Attacco al clima. Effetti collaterali “climalteranti”, il lato oscurato delle 56 guerre in corso. Le Apocalypse Now con vittime dirette e future stragi da gas e veleni su suoli e in atmosfera
Dalla padella alla brace più tossica. Dal cinico tenente colonnello William Kilgore che nella macabra scena cult di Apocalypse Now annusa da tossico incallito il suo Napalm preferito e fa: “Mi piace l’odore del Napalm di mattina. Una volta una collina la bombardammo per dodici ore e, finita l’azione, andai lì sopra. Non ci trovammo più nessuno, neanche un lurido cadavere di Viet. Ma quell’odore…Tutta la collina odorava di vittoria” alla “Pallottola d’Argento” madre di tutte le superbombe Usa “Massive Ordinance Penetrator” in grado di ridurre in cenere con una miscela di duemila chili di esplosivi gallerie e laboratori atomici iraniani con centrifughe top secret per arricchire l’uranio e produrre atomiche a 90 metri nelle viscere della montagna di Fordow.
I copioni bellici del terzo millennio elaborati da ogni Paese, compreso il nostro, hanno lo stesso scenario: riarmo, tonnellate di esplosivi da stivare e armi missili e bombe da acquistare o fabbricare come prevede il ReArm EU o Readiness 2030 della Commissione europea per rafforzare le capacità militari attraverso un aumento della spesa militare persino da risorse da fondi di coesione.
Ancora ieri il direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Rafael Grossi, ha lanciato l’ennesimo alert al mondo denunciando che il rischio della “dispersione della radioattività in atmosfera è concreto” dopo la minaccia di Netanyahu di bombardare la centrale atomica iraniana di Bushehr. “Un attacco su un impianto nucleare operativo causerebbe una catastrofe radioattiva”, spiega James Acton, del think tank Usa al Carnegie Endowment for International Peace. Ma intanto a Isfahan, a 300 km a sud di Teheran, Israele ha bombardato più volte l’impianto che converte l’uranio nel gas esafluoruro di uranio dal quale si ottiene l’uranio arricchito. Un gas altamente tossico anche inalato che si deposita sul terreno provocando contaminazioni radiologica e chimica già rilevate dall’AIEA il 13 giugno a Natanz all’interno dell’impianto.

In un mondo con 56 fronti di guerra apertissimi, il numero più alto dalla Seconda Guerra Mondiale, che coinvolgono almeno 92 Paesi, con armi distruzioni di massa a portata di minaccia concreta, i cloni del tenente colonnello Kilgore continuano ad annusare l’odore di morte nell’escalation di distruzioni e stragi anche di popolazioni inermi con contaminazioni ambientali totalmente rimosse e di cui nessuno parla. La spirale di guerre, del resto, sembra senza limiti, sfuggita di mano, con organismi globali come l’ONU letteralmente fuorigioco e sostanzialmente impotenti. Non c’è morale, piuttosto continue sfide aperte a chi semina e può seminare più morti e distruzioni.
Siamo spettatori inermi degli ultimi tre anni di conflitti che non riescono a fare pace, seguiamo le evoluzioni degli ultimi teatri di guerra spaventosi come quello aperto dal 24 febbraio 2022 giorno nero dell’invasione brutale della Russia in Ucraina. Ma le ricadute su popolazioni, terre e clima prima ancora dell’invasione di Putin, sono state verificate nella guerra nel Donbass dal 2014 dopo le distruzioni di edifici, infrastrutture, fabbriche e miniere con fuoriuscite tossiche e inquinamenti dell'ambiente e alle acque sotterranee. E anche dal 2022 intensi bombardamenti hanno causato vastissimi incendi di foreste con 6.808 aree naturali protette con circa il 35% della biodiversità Europea. Con oltre 280.000 gli ettari di verde sono stati inceneriti milioni di animali con specie ridotte nel numero per inquinamento o perdita di areali come l'orso bruno euroasiatico, la lince euroasiatica, il bisonte europeo, uccelli e persino circa 50.000 cetacei morti per disorientamento o annientamento da bombardamenti in mare e lungo le coste. In Ucraina di sicuro molti terreni saranno inutilizzabili a lungo per ordigni inesplosi o presenza di sostanze tossiche a partire dal fosforo bianco.
Ma con l’atroce terrificante massacro di Hamas nel Sud di Israele del 7 ottobre 2023 quando migliaia di terroristi hanno trucidato 1.200 israeliani nei modi più orribili con genitori costretti ad assistere al barbarico martirio dei loro figli e viceversa e squartando donne incinte, è stato superato un limite che si credeva invalicabile. Dalla totale distruzione di Gaza voluta da Netanyahu con forse 50-80.000 morti e il 60% bambini, donne e anziani, denuncia uno studio su “Social science research network”, si stima una quantità di emissioni di gas climalteranti pari a 281mila tonnellate di CO2, superiori alle quantità rilasciate in atmosfera in un anno da 20 Paesi! E all’attacco all’Iran del 13 giugno scorso siamo finiti dentro un altro buco nero.

Ma non fa notizia il danno definito dai militari “collaterale” e scontato ma più pericoloso: l’impatto sul futuro, le contaminazioni dell’ambiente, lo spargimento di veleni sui suoli e nelle acque, le emissioni velenose nell’atmosfera con picchi di gas ad altissima e mortale tossicità espulsi da ogni tipologia di arma e bombe che oltre ad uccidere all’istante inquinano a lungo termine spingendo sempre più in alto il termometro del riscaldamento globale. È un dar fuoco e carburanti particolarmente nocivi a nuove e devastanti catastrofi meteo-climatiche che pesano e peseranno in termini di morti e distruzioni e danni come o forse più delle guerre.
Ma quante emissioni di gas serra emettono invasioni, guerre e conflitti armati? Nessuno lo sa. Sono da sempre segreti militari, dati esclusi rigorosamente dagli accordi globali sul Clima, non indicati nelle annuali Conferenze delle Parti dell’Onu. Sono off limits, top secret eppure sono enormi le quantità di emissioni killer che salgono in atmosfera. I trattati internazionali sul clima, a partire dal “Protocollo di Kyoto” del 1997, li hanno esclusi esplicitamente dalle contabilità ufficiali delle emissioni di gas serra per “ragioni di sicurezza nazionale”, sottoscritte da 192 Paesi. E infatti, in nessuna delle successive 29 Conferenze delle Parti delle Nazioni Unite sono state avanzate richieste ufficiali di determinare quantità di sostanze altamente tossiche emesse nelle guerre o anche in esercitazioni e la loro provenienza e le sostanze espulse. In nome della sicurezza interna, ogni Paese cestina ogni richiesta di trasparenza avanzata da ONG e associazioni ambientaliste che chiedono invece da sempre la loro inclusione nei conteggi ufficiali e quindi nei target di riduzione. Inutilmente. E da Kyoto 1997 all’ultimo vertice mondiale sul clima di Baku 2024, la diplomazia climatica tiene rigorosamente i gas serra militari fuori dai vincoli di comunicazione degli Stati che sono ufficialmente lasciati liberi di contabilizzare le proprie emissioni militari, ma nessuno ovviamente comunica dati off records. Dopo un timido tentativo nella COP 27 di Sharm el-Sheikh, nel 2022, fu organizzato un fugace incontro al margine dei lavori ufficiali ma fu subito chiuso per scarsa partecipazione a dimostrazione dello scarsissimo interesse di chi ha alti interessi da tutelare come segreti di Stato.
Eppure ogni bomba, ogni proiettile, ogni incendio, ogni suolo inquinato da sostanze tossiche da operazioni militari - dai metalli pesanti a idrocarburi, solventi organici, fenoli sintetici, cianuro, arsenico e altri -, hanno impatti ultra-devastanti anche sul clima. Ogni distruzione di aree industriali, di infrastrutture, di parti di città, di impianti produttivi, di centrali energetiche, di depositi di carburanti - per non dire del terrore che corre lungo la schiena quando si minacciano attacchi a centrali nucleari -, rilascia sostanze inquinanti e pericolose dirette in atmosfera. E gli stessi edifici e altre infrastrutture distrutte rilasciano il carbonio immagazzinato.
Sono un tabù anche i consumi di carburante di mezzi e automezzi militari di cielo, di terra e di mare si traducono in altre massicce dosi di emissioni di CO2. Nel 2019, uno studio della prestigiosa Università di Durham nel Regno Unito stimava che le sole forze armate statunitensi emettevano più gas serra di Svezia o Portogallo, con emissioni annuali da oltre 59 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. E il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti - era Trump 1 - ammise a mezza bocca di essere uno dei maggiori consumatori di combustibili fossili al mondo che contribuisce alle emissioni di gas serra. E fini lì. Il Ministero della Difesa del Regno Unito pubblicò un anno dopo un report annuale sull’impatto ambientale delle forze armate con dati sulle emissioni serra che indicavano nel 2020 emissioni totali per 3 milioni di tonnellate di CO2 equivalente. Annunciarono però misure per ridurle attraverso l’uso di energia da fonti rinnovabili nelle basi militari e una maggiore efficienza nei trasporti. Paesi come Francia e Germania promisero di cominciare a considerare le emissioni militari nei loro piani di decarbonizzazione. Ma al momento ogni dato resta sotto chiave.
Se un team di ricercatori olandesi ha calcolato nei soli primi 7 mesi di guerra in Ucraina circa 100 milioni di tonnellate di CO2 equivalente emesse, si stimano emissioni globali da guerre tra 1,6 e 3,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente, ovvero tra il 3,3% e il 7% delle emissioni globali, paragonabili a settori come quelli delle costruzioni e dell'industria. Il settore militare, infatti, emerge come responsabile in media del 5,5% delle emissioni globali di gas serra, come rilevano i dati elaborati nel 2022 da “Scientists for global responsability”. Il rapporto “Less War, Les Warming: a Reparative Approach to US and Uk Military Ecological Damages”, del think tank Common Wealth e Climate and Community Project, indica “costi sociali” da risarcire per quote di emissioni climalteranti pari a 106 miliardi di dollari per le sole forze armate Usa e a 5 miliardi per quelle inglesi per "risarcimenti climatici" verso i Paesi a basso reddito e più colpiti dal cambiamento climatico. Ovviamente risulta impossibile o molto complicato calcolare i costi di Cina o Russia. Paesi a trasparenza zero. Ma sono enormi.
I danni delle contaminazioni da guerra però sono a lunga o lunghissima scadenza. Basta tornare al radioattivo Bikini Atoll nelle Isole Marshall sede dei primi test nucleari statunitensi degli anni '40 e '50. A una ottantina di anni di distanza l'atollo è ancora off-limits. Sotto i fondali marini da sogno giace l'enorme cratere della bomba, largo due chilometri, nella barriera corallina creato dall’esplosione della seconda bomba nucleare sottomarina, a 27 metri di profondità, il 25 luglio del 1946, dopo la prima del primo luglio del 1946 con una nube sollevata ad un'altezza di 158 metri. I test atomici sono proseguiti fino al 1958. L'esplosione dell’atomica del 1° marzo 1954, bomba battezata “Castel Bravo”, sollevò una colonna di fumo di 40 chilometri di altezza e produsse una potenza di 15 megatoni: mille volte di più delle bombe su Hiroshima e Nagasaki. Il risultato più terrificante è quello della contaminazione radioattiva dell’intero Atollo con le mitiche spiagge che danno il nome al costume da bagno chiuse per sempre anche agli eredi dei 197 bikiniani fatti sfollare nel 1947. La maggior parte di loro vive sull'isola di Kili, a diverse miglia di distanza che sconta le conseguenze di altissimi livelli di radioattività. E l'innalzamento del livello dell’oceano sta facendo inghiottire dalle acque l'atollo atomico.
Detonazione Baker nell'atollo di Bikini, 25 luglio 1946
Ma basterebbe anche tornare nell'Iraq teatro della guerra del Golfo dove l'uso di uranio impoverito causa malattie e malformazioni alla nascita, dove i residui tossici hanno inquinato anche l’acqua e le catene alimentari. Percolando dai suoli raggiungono, infatti, molto rapidamente falde, fiumi e laghi. E i pozzi petroliferi incendiati nella prima guerra del Golfo 1990-1991? Per i climatologi aumentarono del 4% le emissioni globali di CO2 da combustibili fossili in quell'anno. Ben 700 milioni di litri di petrolio furono riversati nel Golfo Persico, e circa 300 km di costa del Kuwait e dell’Arabia Saudita furono coperti di greggio, con inquinamento di zone umide e paludi e morìe di milioni di animali. Gli iracheni sabotarono circa 600 pozzi di petrolio incendiandoli, e questi rilasciarono nell’atmosfera circa mezzo miliardo di tonnellate di anidride carbonica inquinando a lungo l’atmosfera fino in India. E durante le tempeste di sabbia particelle black carbon si sono depositate persino sui ghiacciai tibetani, accelerando la loro fusione.
Ma anche la seconda guerra in Iraq con i bombardamenti del 2003 distrusse sistemi idrici e igienico-sanitari di molti centri abitati con milioni di tonnellate di liquami scaricati per anni nei fiumi o dispersi nell’ambiente. In quella guerra, come nel conflitto nei Balcani, furono utilizzate munizioni all’uranio impoverito che perforavano le blindature e nel punto di impatto raggiungendo temperature di oltre 4mila gradi. Come analizza Matteo Guidotti, chimico del Cnr, “generano nano e microparticelle di ossido di uranio, un metallo pesante che, se inalato, passa le barriere degli alveoli polmonari e le membrane intestinali, andando a contaminare l’intero corpo. È da questo che sono nati i famosi casi della ‘sindrome della guerra del Golfo’, una malattia cronica che ha colpito prima di tutto i combattenti”.
La guerra in Vietnam 1961-1975? Altro terrificante caso di studio. Sono stati inceneriti circa 325.000 ettari di superfici, in particolare foreste di mangrovie con immensa biodiversità, con quasi 2 milioni di ettari del Vietnam del Sud trattati con il Napalm e altre sostanze altamente tossiche che hanno raso al suolo intere foreste pluviali. Uno dei massimi studiosi di impatti come Matteo Guidotti dell'Istituto di scienze e tecnologie molecolari del Cnr, calcolava per il solo Vietnam 380.000 tonnellate di bombe al Napalm lanciate, con ogni bomba che in media ha incenerito 2.000 metri quadrati di verde, oltre all’uso dell'”Agente arancio” con altre bombe, e bruciarono vegetazione con composti diserbanti e defoglianti e diossina sparsi per 72 milioni di litri. Sono circa mezzo milione i bambini di allora che hanno sviluppato malattie genetiche, malformazioni e problemi oncologici.
Forze statunitensi bombardano con il napalm delle posizioni Viet Cong nel 1965
E se pensiamo che anche la crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina con il boicottaggio del gas russo ha visto aumentare a dismisura l’uso dei combustibili fossili da fonti più inquinanti e climalteranti, abbiamo la certezza che le guerre hanno anche questo lato oscuro dell’impatto tra i più devastanti sugli esseri umani, l’ambiente e il clima.