
La prima vittima dimenticata di Trump. Tutti contro le follie del Commander in Chief per il crack finanziario globale tra dazi e contro-dazi, borse in caduta libera, Sos recessione. Ma il clima e i catastrofici collassi globali e locali senza freni?

Lacrime per i tonfi delle Borse mondiali perché stanno bruciando i grandi tesori custoditi. Stupore per “la guerra più stupida della storia”, come il Wall Street Journal ha definito dazi e superdazi sparati ad alzo zero dal giardino della Casa Bianca da The Commander in Chief contro il resto del mondo - che risponde con controdazi - nel giorno del Liberation Day. Paura per il delirio di onnipotenza di Donald Trump, che sta tracciando nuove frontiere economiche modificando la geografia dei tradizionali rapporti internazionali, con questa sua pazzesca mossa unilaterale. Rabbia per il brutale e dilettantesco passo che - avvertono ora anche (ex?) sponsor del tycoon in linea con i guru dell’economia globale - probabilmente sarà un passo falso, persino molto masochista. Terrore puro per chi è finito - quasi tutti i governi del mondo - nella lista dei cattivi con in testa la Cina, primo competitor degli Stati Uniti. Allarme alle stelle anche nell'Europa diventata improvvisamente nemica, e inserita sul tabellone nella lista degli infedeli e nella classifica dei cattivi con l’unica soddisfazione - per noi fieri europeisti - di essere stata almeno considerata e rappresentata come una sola entità politica e commerciale.
Va bene tutto, ma vivaddio il mondo avrebbe già dovuto, e avrebbe il dovere di farlo oggi, aggiungere all’elenco dei problemi anche il big problem climatico aumentato dal presidente Usa. Nello scontro finanziario e tra economie in corso, farebbe bene al mondo non alzare il sopracciglio contro gli effetti disastrosi per tante economie mondiali creati dalla prima entrata a gamba tesa di Trump - non certo un inedito - con i suoi toni da chi se ne frega, contro le urgentissime e necessarie politiche climatiche e di adattamento ai cambiamenti in corso. Il suo secondo tragico bye bye all’Accordo sul clima di Parigi con un bullismo scellerato ha dato gas all’escalation dei rischi, anche per la finanza, non solo nei Paesi dimenticati e più poveri e disperati.
Pochissimi, dopo il flop della Cop29 di Baku sul clima, hanno reagito alla sua seconda sfida ad alzo zero contro tutto e tutti. Pochissimi hanno protestato quando vietava in diretta alla delegazione Usa a Baku di partecipare ai vertici che dovevano definire i termini di nuovi accordi, quando delegittimava platealmente l'inviato per il clima John Podesta, quando imponeva agli statunitensi di abbandonare la sede del vertice mondiale in Azerbaijan, quando boicottava e bruciava ogni spazio per l'esito dei negoziati che infatti si sono conclusi nel completo fallimento. Dobbiamo a questa cecità arrogante se oggi è in bilico persino il meccanismo diplomatico della prossima Conferenza annuale sul clima a Belém, nell’Amazzonia brasiliana, a novembre.
Quasi tutti quelli che oggi piangono, sono rimasti alla finestra a vedere l’effetto che faceva quando annunciava le sue vittime eccellenti: dallo scalpo della Protezione civile Usa come un altro trofeo da aggiungere ai primi 42 “ordini esecutivi” firmati nelle prime 24 ore presidenziali all’addio all’Organizzazione mondiale della sanità; dalle frontiere sigillate con esibizioni di foto di immigrati rimpatriati in manette come nel secolo scorso alla sospensione degli aiuti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo; dalla fine dei sostegni alle minoranze native ispaniche e afro-americane allo stop all’inclusione delle diversity; dalla sospensione dei programmi per i richiedenti asilo allo stato d’emergenza dichiarato al confine col Messico, agli annunci di occupazioni anche a mano armata di mari e territori altrui a partire dalla Groenlandia. Effetti di puro autolesionismo statunitense mentre il mondo prendeva tutto sotto gamba e senza un fiato di protesta. Finché Trump, come si usa dire, dopo aver “sparato sulla Croce rossa”, non ha messo nel mirino le borse e le economie del resto del globo.
Se oggi l’intero mondo, al di là degli Usa, si limita a difendere solo transiti di merci e spazi commerciali sperando nei rialzi in Borsa fa un errore. In questi giorni più disastrosi della storia del capitalismo - pare abbia distrutto ricchezza per migliaia di miliardi di dollari, pari a tre o quattro volte il Pil dell’Italia, e tra i colpiti c’è anche il suo gruppo di fedelissimi a partire da Musk - ci sono buoni motivi per il resto del mondo per protestare, ma ce ne sarebbero anche per ribaltare le sorti del terrificante scenario mondiale climatico.
Non basta l’aria mesta e quasi colpevole di chi si sente colpito e tradito e va alla ricerca di un qualche accordo per salvare il salvabile. In questo mondo tutto si tiene e mai come oggi tutto è iperconnesso. La lotta climatica è anche la prima frontiera finanziaria, la prima linea di difesa degli interessi strategici globali e locali, della tenuta di città e infrastrutture, di ecosistemi e ambienti. Ci sono mercati e nuovi mercati da consolidare e da conquistare e clamorosi investimenti da realizzare per la protezione e l’adattamento alle modifiche in corso.
I risparmiatori e i consumatori colpiti da una Casa Bianca trasformata in un saloon da Far West e oggi nel panico, dovrebbero fare un pensierino anche sui disastri che sta producendo l’ideologia negazionista climatica fieramente rilanciata da Trump. Se non c’è economista che non denunci oggi il demenziale autolesionismo della stangata dei dazi, il mondo oltre gli Usa dovrebbe inserire nel pacchetto delle proteste anche l’involuzione americana che sfascia le prime concrete regole sul clima che il mondo si era faticosamente dato una decina di anni fa. Quelli che oggi sono nel panico, delusi e confusi ma ieri non hanno battuto ciglio, speriamo capiscano che vanno ricostruite prima possibile le alleanze geo-strategiche in vista della prossima e decisiva Conferenza delle parti 2025 in Amazzonia.
Anche la nostra amata Europa vada unita a Belém col suo Green deal rafforzato per lanciare nuove economie e nuova occupazione. Altro che “Green deal ideologico” come ripete chi ignora la materia - ma poi che cavolo significa? -, dato che per non rischiare il vero Big Bang dell’economia serve prima di tutto raffreddare la febbre del Pianeta e aumentare le difese strutturali dagli effetti del clima per non collassare. Già, perché a tanti sfugge il dettaglio che la crisi climatica dal 2000 sta costando - oltre vittime e distruzioni - qualcosa come 16 milioni di dollari all’ora per far fronte ai soli eventi meteo estremi, la cui frequenza e intensità aumenta.
