
Il monito dell’Ocse. L’economia circolare può decarbonizzare l’Europa e garantire 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro, ma restano ostacoli di natura economica, normativa e finanziaria da superare

L’Ocse ha pubblicato un interessante report che analizza lo sviluppo dell’economia circolare nelle città e nelle regioni dell’Unione europea: un’analisi basata sui dati europei e sulle esperienze di 64 città e regioni, nessuna purtroppo italiana (provengono da Germania, Grecia, Finlandia, Francia, Portogallo, Norvegia, Bulgaria, Olanda, Spagna e Irlanda). Ma i risultati sono chiari e offrono altrettanto chiare indicazioni per le prossime politiche europee, a partire dal focus sui “materiali” piuttosto che sui “rifiuti”.
L’Ocse parte infatti dalla constatazione che lo sviluppo dell’economia circolare non serve solo a ridurre i rifiuti, ma contribuisce a mitigare i cambiamenti climatici e a decarbonizzare l’economia. Si ricorda che il 60% delle emissioni gas serra sono generate dalla produzione di materiali (e non di energia), quali metalli, cemento e plastica, tutti settori “hard to abate”. Si azzarda una stima: una migliore efficienza nella produzione di materiali con modelli circolari può arrivare a ridurre le emissioni in questi settori fino al 50% al 2050. I settori delle costruzioni, del cibo, dei trasporti e dell’energia potrebbero cosi ridurre le proprie emissioni del 40-70% al 2050.
La transizione ecologica e la decarbonizzazione non si fanno solo con le politiche energetiche, ma con politiche circolari su materiali e rifiuti. Naturalmente anche la quantità di rifiuti si ridurrebbe, specie nelle aree urbane, con uno scenario proposto di una riduzione del 34% al 2030 rispetto al 2020, grazie ad una implementazione forte dell’economia circolare.
Secondo: l’economia circolare offre grandi opportunità per efficientare i costi e creare nuove opportunità economiche. Una maggiore efficienza nell’uso dei materiali crea filiere di fornitura più resilienti e promuove la sicurezza economica continentale. L’Europa oggi importa circa la metà dei metalli che utilizza e il 70% dei combustibili fossili; l’economia circolare può contribuire a ridurre le importazioni nei settori delle costruzioni, della mobilità e dell’energia. Una minore produzione di rifiuti poi contribuisce a ridurre i costi di gestione dei rifiuti stessi, a carico di cittadini ed imprese. Modelli circolari fanno aumentare l’occupazione, sia nei segmenti upstream (ecodesign, riuso, riparazione) che nei segmenti downstream (riciclo, recupero energetico). Ocse stima che entro il 2030 si potrebbero creare 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro in Europa.
L’Europa ha fatto grandi progressi nel campo della circolarità negli ultimi anni. 24 dei 27 stati hanno adottato strategie nazionali circolari. Tre quarti delle regioni e delle città europee si sono dotate di strategie circolari, con ottimi risultati locali, che il Rapporto descrive caso per caso.
Ma il tasso di circolarità complessivo europeo (Cmu) rimane stabile attorno al 12%, distante dall’obiettivo del 24 % previsto dal Piano di azione dell’economia circolare europeo del 2020. Solo il 2% del Pil europeo è generato dai settori circolari. Molte nazioni non hanno e non stanno raggiungendo gli obiettivi di riciclo e riduzione dei rifiuti.
Per l’Ocse le barriere che ostacolano una crescita consistente di modelli circolari nell’economia continentale non sono di natura tecnologica, ma sono di natura economica, finanziaria e normativa. L’Ocse si spinge oltre: “Le politiche messe in campo si sono concentrate fino ad oggi sul segmento downstream nella gestione dei materiali (rifiuti, riciclo) e poco è stato fatto nella parte upstream (ecodesign, efficienza nell’uso dei materiali, riuso, riparazione). Scarsi sono stati gli incentivi ai produttori per innovare e creare prodotti che durano, riparabili e facilmente riusabili e riciclabili. Anche i consumatori hanno ricevuto pochi segnali ed incentivi che orientino i consumi ad un uso efficiente (come i vuoti a rendere o agevolazioni fiscali)”. Insomma, l’economia circolare si è sviluppata dove già conveniva (nel rapporto coi costi delle materie prime vergini), ma non ha avuto incentivi fino ad ora per svilupparsi in tutte le filiere produttive. Questo il punto per Ocse, ed è difficile non essere d’accordo.
Alla luce di questa analisi lucida, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico indica alcune raccomandazioni per i decisori politici europei.
L’economia circolare deve essere accessibile e conveniente per i cittadini. Servono informazioni chiare nelle etichette, istruzioni chiare per riuso, riparazione e riciclo. Il diritto alla riparazione dei prodotti deve essere garantito a prezzi equi.
L’economia circolare deve convenire alle imprese. Vanno aboliti i sussidi dannosi e introdotti incentivi per i prodotti circolari e disincentivi altrettanto chiari sull’uso di materiali vergini. Applicare la tassazione sul carbonio sulle filiere vergini non rinnovabili potrebbe andare in questa direzione. Stessa cosa serve per ridurre le importazioni “lineari” e non circolari lavorando sul Carbon border adjustament mechanism (Cbam).
Occorre spostare il focus delle policy sui segmenti upstream e non solo sulla fase di riciclo e gestione dei rifiuti. Va enfatizzata la gerarchia dei rifiuti sul lato “prevenzione” oltre che sul riciclo e recupero energetico. Vanno estesi e migliorati gli strumenti economici come la Responsabilità estesa del produttore (Epr) e il Green public procurement.
Vanno supportate le regioni a “ritardo” di circolarità, per uno sviluppo omogeneo a scala continentale.
Infine, migliorare i meccanismi di monitoraggio e la batteria degli indicatori che usiamo per misurare l’avanzamento delle policy europee. Raccomandazioni sacrosante.
