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Sugli imballaggi hanno vinto tutti, tranne il buon senso

 |  Editoriale

Dopo un travagliato percorso attraverso due legislature ha finalmente visto la luce il Regolamento europeo sugli imballaggi e rifiuti da imballaggio (Reg. UE 2025/40).

Il lettore ricorderà forse che ce ne siamo occupati su queste colonne, quando ancora pendeva l’approvazione del Parlamento Europeo del testo licenziato dalla Commissione. L’articolo di allora, basato sull’analisi dello “studio di impatto”, svelava i trucchi e gli inganni con cui la Commissione tentava di nascondere che l’insieme delle misure adottate avrebbe consentito un risparmio assai trascurabile delle emissioni – unico motivo questo, peraltro, che avrebbe potuto giustificare l’invasività di alcune misure il loro palese andar contro il principio di neutralità tecnologica. Si mostrava in quell’articolo che, isolando le misure più controverse e impattanti come i divieti per gli imballi monouso e gli obblighi quantitativi di riuso e riutilizzo, si sarebbe risparmiato un misero 0,08% delle emissioni totali dell’Ue.

Dopo di allora, il testo fu sforbiciato in modo significativo dal Parlamento; per un problema tecnico, tuttavia, per l’approvazione definitiva si è dovuto attendere il cambio di legislatura, dando modo nel tempo intercorso di limarne ulteriori aspetti, fino a giungere al testo finale approvato nel dicembre 2024.

Il nuovo testo risente di un intenso lavorio ai fianchi, caratterizzato più dalla ricerca di norme ed eccezioni ad hoc che dal tentativo di risolverne alla radice le criticità. Le varie lobby hanno combattuto ciascuna per proprio conto, all’insegna del “si salvi chi può”. Ne risulta una disciplina difficile da decifrare negli effetti che potrà avere. L’unica certezza è che aumenterà, di molto, il fardello burocratico per produttori e utilizzatori finali.

Il fine del Regolamento è sicuramente encomiabile. In primo luogo, ridurre al minimo le sostanze pericolose che essi contengono, dai metalli pesanti ai temutissimi Pfas. In secondo luogo, si mira ad assicurare la loro totale riciclabilità, in vista dell’ambizioso obiettivo di spingere sempre più in là il recupero di materia e di restringere ulteriormente l’impiego di forme di trattamento giudicate inferiori ai sensi della “gerarchia dei rifiuti”. In terzo luogo, ridurre i rifiuti da imballaggio – il flusso in maggiore crescita negli ultimi decenni, oggi pari al 36% del totale dei rifiuti urbani prodotti in Europa. Nell’ultimo quarto di secolo, il flusso è cresciuto del 30%. Infine, si afferma la volontà di eliminare le “barriere non tariffarie” alla libera circolazione dei beni, grazie a una maggiore standardizzazione: un obiettivo che non dovrebbe competere alla Dg Ambiente, ma tant’è.

Tutte intenzioni più che lodevoli. Tuttavia, come è noto, le buone intenzioni spesso lastricano la strada per l’inferno, il cui padrone di casa ama nascondersi nei dettagli. E di dettagli quanto meno discutibili il Regolamento abbonda.

Andando con ordine, il primo obiettivo viene perseguito dettando norme e standard sul contenuto di materiali inclusi nella lista nera delle “sostanze che destano preoccupazione”, che la Commissione si impegna a tenere costantemente aggiornata sulla base degli ultimi ritrovati della ricerca scientifica. Di alcune viene vietato senz’altro l’uso, di altre si richiede uno sforzo orientato alla minimizzazione.

L’obiettivo della riciclabilità è affidato a una manovra a tenaglia. Da un lato si prescrive che ogni imballaggio immesso sul mercato dovrà essere riciclabile – laddove il significato preciso di “riciclabile” non si limita alla teorica possibilità di farlo, ma richiede che l’imballo sia appositamente progettato per consentirne il riciclo, che esso possa essere immesso in circuiti di raccolta selettiva senza che ciò pregiudichi la riciclabilità di altri flussi, e soprattutto che la riciclabilità sia dimostrata sul campo (“su scala”) dalla pratica effettiva. Per i materiali compositi, la riciclabilità deve essere garantita almeno fin da subito per almeno il 70% in peso, frazione elevata a 80% a partire dal 2038. La norma disciplina nei particolari i criteri cui deve attenersi la progettazione (es. garantire la separabilità dei diversi componenti, anche in funzione delle tecniche di selezione applicabili; prevedere il modo di eliminare o separare piccole componenti, additivi, adesivi, etichette). Viene infine prescritto che i contributi versati dalle imprese aderenti ai vari sistemi collettivi responsabili per il riciclo siano modulati in funzione del grado di riciclabilità

Da un altro lato, si fissano standard minimi di contenuto di materia riciclata nei nuovi imballaggi, creando quindi una “domanda artificiale” per le materie seconde, attualmente penalizzate dall’interesse limitato da parte del mercato. Sul lato della domanda, un’altra serie di prescrizioni è relativa all’obbligo di impiegare materiali compostabili in una vasta gamma di applicazioni

Quanto alla prevenzione, il Regolamento prevede un’ampia batteria di misure. Si mantiene innanzitutto l’obiettivo di riduzione complessiva del flusso (-30% entro il 2040, in termini pro-capite). Qualche margine di elasticità viene concesso, ad esempio, nei paesi che sperimentano un consistente aumento delle presenze turistiche.

Viene ribadito il divieto di immettere sul mercato determinati tipi di imballaggio monouso. Rispetto al testo precedente, che demandava alla Commissione l’elaborazione e aggiornamento di una di “lista di proscrizione” di imballaggi “non necessari” (che dava adito a molti dubbi in ragione della discrezionalità con cui la Commissione avrebbe stabilito cosa è e cosa non è necessario), l’attuale testo contiene un elenco puntuale, che in pratica include solo quelli in plastica per porzioni inferiori a 1,5 kg. La Commissione si riserva di integrare l’elenco dopo 7 anni qualora nuovi ritrovati tecnologici facciano emergere ulteriori criticità. È tuttavia ammessa la deroga per tutti i casi in cui l’imballaggio è funzionale a prevenire il deterioramento del prodotto (compito per casa per il lettore: elencare qualche prodotto ortofrutticolo fresco, a parte forse frutta e legumi secchi, che non si deteriori se lasciato all’aria aperta per il tempo altrimenti necessario a consumarne un chilo e mezzo).

Per tutti gli imballaggi viene stabilito l’obbligo di garantire che essi non contengano spazi vuoti, doppi fondi, intercapedini e simile, con il divieto di utilizzo di imballaggi con spazi vuoti superiori al 50% del volume utile; anche qui sono previste deroghe

Gli obiettivi di riuso sono rivisti significativamente verso il basso. Se il produttore ha comunque l’obbligo di offrire l’opzione dell’imballaggio restituibile e/o di utilizzare quello di proprietà del cliente per la vendita al dettaglio di cibi e bevande da asporto, il target fissato si ferma al 10% di imballaggi riutilizzati entro il 2030 (era 40-80% nella precedente versione). Obblighi di riuso più stringenti permangono per alcuni imballaggi secondari e terziari (almeno il 70% entro il 2040); obbligo per i punti vendita di predisporre punti attrezzati per la riconsegna su almeno il 10% della superficie destinata all’esposizione della merce. Viene esentato il cartone. Si prevede peraltro la possibilità di sospendere tali obblighi se il paese supera almeno del 5% gli obiettivi minimi di riciclo o è “sulla buona strada” per conseguire gli obiettivi di riduzione complessiva dei rifiuti da imballaggio.

Cadono, in compenso, in buona parte gli obblighi relativi agli operatori della ristorazione (Horeca), ai quali viene solo vietato l’impiego di imballaggi monouso in plastica (le temutissime bustine di salsa di soia del ristorante cinese e le boccette di shampoo degli hotel, vera e propria ossessione dei funzionari di Bruxelles) e imposto l’obbligo di consentire al cliente di usare propri contenitori o di richiedere l’uso di contenitori riutilizzabili.

Viene previsto l’obbligo di istituire depositi cauzionali per i contenitori per liquidi, ma solo se in plastica o in metallo, e solo se prevedono l’asporto. Anche qui si ammette la deroga per quelle frazioni la cui raccolta differenziata si mantiene superiore all’80%.

Vengono stabilite norme molto analitiche sull’etichettatura, che dovrà fornire dettagliate informazioni sulla composizione dell’imballaggio, sul contenuto di riciclato, sulla presenza di sostanze indesiderate; si ipotizza che ciascun gestore, interfacciandosi con i relativi codici a barre, potrà indirizzare gli utenti ai canali di raccolta specificamente organizzati per quel materiale.

Vengono posti a carico delle imprese gli obblighi di produrre un’adeguata documentazione comprovante il rispetto delle norme tecniche e gli adempimenti relativi alla messa in opera dei sistemi di restituzione o di refilling. In pratica l’immissione sul mercato di un imballaggio richiederà, per ottenere il via libera dal severo censore comunitario, che questo sia dotato di una “carta di identità” in grado di attestare puntualmente il rispetto delle norme, ovvero di possedere i requisiti per potersene chiamare fuori. Ulteriori forme di reporting a carico di produttori di imballaggi e di filler ambiscono a rendere tracciabile il percorso dell’imballaggio attraverso le varie fasi di trattamento.

Come si vede, la partita alla fine si chiude senza vincitori né vinti. La forsennata caccia dell’ultima ora all’emendamento ad hoc ha permesso a ciascuno di portare a casa quello che voleva, complice anche lo sfilacciamento della “maggioranza Ursula” che aveva compattamente sostenuto il nuovo Regolamento nella passata legislatura. La norma resta apparentemente intatta, con tutti i suoi buoni propositi di salvare il pianeta dall’invasione dei contenitori inutili; ma tante e tali sono le eccezioni che, nei fatti, molte prescrizioni sono svuotate di contenuto.

Rimane il retrogusto talebano di una norma che pretende di mettere le mutande al mondo, con toni millenaristici, pur incidendo sulle emissioni totali (che è quanto dovrebbe stare a cuore alla Dg Ambiente) per poco più di un’inezia (per essere precisi, lo 0,08% di emissioni totali in meno alla scala europea, come ho mostrato in uno studio pubblicato nel 2024[1]).

Rimangono i dubbi di natura “costituzionale”: si fanno polpette del principio di neutralità tecnologica, affermando in modo acritico un modello unico che dovrebbe andar bene dalla Lapponia fino a Lampedusa, accanendosi in modo particolare contro la plastica, senza che siano ben chiari i benefici, soprattutto ambientali, anzi essendo ben chiaro che questi, se ci saranno, saranno soggetti a molti se e molti ma, varranno in molti casi ma non sempre, e soprattutto dipenderanno da un insieme di circostanze e parametri, per esempio dalle distanze che gli imballi riutilizzabili dovranno percorrere per poter essere effettivamente riutilizzati. Uno studio da noi recentemente condotto per il trasporto dei grandi elettrodomestici con il metodo della Lca mostra ad esempio che i benefici del riuso scompaiono se la distanza tra il punto di consegna al consumatore e lo stabilimento è superiore a qualche centinaio di km[2].

Rimane il cumulo di scartoffie che ogni produttore dovrà compilare per attestare l’applicabilità dell’eccezione al suo caso, ma anche per dimostrare di aver rispettato le norme e guadagnare il sospirato imballatur.

Rimarranno le borraccette per l’acqua, che mamme solerti riempiranno tutte le mattine di acqua minerale (travasata dalle bottiglie di plastica restituibili) per tutelare la salute dei loro pargoli prima di mandarli a scuola.

Rimane la crociata contro quei capri espiatori che da sempre sono l’ossessione della Commissione, tanto da essere menzionati ogniqualvolta c’è da fare un esempio: la bustina di salsa di soia del takeaway cinese, la boccettina dello shampoo degli alberghi.

Rimane il tabù della “gerarchia dei rifiuti”, la presunzione tetragona e dogmatica della superiorità del riuso-riutilizzo sul riciclo, e di quest’ultimo sul recupero energetico, sempre e in ogni dove, anche contro l’evidenza dei molti studi che dimostrano, se non la fallacia, la problematicità di questo assunto.

Rimane un aggregato di norme tenuto insieme più dal furore ideologico e da un atto di fede che dall’analisi logica e dall’evidenza scientifica.

Teniamoci quel po’ di buono che comunque c’è: il divieto di utilizzo di sostanze pericolose, l’obbligo di impiego di una certa frazione di riciclato, l’etichettatura standardizzata, la prescrizione che ogni imballo sia costituito da materiali riciclabili. Teniamoci il probabile stimolo che l’industria riceverà nella messa a punto di nuovi materiali e nuovi modelli di vendita e canali di marketing. Forse si contribuirà a salvare il pianeta, forse il pianeta non se ne accorgerà nemmeno. Ma sicuramente daremo lavoro a eserciti di consulenti e funzionari.

[1] A.Massarutto, 2024, “Non è tutto tondo ciò che è circolare. Un’analisi del nuovo Regolamento europeo sugli imballaggi e delle sue implicazioni per la politica industriale”, L’Industria, 44(3)

[2] F.Corsini, M.Fundoni, A.Massarutto, M.Niero, F.Rossi, 2025, Comparative Life Cycle Assessment (LCA) of Recyclable and Reusable Packaging for Home Appliances, mimeo, Sustainability and Climate International Research Center, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

Antonio Massarutto

Antonio Massarutto (1964) è professore di Scienza delle Finanze all’Università di Udine e Research Fellow del GREEN (Center of research on Geography, Natural Resources, Environment, Energy and Networks) of Bocconi University, Milano); e del SEEDS, centro di ricerca inter-ateneo su Ambiente, Sostenibilità e Dinamica; del CIMET, Centro Universitario Nazionale di Economia Applicata. La sua attività di ricerca, spiccatamente applicata e orientata alla policy, è focalizzata sull’economia dell’ambiente e delle risorse naturali, organizzazione e regolazione dei servizi pubblici, economia circolare, economia e politica dell’acqua, gestione dei rifiuti. È autore di numerose pubblicazioni in ambito scientifico, istituzionale e divulgativo. È associate editor per le riviste internazionali Utilities Policy e Waste Management e direttore scientifico di Economia Pubblica – The Italian Journal of Public Economics & Law. Collabora con testate online come lavoce.info, RIEnergia, L’Astrolabio, Stroncature.com. Curriculum completo di pubblicazioni: https://people.uniud.it/page/antonio.massarutto