
Il Paese delle frane e delle alluvioni. Mentre il dibattito pubblico è tutto centrato sui dazi e i controdazi e sull’aumento delle spese militari ordinato da Trump, il Pil italiano è eroso dal dissesto idrogeologico

L’epicureo Tito Lucrezio Caro, nel “De Rerum Natura” libro I, duemila anni fa descriveva così il fenomeno delle alluvioni: “Esistono dunque, senza dubbio, invisibili corpi di vento che spazzano il mare, le terre e alfine le nuvole in cielo ed imperversando rapidi tra di esse le rapiscono in un turbine, scorrono e spargono strage, quando la molle natura dell’acqua s’avventa in straripante fiume: un gran defluire d’acque lo ingrossa giù dagli alti monti, scaglia rottami di piante e alberi interi; né solidi ponti possono resistere all’improvvisa violenza dell’acqua che incalza: “tanto il fiume, torbido per le grandi piogge, si scaglia con irresistibile forza contro gli argini, tutto travolte, semina strage e abbatte ogni ostacolo ovunque si opponga ai suoi flutti”. La fotografia dell’Italia di oggi in emergenza è sempre la stessa, anzi aggravata dalla più folle urbanizzazione no limits e in parte abusiva.
Anche quella di ieri è stata una giornata di frane, allagamenti con sfollati e un morto in Piemonte e la Protezione Civile con i Vigili del Fuoco a gestire l’emergenza, cui si aggiungono oggi due decessi - padre e figlio - vittime di una voragine nel vicentino. L’Italia è un corpo vivente dove l’anarchia della Natura scarica piogge tra le più abbondanti del Pianeta – circa 300 miliardi di metri cubi in media di lungo periodo all’anno, per consumi complessivi pari a 26 miliardi e surplus – l’acqua cade abbondante anche sulla Sicilia che si racconta come avamposto africano perché scandalosamente ancora carente o priva di infrastrutture primarie per gestire l’acqua, e dove dalle Alpi agli Appennini e dalla Sila alle Madonie vengono catapultate a precipizio sulle pianure abitate con valanghe di acqua anche frane con massi e terra che travolgono e uccidono da sempre, ma mai come oggi.
Prevenzione e manutenzione, cura del suolo e protezioni sono parole sconosciute nel lessico comune e politico, rarefatte nei documenti programmatici e negli obiettivi dei governi, non compaiono mai tra le priorità. Abbiamo poi alle spalle abusi impressionanti con urbanizzazioni folli legalizzati da ben 4 condoni edilizi sui terreni più instabili e alluvionabili. Ci sentiamo i più furbi del Pianeta ma, come nessun altro Paese del Pianeta, siamo sempre lì a leccarci le ferite di un mosaico di errori e fragilità, morti e feriti e sfollati.
La nostra Penisola è eccessiva nella sua bellezza ma anche nel rischio idrogeologico. Impossibile trovare un altro Paese dalla straripante rischiosità. Basta dare un occhio all’orografia e alla morfologia, a com’è fatta la nostra Italia quasi circondata da un mare dove la temperatura continuerà a riscaldarsi di circa il 20% in più sull’aumento medio globale, aumentando i volumi di acqua in atmosfera per evapotraspirazione che si scaricano a terra con eventi di piogge sempre più intese e a carattere “esplosivo” con alluvioni, inondazioni fluviali e pluviali, enormi rischi per persone, aree urbane, infrastrutture. L’Italia misura 302.000 km2, e di questa superficie oltre 106.000 km2 sono montagne e 125.000 colline, mentre la pianura si estende per meno di 70.000 km2, neanche il 25%. Già questi numeri dicono tutto, che siamo un lungo Paese montuoso e collinare, per tre quarti con altitudine media di 337 metri sul livello del mare, e con la geologia molto giovane dei suoli sovrastati da rilievi argillosi e sabbiosi e condizionati dall’erosione di piogge, venti, gelo e caldo.
Su tutto scorre l’acqua, tantissima acqua che piove dal cielo o arriva dagli oltre 7 mila corsi d’acqua gonfiati all’inverosimile. È questi dati clamorosi, combinati con l’exploit folle delle superfici impermeabilizzate e occupate da cemento e asfalto, con un balzo dal 2,7% del costruito dei tremila anni di storia fino agli anni Cinquanta del Novecento, al l’8,3% di oggi, rileva l’Ispra, risponde ai perché siamo tra i primi paesi al mondo per perdite di vite umane e danni economici da dissesto idrogeologico.
Se il nostro costruito abusivo su aree in frana o su acquitrini e paludi costiere senza un minimo di difese – spesso senza nemmeno reti fognarie – sarebbe da ricovero immediato, che dire del Parlamento che non riesce ancora ad approvare una legge per il contenimento delle urbanizzazioni selvagge o per la rigenerazione delle aree urbane per frenare l’abuso e ridurre i pericoli per la vita dei cittadini? Ma proprio oggi, in piena emergenza climatica che rende l’Italia più vulnerabile e debole, il dato più sconcertante è l’avanzare del consumo di suolo nelle aree a rischio idrogeologico e a forte pericolosità idraulica.
Basta uno sguardo ai monitoraggi aggiornati delle Autorità di bacino distrettuali, del censimento delle aree vulnerate del Cnr, all’Idrogeo e all’Inventario dei fenomeni franosi in Italia dell’Ispra, per capire che siamo primi in Europa per fenomeni franosi, colate e smottamenti di fango e di roccia: delle circa 750.000 frane censite sul continente, 620.808 interessano la Penisola! Oggi la nostra superficie nazionale in frana è di 59.981 km2, il 19,9% del territorio nazionale, e coinvolge località di 7.275 comuni sul totale di 7.904, come dire quasi tutti. E le aree a elevato rischio alluvione si estendono per 12.405 km2, con a pericolosità media 25.398 km2, a pericolosità bassa 32.961 km2. È un dato shock, molto aggravato dalla latitanza del dibattito pubblico e politico, dall’assenza o forte carenza di manutenzioni e di opere di contenimento, nonché dall’eredità di cementificazioni folli e senza scrupoli.
Avremmo l’obbligo di aprire un vasto programma di opere pubbliche prioritarie per intervenire riducendo gli impatti e affrontando di petto i problemi del dissesto idrogeologico.
Storici, diaristi e memorialisti hanno raccontato per secoli disastri epocali, centinaia di rotte e alluvioni dal Po all’ultimo fiumicello che spazzavano via un tempo i fragilissimi villaggi poi le potenti città pur protette da robuste mura e oggi le fragilissime aree urbane senza difese. La nostra storia conserva narrazioni impressionanti e spaventose.
Sarebbe ora di invertire la rotta, e un dibattito pubblico oggi monopolizzato dalle follie di Donald Trump, da promesse di acquisti di gas e petrolio Usa tornati di moda dopo l’addio alla battaglia climatica del Presidente Usa, dell’aumento delle spese militari italiane al 2% del Pil. Nel masochismo della rimozione del problema climatico su scala mondiale e nella rimozione dei grandi rischi geo-idrologici per vite umane con annessi collassi finanziari annunciati. La spregiudicatezza plateale con la quale sono stati cancellati problemi, la stiamo pagando e la pagheremo a caro prezzo.
