
Riscaldamento delle Alpi: con 2°C in più, i temporali estivi raddoppiano

Le Alpi europee stanno sperimentando un'accelerazione allarmante del riscaldamento climatico, un fatto noto alla comunità scientifica, ma i cui effetti concreti continuano a manifestarsi con crescente evidenza. Le temperature stanno aumentando a un ritmo di +0,5 °C per decennio, un’accelerazione ben superiore alla media globale, che sta già lasciando segni visibili: tra il 2022 e il 2023, i ghiacciai alpini hanno perso il 10% del loro volume e gli eventi meteo estremi sono in rapida crescita.
Tra questi ultimi, uno in particolare preoccupa ricercatori e amministratori locali: i temporali estivi di breve durata, ma di intensità eccezionale.
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista npj Climate and Atmospheric Science — frutto della collaborazione tra l’Università di Padova e l’Università di Losanna — porta dati allarmanti: un aumento medio di 2°C delle temperature alpine potrebbe raddoppiare la frequenza dei temporali estremi estivi. E anche un aumento di “solo” 1°C, scenario tutt’altro che remoto, sarebbe sufficiente a intensificarne la presenza in modo significativo.
Questi fenomeni, noti come precipitazioni estreme di breve durata, sono tra i più difficili da prevedere e gestire. Non durano a lungo, ma scaricano enormi quantità di pioggia in poco tempo, con potenziali effetti devastanti: frane, colate detritiche, danni infrastrutturali e rischi per la popolazione.
Nel giugno 2018, a Losanna sono caduti 41 mm di pioggia in 10 minuti, causando danni stimati in 32 milioni di franchi svizzeri e mettendo sotto pressione un intero sistema urbano messo in pochi minuti.
A preoccupare gli scienziati non è solo la violenza di questi eventi, ma la loro crescente frequenza. Secondo il team di ricerca, ciò che oggi si verifica in media ogni 50 anni, potrebbe accadere ogni 25 anni in uno scenario di riscaldamento regionale di 2°C. Un dato che ribalta le prospettive di gestione del rischio idrogeologico nell’arco alpino.
«Un aumento di 1°C non è ipotetico, è probabile che si verifichi nei prossimi decenni. Stiamo già assistendo a una tendenza all'intensificazione dei temporali estivi, e ci si aspetta che questa tendenza peggiori ulteriormente negli anni a venire», spiega Francesco Marra, ricercatore al Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e co-autore dello studio.
Il meccanismo che lega temperatura e violenza dei temporali è noto: l’aria più calda trattiene più vapore acqueo, circa il 7% in più per ogni grado di riscaldamento. Quando questa umidità si condensa, libera energia che alimenta l’attività temporalesca. Nelle Alpi, queste dinamiche sono ulteriormente amplificate dalla complessità del territorio e dalla rapida variazione di quote.
La ricerca si è basata sull’analisi di quasi 300 stazioni meteorologiche distribuite lungo l’intero arco alpino — tra Italia, Svizzera, Francia, Germania e Austria — e ha preso in esame gli eventi di pioggia estremi avvenuti tra 1991 e 2020, con una durata compresa tra i 10 minuti e un’ora.
Su questa base, gli scienziati hanno sviluppato un modello statistico, fondato su principi fisici, che lega temperatura e frequenza delle precipitazioni estreme, permettendo così di simulare scenari futuri sulla base delle proiezioni climatiche regionali.
«L'arrivo improvviso e massiccio di grandi volumi d'acqua impedisce al suolo di assorbire l'eccesso. Questo può innescare inondazioni improvvise e colate detritiche, portando a danni alle infrastrutture e, in alcuni casi, vittime», sottolinea Nadav Peleg, ricercatore all’Università di Losanna e primo autore dello studio.
La ricerca non si limita alla diagnosi del problema, ma lancia un messaggio chiaro alle istituzioni: occorre adattare infrastrutture, pianificazione urbana e gestione del rischio ai nuovi scenari climatici. Le Alpi, per la loro centralità ambientale, idrica ed economica, richiedono un approccio proattivo, basato su dati scientifici aggiornati e su una reale volontà di azione.
«Solo attraverso una comprensione approfondita di questi fenomeni e un'azione tempestiva possiamo sperare di proteggere le comunità montane e preservare l'ecosistema unico delle Alpi per le generazioni future», concludono gli autori.
