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È l’acqua la risorsa mineraria del Sulcis

 |  Editoriale

Quella di Monteponi nel comune di Iglesias è una delle 476 miniere della Sardegna, anche questa chiusa negli anni Novanta dopo secoli di sfruttamento. Conosciuta fin dal tempo dei romani, è citata in un documento del XIV secolo ed è stata sfruttata a fasi alterne fino a quando, nell’Ottocento, ha vissuto il momento di massima espansione. Si estraeva piombo, argento (poco) e zinco.

Qui negli ultimi cinquant’anni di attività si assiste a una vera e propria battaglia tra l’uomo e l’acqua, tra il bisogno di spingersi sempre più in profondità e l’acqua che inevitabilmente invade le gallerie. Ma non è il mare il problema: quella è acqua dolce e viene dalle falde che l’escavazione della roccia ha intercettato. Più si scende e più l’acqua sale. Tra il 1872 e il 1874 viene realizzato il Pozzo Sella, proprio con l’obiettivo di risolvere il problema delle acque sotterranee; si fanno arrivare dal Belgio le pompe più performanti e si calcola che in questo sforzo saranno investiti alla fine oltre due milioni di euro. Si scava anche una galleria lunga quattro chilometri per portare l’acqua in mare. Risultato? L’acqua sale sempre.

Nel frattempo, il valore delle materie prime cala sui mercati mondiali e altre miniere si rilevano più produttive di questa che così, nei primi anni del 1900, chiude con il lascito di abbandono e devastazione che ha caratterizzato la storia mineraria dell’isola. E si deve proprio agli ultimi minatori di questa miniera se con un’eroica protesta, durata un anno, oggi esiste un Parco Minerario, un museo e la possibilità di tramandare la memoria di quanto è successo in quelle gallerie, dove centinaia di donne, uomini e bambini hanno perso la vita condannati a una condizione di vita non dissimile dalla schiavitù.

Quando la miniera chiude è già passata da Eni a Samin, a cui spetterà la messa in sicurezza; tra le operazioni da fare c’è la chiusura di quella galleria che aveva messo in collegamento la falda idrica col mare. Si crea così un grande bacino di acqua dolce a poche centinaia di metri di profondità. Una risorsa che presto si rivelerà di grande utilità.

Si comincia nel 1997 con la prima ufficiale emergenza idrica, quando viene stipulato un accordo fra la società “Miniere Iglesiente” e la Regione Sardegna per utilizzare le acque del bacino idrico minerario deviando, per brevi periodi, volumi idrici dal pozzo al primo comprensorio irriguo. Di emergenza in emergenza l’estrazione d’acqua dalla miniera continua, così nel mese di luglio 2001 la società Igea S.p.A. è autorizzata al prelievo per una portata di 150 l/s per uso potabile destinati alla società che gestiva l’acquedotto civico. Nel 2002 le acque della miniera di Monteponi arriveranno fino a Cagliari e in gran parte del Sulcis, e la società che gestisce l’acquedotto sarà autorizzata al prelievo fino a quasi due milioni di metri cubi l’anno.

Un piccolo vantaggio per una terra sempre più assetata, che aspetta però di vedere bonificato un territorio dove la fanno ancora da padrone i fanghi rossi che da Iglesias si spandono fino al mare o come i rigagnoli di acqua rossastra che occasionalmente invadono anche la splendida spiaggia di Piscinas. Tutto intorno centinaia di edifici abbandonati, cave, montagne sventrate, paesi abbandonati. La ricchezza prodotta l’ha portata via chi ha potuto, grazie anche alle concessioni a vita; i danni, umani prima di tutto e ambientali restano. Come l’acqua, che per fortuna ha trovato la sua strada.

Maurizio Izzo

Giornalista, responsabile comunicazione di una azienda che si occupa di produzioni video, organizzazione di eventi, multimedia. Ho prodotto numerosi documentari sulla cooperazione internazionale.