Il 20% delle spiagge italiane può finire sommerso nei prossimi 25 anni: in Veneto e Sardegna le aree più a rischio
L’Italia rischia di perdere il 20% delle spiagge entro i prossimi 25 anni e fino al 45% entro il 2100, mettendo a rischio un patrimonio naturale e turistico inestimabile. Non solo. Quasi un quarto del territorio entro i 300 metri dalla costa è coperto da strutture artificiali, con picchi allarmanti in Liguria (47%) e nelle Marche (45%). Le barriere artificiali proteggono ormai più di un quarto delle coste basse, ma aggravano l'erosione e la vulnerabilità dei territori e saranno sempre più costose e meno efficaci. I Comuni costieri offrono il 57% dei posti letto turistici, ma questo sviluppo incontrollato sta esacerbando la crisi. Non finisce qui. Nell’estate del 2023, il cuneo salino ha risalito il Delta del Po per oltre 20 chilometri, minacciando l'agricoltura e la disponibilità di acqua potabile. Le aree protette, cruciali per la biodiversità, tutelano il 10% delle acque e delle coste italiane, ma raramente dispongono di un piano di gestione adeguato. Ultimo ma non ultimo: porti e infrastrutture connesse si estendono per 2.250 km, e rischiano di essere pesantemente compromesse, con gravi effetti sulla qualità dei sistemi logistici.
Tutto ciò emerge dal XVII rapporto 'Paesaggi sommersi' della Società geografica italiana, un documento di 250 pagine ricco di dati, evidenze, proiezioni e analisi (una copia in Pdf è consultabile al termine dell’articolo). Presentato questa mattina a Palazzetto Mattei a Roma, il report segnala che i problemi si faranno sentire soprattutto in Sardegna, Lazio, Friuli-Venezia Giulia e Campania, ma l’intera nostra Penisola è a rischio. Le cause sono diverse, con in cima alla lista innalzamento dei mari, rischi di inondazioni temporanee o permanenti, erosione, pressione demografica e urbanistica. In base agli scenari più attendibili, nel 2100 saranno diverse le aree sotto il livello del mare. I territori più a rischio sono l’Alto Adriatico, la costa pugliese intorno al Gargano, diversi tratti della costa tirrenica tra la Toscana e la Campania, le aree di Cagliari e Oristano. In pericolo sono anche la metà delle infrastrutture portuali, diversi aeroporti, più del 10% delle superfici agricole, buona parte delle paludi, delle lagune e le zone costiere cosiddette anfibie, a cominciare dal delta del Po e dalla laguna di Venezia.
La crisi climatica - viene spiegato nel documento - avrà «un impatto enorme sulle aree agricole costiere con un’accelerazione dei processi di salinizzazione che imporranno pesanti strategie di adattamento e sui litorali urbanizzati. Secondo stime inedite sono 800mila le persone che vivono in territori sotto il livello del mare atteso e che rischiano processi di ricollocazione, o che dovranno essere protetti da difese costiere artificiali sempre più pervasive». La fascia costiera, si legge, «non è solo la zona in Italia con la maggior percentuale di suolo artificiale e urbanizzato, ma è anche un’area dove il consumo di suolo prosegue incessante. Questo nonostante diverse norme e politiche abbiano tentato di impedire nuove costruzioni nelle zone limitrofe alle coste. Norme quasi interamente inapplicate non solo per via dell’abusivismo, ma anche per il ruolo preponderante» del turismo.
«Bonifiche, urbanizzazione, infrastrutturazione, abusivismo: abbiamo trasformato la fascia costiera, un ambiente dinamico e instabile, in una linea di costa rigida e quindi fragile e vulnerabile - spiega Stefano Soriani dell’università Ca' Foscari Venezia - è ora indispensabile un cambiamento profondo dei regimi di gestione e pianificazione costiera, oltre che una ineludibile ma affatto scontata presa d’atto della centralità della ‘questione coste’ e della necessità di una sua ricomposizione a scala nazionale».
Il rischio che incombe sul nostro Paese non riguarda soltanto la perdita di spiagge o l’inondazione dei litorali di costa bassa, urbanizzati o meno. Spiega Filippo Celata, dell’Università di Roma Sapienza, che è in atto «una sempre più pervasiva artificializzazione della linea di costa, con profonde implicazioni paesaggistiche e di aggravamento della vulnerabilità. L’unica alternativa è fare il contrario di quanto fatto fin qui: rinaturalizzare i litorali per sfruttare la loro capacità di adattamento».
Da quasi vent'anni la Società geografica italiana realizza, con i suoi rapporti, approfondite analisi dei problemi del territorio italiano, ricorda Claudio Cerreti, presidente della Società geografica italiana: «Cerchiamo di non alimentare allarmismi e catastrofismi; al contrario, proviamo a proporre ai decisori politici un quadro equilibrato e, su quella base, possibili interventi di mitigazione dei problemi».
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