crisi), viene da qui: non solo la pubblicità ha invaso il sistema dei media ma tutti i media si son fatti pubblicità». A tal punto che non esisterebbe media senza pubblicità e viceversa. In questo modo si è oggetti di un iperseduttivo e sistematico suggerimento ad una rincorsa infinita all’acquisto di novità tutte uguali e tutte ugualmente inutili che trasforma l’intera sfera pubblica in “un immaginario paese dei balocchi”.

Se, diversamente da Volli, nella critica alla pubblicità adoperassimo la sociologia e la psicologia (o le semplici valutazioni empiriche derivate dal “rapporto sullo sviluppo umano” dell’Undp, piuttosto che dai rapporti della Banca mondiale o del Worldwatch o di Findomestic o del Censis o dell’Istat ) ci renderemmo subito conto che ciò che Volli definisce «crisi da inflazione semiotica» non è la febbre da curare, bensì il termometro che la misura. La febbre è derivata proprio dalla perdita delle grandi narrazioni e dalla loro sostituzione con quelle leggere costruite intorno alle marche e a tutto ciò che le può veicolare: calcio in primis.

Se fosse così, dice Volli sconsolato, «la nostra società si troverebbe di fronte a una crisi drammatica di inflazione da leggerezza». Già! Come è stato appunto osservato, la guerra che dura da anni nel campo dell’informazione e della comunicazione, tra le industrie delle reti, quelle dei computer e quelle della TV sono alimentate esattamente dall’industria della pubblicità. Può darsi che l’affermazione di Riccardo Petrella per la quale «le nostre società non hanno più il senso della …..società, del vivere insieme, della comunità umana, del bene comune che il welfare aveva costruito» rappresenti una visione disperata, ma l´imponente sondaggio commissionato dal Wall Street Journal Europe alla Gfk custom research worldwide su circa 21.000 persone in 20 paesi offre una fotografia chiara su cosa scatta nella testa del consumatore al momento del fatidico sì (alla cassiera).

C’è un esercito allegro e gagliardo che non aspetta altro che togliersi tutte le soddisfazioni consumistiche sacrificate in gioventù per mancanza di liquidità. Fra gli under 30 le emozioni sono il motore principale all´acquisto: «compratori d´istinto» (57%), trend-followers (57%), comprano per il piacere di farlo (69%). Solo la sensibilità ai saldi (74%) li riporta su un prosaico piano di realtà».
E dunque, ”se guardiamo dietro l’angolo”, come diceva un vecchio dirigente politico, l’unica cosa che si riesce a vedere è solo “un altro angolo”.

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