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Ripristinare la natura per lottare contro la desertificazione

 |  Editoriale

La desertificazione rappresenta la fase estrema del degrado del suolo, che (anche) in Italia avanza a ritmi preoccupanti, insieme alla crisi climatica: secondo i dati più aggiornati messi a disposizione dall’Ispra risulta in stato di degrado già il 17,4% della superficie nazionale, sebbene con ampie differenze lungo lo Stivale.

L’associazione nazionale che rappresenta i Consorzi di bonifica (Anbi) documenta che sei regioni (Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania) presentano una percentuale di territorio a rischio desertificazione compresa fra il 30% e il 50%, mentre altre sette (Calabria, Toscana, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte) sono fra il 10% ed il 25%.

Oggi si celebra la Giornata mondiale contro la desertificazione e la siccità promulgata dall’Onu (Unccd), che non a caso ha come tema "Ripristinare il territorio. Sbloccare le opportunità", sottolineando i molteplici benefici legati al ripristino del territorio.

«Il degrado del suolo e la siccità sono gravi fattori che influenzano l’economia, la produzione alimentare, la disponibilità di acqua e la qualità della vita – spiega nel merito l’Ispra – Amplificano il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, la povertà, le migrazioni forzate e i conflitti per l'accesso a terreni fertili e all’acqua. Il ripristino del suolo rappresenta un'opportunità per invertire la rotta di queste tendenze allarmanti. Se le tendenze attuali continueranno, dovremo ripristinare 1,5 miliardi di ettari di terreno entro il 2030 per raggiungere un mondo neutrale in termini di degrado del suolo. Ad oggi, è previsto il ripristino di un miliardo di ettari di terreno degradato attraverso impegni volontari, come la Global land restoration initiative del G20, ospitata dall'Unccd».

Ma resta moltissimo da fare. Secondo l’Unccd il mondo dovrebbe investire 1 miliardo di dollari al giorno tra il 2025 e il 2030 per arrestare e invertire il degrado del suolo, ma gli investimenti attuali sono insufficienti, attestandosi a 66 miliardi di dollari all'anno (e solo il 6% proviene dal settore privato). Eppure la convenienza economica dell’investimento è chiara: ogni dollaro investito nel ripristino genera un ritorno economico da 7 a 30 dollari. Una consapevolezza che anche in Italia è ancora poco radicata.

«Lo scorso anno – spiega nel merito Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – è stata approvata dall’Unione europea (l’Italia voto contro) la Nature restoration law, regolamento che impone di ripristinare almeno il 20% degli ecosistemi degradati entro il 2030, per arrivare al 90% nel 2050. L’Italia deve preparare un Piano nazionale di ripristino della natura da presentare entro settembre 2026. Il ministero dell’Ambiente ha avviato l’istruttoria, ci sono vari tavoli aperti. Ancora non c’è un testo base, ma c’è grande attenzione. Individuati gli interventi, si porrà poi la questione, molto calda, dei finanziamenti. C’è la proposta di investire sul ripristino della natura parte degli incentivi che recano danno all’ambiente. O quella di dare un valore anche economico ad alcuni servizi ecosistemici. Sapendo che ogni euro investito nel ripristino della natura è in grado di generare anche ritorni economici».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.