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Papam Americanum habemus. È Robert Prevost, Papa Leone XIV. Non il “candidato” di Trump, ed è già un segno divino. Richiama nel nome il Papa della Rerum Novarum dalla parte dei lavoratori e del sociale. Sulle orme di Bergoglio su pace, clima, migranti

 |  Editoriale

Direbbe quasi tutto la scelta di Papa Robert Francis Prevost annunciata dal loggione di San Pietro di chiamarsi Leone. Come Leone XIII, 256º pontefice dal 20 febbraio 1878 al 20 luglio 1903, il Papa della dottrina sociale della Chiesa con l'enciclica Rerum Novarum del 1891, al tempo dell’inizio delle lotte di classe nella prima industrializzazione e dell’emersione della “questione operaia”, che aprì l’era dei diritti dei lavoratori, della giustizia sociale nell'avanzata del capitalismo industriale, sollecitando la formazione di associazioni sindacali operaie e per i datori di lavoro la necessità della solidarietà cristiana e l’attenzione ai poveri, e agli Stati un ruolo positivo nei nuovi conflitti tra capitale e lavoro.

Dalla quarta votazione in conclave Papa Leone XIV è il nuovo Pontefice. Un Papa nordamericano ma il meno nordamericano tra i cardinali Usa e tutt'altro che Trumpiano. Che si impegnerà a “costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace”. E non a caso il suo primo appello è stato per la “pace disarmata e disarmante”.

Agostiniano, Bergogliano, progressista, riformatore, fuori dai radar dei media ma dentro i guai del mondo. Un Papa poliglotta, che ha accompagnato Papa Francesco in diversi viaggi internazionali. Nato a Chicago il 14 settembre del 1955, come lui raccontava in una rara intervista al Tg1: “Sono nato negli Stati Uniti, i miei genitori sono nati a Chicago, però i nonni erano tutti immigrati, francesi, spagnoli”. Cresciuto in un ambiente multiculturale, gli studi nel seminario dei Padri Agostiniani nel 1973 la laurea in matematica e in filosofia nel 1977 all’Università di Villanova di Filadelfia, la licenza in teologia alla Catholic Theological Union di Chicago e nel 1984 la licenza in diritto canonico alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino a Roma. È sacerdote dal 1982, addottorato in diritto canonico all’Angelicum romano dei domenicani nel 1987, è stato missionario per venti anni in Perù nella missione di Chulucanas, poi nella missione di Trujillo, nel 2011 eletto Priore generale dell’ordine degli agostiniani con missioni e viaggi in ogni angolo del mondo, poi nel 2014 con Papa Francesco di nuovo in Perù ma come vescovo e da vicepresidente della Conferenza episcopale peruviana mediatore per la pace e la transizione democratica del Paese.

Un teologo cosmopolita, agostiniano di fucina progressista, a Chicago collaboratore del cardinale arcivescovo Blaise Cupich, distante mille miglia da Donald Trump. E da missionario in Perù amico e estimatore di padre Gustavo Gutierrez, il fondatore della Teologia della Liberazione. Nella Curia romana lavora dal gennaio 2023 quando, sorprendendo tutti, Papa Francesco lo nominò capo del potente dicastero dei vescovi. Francesco lo aveva conosciuto nel 2014, e poi durante il suo viaggio in Perù del 2018 lo ha nominato vescovo di Chiclayo, ruolo ricoperto fino al gennaio 2023 sostenendo i migranti venezuelani contro le politiche migratorie più restrittive, sottolineando l’importanza di accogliere e proteggere i migranti e ha reso la sua Chiesa luogo di rifugio e speranza indipendentemente da origini, provenienze e status legali dei migranti perché la Chiesa deve essere una “tenda” aperta a tutti. Francesco lo volle a Roma come Prefetto del Dicastero dei vescovi, e presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina, con un ruolo chiave nella selezione dei nuovi vescovi. Lo ha nominato cardinale nel settembre 2023 e, nel febbraio 2025, lo ha promosso cardinale vescovo con la sede suburbicaria di Albano.

Papa Leone sarà un continuatore del cammino tracciato da Papa Francesco, con un forte impegno verso poveri, migranti, la tutela del creato e dell’ambiente, l’urgenza di reagire contro la crisi climatica. Un missionario a vita. Mai come oggi il Pianeta ha bisogno di un Pontefice capace di continuare a inchiodare i potenti della Terra alle loro responsabilità. Di lanciare messaggi urbi et orbi con rivoluzionarie encicliche come la “Laudato si’”, l’Esortazione apostolica “Laudate Deum”, ammonendo e spingendo i governanti verso impegni concreti per il clima e il “nostro pianeta sofferente”, facendo pressing per la riapertura dei negoziati della diplomazia climatica boicottati da Trump e dai suoi seguaci negazionisti. In questo Papa Leone potrebbe davvero stupirci avendo a cuore, come il predecessore, “la cura della nostra casa comune”. Potrebbe far rilanciare dalla Chiesa l’inedita proposta in 10 punti firmata da tutti i cardinali del Pianeta il 12 dicembre 2015 per: "La completa decarbonizzazione dell'economia entro la metà del secolo, la limitazione dell'aumento della temperatura globale e la speciale attenzione alle popolazioni più povere che sono le più danneggiate dai cambiamenti climatici”.

Non c'è più tempo da perdere e servono risultati concreti su ogni fronte, dalle atroci aggressioni e guerre in corso alla plateale negazione di una verità scientifica che è stata il punto di partenza della Laudato Si di Franceso: “L’origine umana, antropica, del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio…non possiamo più dubitare che la ragione dell’insolita velocità di così pericolosi cambiamenti sia un fatto innegabile”.

Dal Papa che ha scelto come nome quello di Leone XIV, c'è da aspettarsi azioni, gesti, opere. Del resto, ha già espresso posizioni chiare e decise sulla crisi climatica. Da cardinale ha sottolineato spesso l’urgenza di passare “dalle parole ai fatti”. Ha fatto sue le priorità ambientali di Papa Francesco. Il 28 novembre 2024, a Palazzo San Calisto in Vaticano, nel seminario su come “Affrontare i problemi della crisi ambientale alla luce della Laudato si’ e della Laudate Deum, esperienze in America Latina” organizzato dalle ambasciate di Bolivia, Cuba e Venezuela presso la Santa Sede, con il sostegno della Pontificia Commissione per l’America Latina, era tra i relatori con esperti e analisti, ed ha sottolineato l’urgenza di passare “dal discorso all’azione” di fronte all’aggravarsi della crisi ambientale, con una risposta radicata anche nella Dottrina della Chiesa perché il “dominio sulla natura” affidato da Dio all’uomo non deve essere esercitato in modo dispotico, evidenziando la necessità di un impegno collettivo e multilaterale per affrontare la crisi climatica, in linea con gli insegnamenti delle encicliche di Papa Francesco. Ha sostenuto l’impegno della Santa Sede per la sostenibilità, citando iniziative come l’installazione di pannelli solari e la transizione verso veicoli elettrici contribuire alla protezione dell’ambiente in una visione di responsabilità condivisa e azioni concrete.

È urgente scuotere il mondo, battere gli incubi in cui siamo finiti affinché non prevalgano. E questo “giovane” Papa può davvero essere l’erede delle azioni e degli ideali di Papa Francesco.

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.