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Gestione e tutela della risorsa idrica? La strategia di governo e maggioranza parlamentare fa acqua da tutte le parti. Parola del Centro studi della Camera dei deputati

 |  Editoriale

«Merita altresì sottolineare quanto ricordato nel Blue Book 2024, ove viene evidenziato che, negli ultimi anni, il valore degli investimenti sostenuti dalla tariffa pagata dagli utenti dei servizi idrici “è aumentato fino a circa 4 miliardi di euro l’anno. Il Pnrr sta dando certamente un impulso significativo con risorse aggiuntive (circa 0,7 miliardi di euro l’anno) che si esauriranno nel 2026. Il fabbisogno di settore è stimato in almeno 6 miliardi di euro l’anno”. Conseguentemente, una volta esaurite le risorse del Pnrr, serviranno risorse aggiuntive “tra 1,3 e 2 miliardi di euro per innalzare l’indice di investimento annuo e raggiungere i 100 euro per abitante, avvicinandosi così alla media di altri Paesi europei di dimensione simile all'Italia”». È questo uno dei passaggi chiave (pagina 55) del documento del Centro studi della Camera dei deputati dedicato al “Servizio idrico integrato”. Il testo non esplicita il vero nodo riguardante l’Italia, ovvero che l’acqua resta fuori dai bilanci dello Stato, essendo gli investimenti pubblici in questo settore tra l’1 e il 2% della spesa pubblica nazionale, non sottolinea che abbiamo già pagato oltre 210 milioni di euro di sanzioni e recentemente abbiamo avuto nuove multe dalla Corte europea per il mancato rispetto della direttiva sulle acque reflue, non si spinge a dire, come fanno ricercatori ed esperti da più parti, che con 10 miliardi di euro in più all’anno non saremmo costretti a inseguire le emergenze idriche come stiamo facendo ora. Ecco, il documento uscito da Montecitorio non dice tutto questo, ma già quello che dice dà il senso di quanto l’Italia o, per meglio dire, governo e maggioranza parlamentare, con la legge di bilancio e le altre misure che rientrano in questa voce, si stiano muovendo poco e male rispetto al fondamentale tema della gestione e della tutela della risorsa idrica.

Già nel 2024, quando ancora mancavano due anni alla scadenza del Pnrr, diversi osservatori avevano evidenziato le opportunità ma anche le criticità insite nel piano di investimenti finanziato dall’Ue e gestito dal governo italiano, mentre in tempi più recenti è stato anche emerso che le utility in realtà stanno già guardando al post Pnrr. E ora dagli analisti di Montecitorio arriva questa analisi che sulla gestione della risorsa idrica sottolinea diverse questioni con cui dobbiamo fare i conti. La prima: grazie alle risorse stanziate dal piano europeo e grazie anche al Piano nazionale di interventi infrastrutturali e per la sicurezza del settore idrico (Pniissi), il servizio idrico italiano può registrare dei miglioramenti sul fronte della diminuzione delle perdite e delle interruzioni, su quello della potabilità, della limitazione degli allagamenti e degli sversamenti. La seconda questione evidenziata discende in parte dalla prima: grazie a questi investimenti e miglioramenti, il nostro Paese si sta avvicinando alla media degli altri Paesi Ue in termini di investimento pro-capite. Già qui però arriva una prima ombra, tra le luci appena evidenziate dagli analisti di Montecitorio. Come ricordato nel passaggio del documento del Centro studi della Camera citato in apertura, l’investimento annuo per abitante degli Stati comunitari è di 100 euro, mentre l’Italia, nonostante i citati (da Montecitorio) passi avanti ultimamente compiuti, nel 2025 si fermerà il 20% sotto quella cifra, a quota 80 euro. E se già nel citato Blue Book realizzato dalla Fondazione Utilitatis e da Utilitalia si calcolava che alle risorse derivanti dalla tariffa andrebbe affiancata anche una quota di contributo pubblico di almeno 1 miliardo di euro l’anno per i prossimi 10 anni, al fine di raggiungere l’obiettivo di un pareggio con gli altri Paesi Ue, ora dalla Camera arriva un nuovo calcolo che, al netto del Pnrr, si annuncia sì inferiore ai 10 miliardi di cui si parlava sopra, ma comunque decisamente più sostanzioso di quello attualmente previsto dal bilancio pubblico.

Basandosi sui dati di Utilitatis-Utilitalia ma anche di Arera e Istat, il Centro studi della Camera indica appunto in una cifra compresa tra 1,3 e 2 miliardi all’anno la somma aggiuntiva necessaria per mantenere il nostro Paese in linea con la media europea. Da quando? Da quando nel 2026 si esauriranno i fondi previsti dal Pnrr, pari a circa 0,7 miliardi annui.

La cifra, si è detto, è da considerare calcolata per difetto rispetto alle reali necessità del Paese, ma è comunque tutt’altro che di poco conto paragonata a quella attualmente a disposizione, e inoltre le difficoltà segnalate dagli analisti di Montecitorio non finiscono qui. Nel documento si sottolinea anche un problema relativo ai prelievi di acqua per uso potabile. Facendo riferimento ai dati Istat, si parla della «criticità rappresentata dagli elevati prelievi di risorsa idrica»: «Il volume (in milioni di metri cubi) di acqua prelevata per uso potabile è passato da 9,23 miliardi nel 2018 a 9,19 miliardi nel 2020, per poi scendere a 9,14 miliardi nel 2022. Poiché però nello stesso periodo la popolazione ha avuto un trend discendente più deciso, i prelievi pro capite risultano in crescita». Non solo. In un’apposita sezione dedicata ai «prelievi di acqua per usi civili» (pag. 32) si ricorda anche che secondo l’ultimo report disponibile Istat «l’Italia si riconferma - da oltre un ventennio - al primo posto nell’Unione europea per la quantità, in valore assoluto, di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei (escludendo quindi i prelievi da acque marine)». Non è finita.

Tra «le maggiori criticità che affliggono il sistema idrico nazionale», il documento cita poi «la carenza e/o l’inefficienza delle infrastrutture, l’insufficiente livello degli investimenti e la frammentazione delle gestioni; problematiche che hanno la caratteristica comune di presentarsi con maggiore intensità nel Sud e nelle Isole, determinando quello che viene comunemente indicato come water service divide». Si legge su quest’ultima questione nel documento del Centro studi della Camera: «Un bilancio del percorso di riforma e riorganizzazione del settore idrico intrapreso nell’ultimo trentennio può essere sintetizzato con le poche ma efficaci parole della Corte dei conti che, in una delle periodiche relazioni sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nel fare il punto sul sistema idrico nazionale, evidenzia che “qualche passo avanti è stato compiuto grazie all’azione dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), dal 2012 in avanti, e con l’istituzione della ‘gestione unica’ voluta dal D.L. 133/2014, c.d. Sblocca Italia. Ma ai progressi delle Regioni del Centro-nord non si è accompagnata una uscita dallo stallo di talune realtà del Mezzogiorno. Per questi motivi il water service divide nella gestione e nella erogazione del servizio idrico si è ampliato facendo emergere in modo chiaro l’esigenza di una iniziativa centrale dedicata al Mezzogiorno. Limiti e valutazioni riconosciuti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ha indicato un palinsesto di riforme destinate a ricucire le distanze».

Il problema è che l’«iniziativa centrale dedicata al Mezzogiorno» finora è stata a esser generosi marginale, che tra un anno si chiudono i rubinetti del Pnrr e che quei «limiti» non vanno invece a scadenza e anzi si mostrano a tutt’oggi decisamente attuali. Quanto a quelle «valutazioni» confluite col Pnrr, se non si dà loro un concreto seguito in questi mesi, finiranno anch’esse per scorrer via e per disperdersi nell'italico mare degli impegni non mantenuti.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.