Clima e inquinamento causano ogni anno la morte milioni di persone in tutto il mondo. E l’Italia non fa eccezione
Mancano meno di due settimane alla Cop30 che si svolgerà a Belém, in Amazzonia. E alla vigilia di questo appuntamento in cui i capi di Stato e di governo provenienti da ogni parte del mondo dovranno assumere importanti decisioni su come tutelare l’ambiente e far fronte alla crisi climatica, arriva l’ultimo rapporto del “Lancet countdown”, che non può certo lasciare indifferenti. Nel documento, ricco di dati, grafici e tabelle, docenti universitari, scienziati e ricercatori non solo ricordano che nel 2024, per la prima volta, le temperature medie annuali hanno superato di 1,5 °C quelle dell’era preindustriale, ma sottolineano che «nonostante gli appelli sempre più urgenti ad affrontare il cambiamento climatico, nello stesso anno le emissioni di gas serra hanno raggiunto livelli record e i cambiamenti climatici stanno destabilizzando sempre più i sistemi planetari e le condizioni ambientali da cui dipende la vita umana».
Ma forse non è neanche questa la parte che più dovrebbe attirare l’attenzione dei decisori politici che a novembre si incontreranno a Belém, in Brasile. È la parte per così dire “contabile” che deve far riflettere e indurre ad assumere le necessarie, conseguenti, decisioni. Nel report si evidenzia infatti che gli effetti del riscaldamento globale hanno fatto aumentare i decessi legati al caldo del 23% rispetto anni ‘90, arrivando alla cifra di 546.000 vittime all’anno. Solo nel 2024, si legge, l’inquinamento atmosferico dovuto al fumo degli incendi è stato collegato a un numero record di 154.000 decessi. I cambiamenti climatici hanno anche favorito una massiccia diffusione di vettori di virus, come le zanzare, e anche il potenziale di trasmissione medio globale dell’infezione virale dengue è aumentato del 49% dagli anni Cinquanta. Ultimo, ma tutt’altro che ultimo: l’inquinamento atmosferico derivante dalla continua combustione di combustibili fossili ha provocato ogni anno la morte di ben 2,5 milioni di persone.
Tra l’altro, se qualcuno fosse insensibile di fronte alla contabilità delle vite umane perse a seguito dell’inazione nei confronti della crisi climatica e dell’inquinamento derivante dal consumo di petrolio, gas e carbone, il rapporto Lancet sottolinea che proseguire lungo questa strada è una strategia dannosa anche dal punto di vista meramente economico, perché sta mettendo a dura prova anche i bilanci nazionali: con l’impennata dei prezzi dei combustibili fossili, sottolineano i ricercatori, i governi hanno speso collettivamente 956 miliardi di dollari in sussidi netti ai combustibili fossili nel 2023. Una scelta insensata, in tutti i sensi. Il report Lancet segnala che l’esposizione al calore ha provocato la perdita di 639 miliardi di ore potenziali di produttività lavorativa nel 2024, con perdite di reddito equivalenti a ben 1,09 trilioni di dollari (quasi l’1% del Pil mondiale). Allo stesso tempo, i costi dei decessi dovuti al caldo nelle persone di età superiore ai 65 anni hanno raggiunto il massimo storico di 261 miliardi di dollari. Nel frattempo, i giganti del petrolio e del gas continuano a espandere i loro piani di produzione, su una scala tre volte superiore a quella che un pianeta vivibile può sostenere. Ed è preoccupante, si legge, che 15 degli 87 Paesi responsabili del 93% delle emissioni globali di CO2 abbiano speso più per i sussidi netti ai combustibili fossili che per i loro bilanci sanitari nazionali nel 2023: Algeria, Angola, Azerbaijan, Bahrein, Repubblica Bolivariana del Venezuela, Brunei Darussalam, Egitto, Iraq, Repubblica Islamica dell’Iran, Kazakistan, Kuwait, Libia, Arabia Saudita, Turkmenistan, Uzbekistan.
Ma non è solo su questi Stati che va puntato il dito, perché un maggior impegno nella lotta alla crisi climatica è necessario anche da parte di soggetti ben più grandi, potenti, influenti per quel che riguarda le decisioni assunte a livello globale. Se ultimamente alcuni governi stanno facendo marcia indietro rispetto agli impegni assunti in materia di clima – vedi gli Stati Uniti di Donald Trump ma non solo, perché anche l’Unione europea sta mostrando molte ambiguità e passi indietro – il rapporto evidenzia anche che queste correzioni al ribasso non garantiscono nulla in termini di competitività e incidono invece negativamente sui dimostrabili e dimostrati effetti delle azioni salvavita finora messe in campo: si stima infatti che 160.000 vite siano state salvate ogni anno grazie all’abbandono del carbone, mentre la produzione di energia rinnovabile ha raggiunto livelli record grazie anche al vantaggio in termini di costi.
Il messaggio contenuto nel “Lancet countdown” deve essere raccolto dai leader mondiali che a breve si riuniranno nella cittadina amazzonica di Belém (tra parentesi, nel rapporto si legge anche che mentre le emissioni legate all’energia raggiungono nuovi record, nel 2023 sono stati distrutti oltre 128 milioni di ettari di foreste, con un aumento del 24% rispetto al 2022, riducendo la capacità naturale del mondo di mitigare i cambiamenti climatici) ma va ascoltato con molta attenzione anche in Italia. E per una ragione molto semplice: il nostro Paese sta pagando a caro prezzo gli effetti della crisi climatica. Lo si legge nella scheda “Italy” redatta dai ricercatori, che non fa che confermare analisi e report già dedicati da altri istituti al Belpaese. Sono solo due pagine, ma il contenuto è decisamente pesante.
Nel periodo 2012-2021, sono stati stimati annualmente in Italia 7.400 decessi legati al caldo, più del doppio rispetto alla media 1990-1999. Tra il 2020 e il 2024, l’inquinamento da fumo degli incendi divampati lungo la Penisola ha causato una media annuale stimata di 1.100 morti. Nel 2024, in Italia, le persone sono state esposte in media a 46 giorni di ondate di calore ciascuna. Di questi, 33 (72%) non si sarebbero verificati in assenza di cambiamenti climatici. Sempre nel 2024, l’esposizione al calore ha comportato una perdita di 364 milioni di ore di lavoro potenziali, un record di 15 ore per persona e un aumento del 181% rispetto al periodo 1990-1999. Il settore delle costruzioni ha rappresentato il 40% delle perdite nel 2024. Il 60,9% del territorio ha subito almeno un mese di siccità estrema ogni anno (2020-2024), contro il 13,1% degli anni ’50. Nel periodo 2019-2023, il 98,45% della popolazione italiana è stato esposto a livelli giornalieri di polveri sottili (Pm10) superiori al limite raccomandato dall’Oms di 45 μg/m3. Le temperature medie della superficie del mare nelle acque costiere italiane sono state di 1,42 °C superiori alla media del periodo 1981-2010, mettendo a rischio la sicurezza alimentare e idrica. E di fronte a tutto questo, sottolineano gli scienziati del “Lancet countdown”, l’Italia continua a sovvenzionare i combustibili fossili per un valore di 30,2 miliardi di dollari, pari al 15,5% della spesa sanitaria nazionale.