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Italia in forte ritardo su clima e rinnovabili, Ispra: «Il ritmo di crescita dovrebbe essere 4 volte superiore»

Pubblicato oggi lo “Stato dell’Ambiente in Italia 2025” e il Rapporto del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente
 |  Nuove energie

Come sappiamo almeno da un decennio – ovvero dall’Accordo sul clima di Parigi, che anche l’Italia si è impegnata a rispettare – un aumento di 2 °C rispetto alla temperatura dell’epoca preindustriale è associato a gravi impatti sull’ambiente naturale, sulla salute dell’uomo e sul suo benessere: di fatto però il 2024 è il primo anno in cui la temperatura media globale supera già la soglia di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali. E l’Italia corre velocissima, perché sempre nel 2024 qui l’anomalia di temperatura è di 1,33°C rispetto alla media climatologica 1991-2020, il che significa oltre tre gradi in più rispetto al periodo 1850-1900: il doppio del dato globale.

I risultati già si vedono, perché l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) documenta che i danni economici da eventi meteo estremi – resi più frequenti e intensi dalla crisi climatica in corso – ammontano a 135 miliardi di euro tra il 1980 e il 2023 solo nel nostro Paese. Eppure, la decarbonizzazione avanza al rallentatore, come emerge dal rapporto Ispra “Stato dell’Ambiente in Italia 2025: Indicatori e Analisi” e dal Rapporto Ambiente del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), entrambi presentati oggi insieme al già pubblicato report della Eea.

«Dall’analisi degli scenari emissivi – spiega l’Ispra – basati sulle politiche correnti al 31 dicembre 2022 (inclusi quelli del Pnrr e del Pniec), le proiezioni fino al 2030 mostrano una riduzione delle emissioni nazionali di gas serra del 42%, includendo anche gli assorbimenti. Per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo europeo di riduzione delle emissioni nette (-55% entro il 2030), pertanto, è necessario adottare delle politiche aggiuntive».

Nel periodo 1990-2023 le emissioni climalteranti italiane sono diminuite del 26,4% mentre in Ue sono calate del 37% (e il Pil è cresciuto del 68%). Sapremmo già dove agire: nel 2023, in base ai risultati dell’ultimo inventario nazionale, le emissioni di gas serra in Italia sono costituite in gran parte da anidride carbonica (81,4% delle emissioni totali in CO2 equivalente), dovute principalmente all’utilizzo dei combustibili fossili. Contribuiscono alle emissioni totali nazionali anche il metano (11,7%), le cui emissioni sono legate principalmente all’attività di allevamento zootecnico, allo smaltimento dei rifiuti e alle perdite nel settore energetico, e il protossido di azoto (4,4%) che proviene specialmente dalle attività agricole e dal settore energetico, inclusi i trasporti. I gas fluorurati (HFCs, PFCs, SF₆, NF₃) rappresentano una quota minore (2,5%), ma il loro contributo è cresciuto nel tempo rispetto allo 0,7% del 1990, con emissioni riconducibili essenzialmente a processi industriali e al settore della refrigerazione.

Il rapido abbandono delle fonti fossili a favore delle rinnovabili, che secondo l’Ipcc sono le migliori tecnologie a disposizione per affrontare rapidamente ed efficacemente la crisi climatica, è uno dei principali strumenti di mitigazione che abbiamo a disposizione, ma anche qui l’Italia avanza troppo piano.

target rinnovabili italia

È pur vero che la quota di energia rinnovabile è triplicata rispetto al 2004 quando copriva solo il 6,3% del consumo lordo di energia finale, ma nel 2023 la quota di consumo da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia si è attestato ad un valore pari a 19,6% (secondo i criteri della Red II), registrando un incremento di soli 0,5 punti percentuali rispetto all'anno precedente.

«Si tratta di un valore ancora distante dall’obiettivo nazionale al 2030, fissato al 38,7% dalla Direttiva (Ue) 2023/2413 (Red III). Secondo lo scenario programmatico delineato dal Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), l’Italia dovrebbe tuttavia superare il target, raggiungendo il 39,4% – osserva Ispra – Tali risultati possono essere raggiunti solo attraverso una forte accelerazione dei consumi finali di energia rinnovabile. Tra il 2005 e il 2023 la quota è cresciuta in media di 0,7 punti percentuali all’anno (dal 7,5% al 19,6%). Per conseguire l’obiettivo del 2030, invece, sarebbe necessario un incremento medio annuo di 2,7 punti percentuali (dal 19,6% al 38,7%). In altre parole, il ritmo di crescita dovrebbe essere circa quattro volte superiore rispetto a quello registrato in passato».

Purtroppo però in Italia la disinformazione e i paletti normativi alimentati dal Governo Meloni frenano l’installazione degli impianti, che comunque hanno traguardato +4,5 GW da inizio anno (mentre l’esecutivo spera d’installare i primi 0,4 GW da “nuovo nucleare” entro il 2035), e a livello globale la capacità installata aumenterà di 2,6 volte al 2030 rispetto al 2022. Semplicemente perché conviene e abbassa il costo delle bollette, come ricordato ieri dalla Banca centrale europea e come mostrano casi empirici a partire da quello spagnolo.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.