
Da Atene quattro pilastri per affrontare la crisi dell’acqua in Europa, integrando soluzioni basate sulla natura e infrastrutture idriche

Si è svolta ad Atene, dal 15 al 17 maggio, la Conferenza annuale della FIEC (Federazione dell’Industria Europea delle Costruzioni) sul tema dell’acqua come emergenza europea. È interessante che una associazione imprenditoriale di costruttori abbia messo al centro della propria riflessione strategica un tema di sostenibilità.
Un tema che è diventato centrale, o che tale dovrebbe essere, nell’agenda dei Governi nella duplice criticità della “troppa acqua” (alluvioni e frane) e della “poca acqua” (siccità) e che richiama con forza il tema dell’adattamento al cambiamento climatico. I costruttori si sono posti in marcia verso un nuovo e più avanzato percorso rispetto alla sostenibilità. Dando un contributo, anche culturale, al superamento della dicotomia che ha visto, nella “vulgata politica” di questi decenni, da una parte il mondo “grigio” delle costruzioni, e quindi del consumo di suolo, dell’eccesso di edificazione, dell’appesantimento urbano e così via, e dall’altra il mondo “verde” del non fare, schierato tutto sulla rinaturalizzazione dei territori.
Infrastrutture e rinaturalizzazione: una possibile sintesi
Si tratta in effetti di due mondi, che nel processo operativo di adattamento necessario, che va avviato e rafforzato quanto prima anche in Italia, possono trovare una proficua intesa su una nuova capacità di resilienza del paese. La rinaturalizzazione dei territori, lanciata con forza dalla politica europea, appare centrale nel nuovo scenario dello sviluppo. Si tratta di delocalizzare, depavimentare, ritrovare spazi verdi e blu dentro il “già costruito” e si tratta di recuperare paesaggi e funzioni naturali in parte deteriorati o persi. Producendo, attraverso i servizi ecosistemici, una nuova qualità del vivere in particolare nelle città. Le città hanno il bisogno di questa “svolta” e il mondo delle costruzioni deve sempre più pensare alla rigenerazione piuttosto che al nuovo consumo di suolo. Ma oltre alla rinaturalizzazione la politica di adattamento richiede un grande sviluppo delle infrastrutture e delle tecnologie a queste sempre più connesse e integrate. Non tutto può essere riportato alla natura (o a quello che più si avvicina a questo concetto) e non tutto può essere reso resiliente attraverso il ripristino degli spazi e delle funzioni “naturali”.
In alcuni casi, per esempio, è difficile ripristinare il funzionamento naturale. Si pensi, in tema di acqua, alle naturali esondazioni dei fiumi nelle campagne che servivano spesso a depotenziare le portate che arrivavano nelle città nei casi di grandi precipitazioni a monte. Queste esondazioni naturali non sono più possibili in quanto il territorio intorno e lungo ai fiumi è per gran parte “usato”. E quindi occorre costruire infrastrutture di ritenzione (le casse di espansione) che copiano il funzionamento della natura ma che non sono di fatto naturali.
E poi ci sono i casi in cui la natura, di per sé, non riesce ad aiutare l’uomo. Non siamo più da tempo uomini raccoglitori e cacciatori nomadi ma stanziamo sul territorio con l’agricoltura, le infrastrutture e le città. E siamo tanti. E quindi sia nel caso del controllo delle grandi piogge sia in quello opposto delle basse precipitazioni il ricorso al funzionamento della natura non risulta sufficiente per le nostre esigenze. E quindi dobbiamo fare dighe per raccogliere l’acqua quando cade e rilasciarla quando manca, oppure per laminare le piene a fronte di forti precipitazioni a monte. Insomma, l’uomo deve costruire infrastrutture per difendere il proprio modello di vita e sostenere servizi utili al proprio sviluppo.
Bisogna evitare l’eccesso di infrastrutturazione, che forse in determinati periodi ha offuscato la vista dell’uomo, ma bisogna evitare l’eccesso opposto che affida alla natura, e quindi a processi completamente nature-based, la soluzione di tutti i nostri problemi di adattamento.
In una integrazione dei tre concetti di natura, infrastrutture e sostenibilità sta il “nocciolo duro” di una efficace politica di adattamento ai cambiamenti climatici. Ridando all’uomo non solo il ruolo di “ritirarsi” rispetto alla “natura” ma anche di continuare, come ha sempre fatto e magari con maggiore attenzione alla sostenibilità, a costruire i propri specifici “spazi di vita”.
Le strategie di risposta non congiunturale alla siccità
Questo ragionamento, in maniera talvolta esplicita e talvolta implicita, è stato alla base della Conferenza. Ed è stato il sottofondo che ha accompagnato il mio intervento nell’ambito del panel dedicato alla gestione delle risorse idriche in Europa e alle strategie per far fronte alla crescente minaccia della siccità.
Nel contesto europeo, l’aumento della frequenza e dell’intensità degli episodi siccitosi impone un ripensamento strutturale nella gestione delle risorse idriche. Le proiezioni climatiche indicano un futuro sempre più caratterizzato da periodi prolungati di scarsità idrica, intervallati da eventi meteorologici estremi. In questo scenario, si rende necessaria l’adozione di strategie multilivello che coniughino efficienza, sostenibilità e innovazione tecnologica.
Durante il mio intervento, ho voluto porre l’accento su quattro direttrici fondamentali per affrontare in modo sistemico la crisi idrica in Europa:
Aumento della capacità di stoccaggio, attraverso la costruzione e l’ammodernamento di dighe e piccoli e medi bacini. Queste infrastrutture risultano fondamentali per immagazzinare l’acqua nei periodi di piogge abbondanti e renderla disponibile nei mesi più secchi. Nell’attuale contesto di cambiamenti climatici, tali opere svolgono anche una funzione di regolazione dei flussi, contribuendo a mitigare i rischi idrogeologici.
Miglioramento dell’efficienza nell’uso dell’acqua, in particolare nel settore agricolo, che rappresenta la quota più significativa dei prelievi idrici in molte regioni europee. Tecniche di irrigazione a goccia, sistemi di monitoraggio in tempo reale del fabbisogno idrico delle colture e pratiche agronomiche resilienti sono strumenti imprescindibili per ridurre i consumi mantenendo la produttività.
Riduzione delle perdite di distribuzione, una criticità particolarmente rilevante sia nelle reti di approvvigionamento idrico urbano sia nei sistemi irrigui. In alcune città europee le perdite superano ancora il 30%, con conseguente spreco di risorse e fondi pubblici. In Italia questa percentuale va oltre il 40%. Investire nella digitalizzazione delle reti e nella manutenzione predittiva permette una drastica riduzione di tali inefficienze. Oltre ovviamente alla costruzione di nuove tubazioni e alla manutenzione ordinaria e straordinaria di quelle già realizzate.
Incremento della produzione e dell’utilizzo di acque non convenzionali, come l’acqua desalinizzata (soprattutto in aree costiere) e le acque reflue trattate, riutilizzabili in agricoltura, nell’industria e in applicazioni urbane non potabili. Le moderne tecnologie di trattamento permettono oggi di ottenere acqua di elevata qualità, alleggerendo la pressione sulle fonti naturali. Superando, specialmente in Italia, i limiti burocratici, operativi e culturali all’utilizzo dell’acqua “affinata”.
La presentazione di due case-studies
Queste strategie sono state illustrate attraverso due casi studio emblematici:
- Francia: un progetto pilota ha dimostrato come sia possibile ridurre in modo significativo il consumo idrico nei cantieri attraverso sistemi di raccolta e riutilizzo delle acque piovane. Una buona pratica replicabile in diversi contesti urbani, che evidenzia l’importanza dell’integrazione tra pianificazione urbana e gestione sostenibile delle risorse.
- Creta: l’esperienza ha messo in luce la centralità della manutenzione, del rinnovamento e dell’espansione delle infrastrutture idriche, in particolare nelle aree più esposte alla scarsità d’acqua. Una gestione proattiva delle infrastrutture diventa elemento chiave per garantire la sicurezza idrica e la resilienza dei sistemi a livello locale.
Le infrastrutture come asse portante della risposta europea alla siccità
Qualunque sia la strategia adottata, un punto emerge con assoluta chiarezza: le infrastrutture idriche sono il fulcro di qualsiasi politica efficace di adattamento alla siccità. Parliamo non solo di grandi opere come dighe e acquedotti, ma anche di infrastrutture “verdi”, reti intelligenti di distribuzione e sistemi avanzati per un uso efficiente dell’acqua.
Questa consapevolezza apre una nuova frontiera: quella dell’innovazione tecnologica applicata alle infrastrutture e alla gestione idrica. Dai sensori avanzati all’intelligenza artificiale per la gestione predittiva dei sistemi, dalla robotica per la manutenzione delle condotte sotterranee alla modellazione idrologica per la pianificazione strategica, le tecnologie digitali possono rivoluzionare il settore.
Accanto a ciò, è indispensabile un forte impegno nella formazione imprenditoriale e professionale: servono nuove competenze, profili tecnici aggiornati, ingegneri idraulici multidisciplinari e imprenditori capaci di guidare l’innovazione e proporre soluzioni scalabili e sostenibili dal punto di vista economico.
In conclusione, la sfida della siccità non può più essere affrontata con approcci frammentati o emergenziali. Richiede visione strategica, investimenti strutturali, e un’alleanza virtuosa tra settore pubblico, privato e mondo della ricerca. La filiera delle costruzioni, con il suo patrimonio tecnico e la sua capacità realizzativa, può e deve avere un ruolo da protagonista in questo processo.
