
Nbfc, in Italia è protetto il 15,5% delle aree marine e il 21,4% degli ambienti terrestri

La crisi della biodiversità è oggi una delle emergenze più gravi che siamo chiamati ad affrontare, anche in Italia: rappresenta una minaccia esistenziale per l’umanità stessa, che dipende in maniera inscindibile dalla varietà delle forme di vita presenti sulla Terra e dai benefici ecosistemici che queste garantiscono.
A che punto siamo? Nel secondo rapporto annuale del National Biodiversity Future Center (NBFC), il primo centro di ricerca nazionale interamente dedicato alla biodiversità (finanziato dal Pnrr), presentato durante il Forum nazionale della biodiversità svoltosi a Milano tra il 19 e il 22 maggio, si traccia lo stato delle aree protette in Italia. I dati mostrano che, nonostante alcuni progressi, il nostro Paese è ancora distante dagli obiettivi fissati dal Global Biodiversity Framework delle Nazioni Unite e dalla Strategia Ue per la biodiversità al 2030.
Per quanto riguarda le acque territoriali italiane, come sintetizza l’Università di Paadova, solo il 15,5% è attualmente protetto. È quindi necessario raddoppiare quasi questa quota – aggiungendo almeno un altro 14,5% – per rispettare l’impegno internazionale di tutelare almeno il 30% delle aree marine entro il 2030. Ancora più critica la situazione sul fronte terrestre: la superficie protetta è pari al 21,4%, un dato inferiore alla media europea (26,4%) e che, soprattutto, evidenzia una marcata frammentazione geografica delle aree sottoposte a tutela.
Come sottolinea il rapporto, «la rete di aree protette italiane non è ancora sufficiente per promuovere una conservazione efficace dei diversi habitat». Non si tratta infatti soltanto di una questione quantitativa, ma anche qualitativa: la dispersione territoriale e la mancanza di connessioni ecologiche tra le diverse aree rendono più difficile la sopravvivenza e il ripristino delle popolazioni animali e vegetali minacciate.
Il Forum nazionale ha rappresentato un momento di riflessione anche sulle prospettive future del NBFC, che in appena tre anni ha coinvolto oltre 2.000 ricercatori da università e centri di ricerca distribuiti su tutto il territorio italiano, impegnandoli in attività di monitoraggio, conservazione, ripristino e valorizzazione della biodiversità mai realizzate prima con tale ampiezza.
Per centrare il target del 30% di aree protette al 2030 – uno degli obiettivi centrali del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework – sarà necessario uno sforzo straordinario da parte delle istituzioni, della comunità scientifica e della società civile. Il primo passo sarà la realizzazione del Piano nazionale di ripristino: in seguito all’approvazione della Nature Restoration Law europea, l’Italia ha l’obbligo di redigerlo entro il 1° settembre 2026.
