[06/09/2007] Comunicati

Cambiamenti climatici, solo estendendo i parchi si possono salvare piante e animali

LIVORNO. L’attuale estensione delle aree protette in Italia non potrebbe essere sufficiente per salvare dalla siccità e dal cambiamento climatico la più ricca biodiversità vegetale ed animale esistente nell’intero continente europeo. Secondo i dati forniti da ministro dell’ambiente ed Apat «i cambiamenti climatici stanno influenzando la fisiologia, la distribuzione e il ciclo vitale delle diverse specie di piante europee. Una valutazione sulla futura distribuzione di 1.350 piante (pari al 10% della flora europea) ha indicato che più della metà delle specie prese in considerazione diventerà vulnerabile, minacciata, a rischio di estinzione o estinta entro il 2080, se non riuscirà a occupare un territorio più vasto. Se si prende in considerazione lo scenario climatico più estremo e assumendo che le specie riusciranno ad adattarsi tramite dispersione, il 22% di queste sarà a rischio di estinzione e il 2% è destinato ad estinguersi».

Alcune piante, come sta già accadendo oggi, si salveranno spostando il loro areale verso nord, altre verranno confinate dal caldo che avanza in “isole” sulle cime montane del Mediterraneo.
Ma il rischio è sempre più forte anche per gli animali, a cominciare dagli anfibi e dai rettili di cui molte specie rischiano di sparire da isole e sud italiani spazzati via dal caldo che risale il Mediterraneo.

«La maggior parte delle specie di anfibi (tra il 45 3 il 69%) e rettili (61-89%) – sottolinea il ministero dell’ambiente - potrebbe colonizzare nuovi territori, se fosse loro consentito di disperdersi senza alcun ostacolo. Diverrebbero infatti adatte molte zone settentrionali fino a oggi troppo fredde, creando così nuove opportunità territoriali. Qualora però queste migrazioni non fossero possibili, il territorio occupato dal 97% delle specie diminuirebbe drasticamente, in particolar modo al Sud dove molti anfibi non riuscirebbero a sopravvivere in condizioni aride. Di questa situazione beneficerebbe il Nord Europa che assisterebbe ad un aumento della biodiversità».

Per il climatologo Vincenzo Ferrara (Nella foto), responsabile scientifico della Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici, promossa dal ministero dell’ambiente e organizzata da Apat: «Per contrastare l’effetto dei cambiamenti del clima, l’estensione delle aree protette in Europa dovrebbe aumentare del 43%. Altrimenti una parte decisiva importante della biodiversità preservata all’interno delle aree protette rischia di estinguersi con le mutate condizioni. Centinaia di specie vegetali, tra il 6 e l’11% delle specie, che si trovano nei parchi rischia di non essere adatto alle nuove condizioni climatiche da qui a 50 anni. Questa percentuale scende al 5% se si considera tutto il territorio, compreso quello al di fuori delle aree protette. Nei parchi, infatti, sono contenute specie più rare e vulnerabili: solo se si protegge un areale maggiore la biodiversità potrà avere lo “spazio fisico” per trovare le condizioni di sopravvivenza».

Secondo il rapporto dell’Ipcc, il panel di scienziati dell’Onu sul clima, perché 1200 specie di piante crescano in almeno 100 chilometri quadrati, in condizioni di consistente livello di biodiversità, già oggi il territorio protetto in Europa dovrebbe essere del 19% in più, prendendo in considerazione i cambiamenti climatici, le aree protette dovrebbero avere un aumento di superficie del 43%. Invece i parchi italiani occupano il 10% del territorio nazionale, ancora troppo poco per salvare davvero piante ed animali: se si seguono le indicazioni degli scienziati dell’Ipcc, le aree protette devono raggiungere almeno il 15%.

Per il ministro dell’ambiente Pecoraro Scanio «L’allarme che arriva dal mondo della ricerca è importante: se i gas serra continueranno nella loro corsa, il pianeta è destinato a diventare un luogo inospitale, soprattutto alle nostre latitudini. Credo che questa raccomandazione vada presa con grande serietà: i parchi sono oggi più che mai un’arca di Noè che ci consentirà di traghettare la natura e quindi le condizioni di sopravvivenza dell’umanità al di là del cambiamento del clima, già in atto. Le aree protette nazionali sono oggi il 10% del territorio italiano, cui si aggiunge un altro 10% del nostro paese tutelato da direttive europee, con i Sic (siti di importanza comunitaria) e le Zps (zone di protezione speciale), per cui il ministero dell’ambiente sta definendo strumenti di tutela più efficaci. Occorre ripensare, dati alla mano, alla quantità e alla qualità della natura protetta: parchi, ma anche aree contigue, rete ecologica. Le zone protette nel nostro paese rappresentano l’argine ancora più efficace alla distruzione del territorio. La Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici deciderà la direzione di queste politiche».

Ma ecosistemi e biodiversità soffrono anche di frammentazione e degrado a causa dell’urbanizzazione e di attività antropiche sempre più invasive. «La prima azione di adattamento – spiga l’Apat - è la “deframmentazione” cioè il recupero ed il ripristino ecologico dei sistemi naturali nel loro insieme (fuori e dentro i parchi). La seconda azione è costituita dal garantire una rete ecologica, cioè “corridoi” di collegamento tra i parchi per la dispersione di specie target. L’attuale progettazione di aree protette deve prevedere necessariamente anche la realizzazione di corridoi di comunicazione. Nonostante l’importanza di pianificare diversamente l’istituzione e gestione di aree protette, però, l’unica soluzione possibile per salvaguardare alcune specie di piante rimarrà quella di preservarne il germoplasma all’interno di orti botanici specializzati fino al ristabilirsi di condizioni climatiche più adatte».

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