[10/10/2007] Comunicati

Global-ization, global-warming e no-global governance...

LIVORNO. Sul fatto che le disuguaglianze a livello planetario aumentino, sono tutti d’accordo. Sarebbe infatti assai difficile negare un dato di realtà che si evince dai rapporti ufficiali. Sulle motivazioni che hanno portato invece a questa condizione di forbice sempre più divaricata tra ricchi e poveri (per usare una semplice ed efficace antinomia, ma che in realtà è assai più complessa nella sua manifestazione ) sono invece diverse le posizioni.

C’è chi ne affida la responsabilità al processo di globalizzazione dei mercati– fra questi anche gli attuali democratici statunitensi - che se è vero abbia contribuito ad un innalzamento generalizzato del livello dei redditi pro capite e quindi a ridurre in termini assoluti la povertà della popolazione (basta pensare a Paesi come Cina o India) in termini relativi ha fatto aumentare la disparità tra chi era già benestante (in termini di reddito), che ha accresciuto più rapidamente il proprio status, e chi si trovava in stato di povertà. Un processo che ha anche determinato, per le modalità e per il breve tempo con cui si è verificato, un forte peggioramento delle condizioni ambientali, con inquinamento massiccio dell’aria, dell’acqua, e in generale un forte impatto sul capitale naturale.

E ancora una volta l’esempio di paesi come Cina e India, risulta assai esplicativo. Ma per il Fondo monetario internazionale invece, il contributo dato dalla globalizzazione a questo aumento della forbice tra ricchi e poveri, sarebbe assai modesto, mentre il vero responsabile sarebbe il differente progresso tecnologico, inteso come accesso alle tecnologie e alla capacità di utilizzarle.

Che è poi nient’altro che un altro corno del problema che ruota ancora attorno alla globalizzazione. O meglio all’incapacità da parte della politica nazionale o globale di governarla.

Perché l’apertura dei mercati economici, se da una parte contribuisce a far crescere i redditi interni, dall’altra aumenta l’esposizione dei paesi al rischio di schock esterni, quindi accresce le insicurezze economiche ed esige un forte coinvolgimento da parte degli stati nazionali per compensarlo. «Per essere efficace – per dirla con le parole di Jean Paul Fitoussì- essa richiede un aumento delle spese pubbliche e della sicurezza sociale, oltre che una direzione attiva delle politiche economiche». Che detto in altre parole significa miglioramento e crescita dei sistemi di educazione e formazione che danno poi la possibilità di accedere in maniera proficua alle tecnologie, ad esempio.

Significa aumentare le spese per lo stato sociale, per la sanità, per i servizi al cittadino, per le abitazioni. In una parola significa porre maggiore attenzione e fondi al welfare.

Lo stesso Fmi ammette che la globalizzazione andrebbe accompagnata da riforme di supporto e che questo sia però difficile in un ambiente in cui la forbice della disuguaglianza si allarga . A dimostrazione del fatto che rendere sostenibile la globalizzazione non è cosa facile, se non addirittura impossibile a meno di un processo di riorientamento delle politiche interne cui si deve affiancare una governance a livello globale: che però al momento non esiste e non si vede neanche all´orizzonte.

Lo dimostra la difficoltà del mettere in atto politiche coordinate per contenere l’aumento delle emissioni di gas serra, che come viene anticipato dal ricercatore australiano Tim Flannery, hanno raggiunto concentrazioni oggi, che secondo le stime avremmo dovuto vedere tra dieci anni. E sulla cui necessità – al di là delle stime più o meno pessimistiche- ormai esiste accordo sia da parte del mondo accademico e scientifico, come dimostra l’appello lanciato ieri al simposio di Potsdam da quindici tra i più noti premi Nobel, sia a livello politico. Dove anzi c’è chi punta a rilanciare obiettivi sempre più ambiziosi, come ha fatto sempre ieri Angela Merkel intervenuta alla riunione interdisciplinare sull’ambiente dei premi Nobel.

Una governance globale assente in un contesto di politiche nazionali scoordinate e con una economia globale che da anni cresce al ritmo del 5%: una situazione assai poco favorevole (per usare un eufemismo) per far fronte a sfide così complesse.

Una situazione in cui la proposta avanzata dai nobel per la pace – dal Dalai Lama a Rigoberta Manchu, da Luis Sepulveda a Michil Gorbaciov- di istituire una Corte penale internazionale per inserire il disastro ambientale come crimine contro l’umanità, seppur alta nel suo valore simbolico, avrebbe però scarsa probabilità di vedere punito il responsabile.

Torna all'archivio