Bilancio Ue: più centralizzato, più nazionale meno verde? Due anni per cambiare rotta
La Commissione europea ha presentato la sua attesa proposta di Quadro finanziario pluriennale (Qfp) che contiene elementi di reale discontinuità, qualche buona idea, ma ha generato notevoli dubbi e preoccupazioni.
Segno dei tempi, poco propizi al lavoro di squadra e alla trasparenza, e di una discussione difficile e contraddittoria anche tra i commissari: Ursula von der Leyen e il commissario al Bilancio Serafin si sono presentati al Parlamento europeo (e alla stampa) senza i documenti formali di accompagnamento, sono un po’ inciampati sui numeri e senza l’appoggio di documenti concreti hanno portato a non poca confusione. A partire dalla rivendicazione centrale della comunicazione della Commissione: il bilancio è aumentato o no?
La Commissione europea, nella sua proposta del 16 luglio 2025 per il Qfp 2028-2034, ha stabilito il bilancio settennale dell'Ue a 1.763 miliardi di euro in impegni (a prezzi costanti 2025). Questa cifra rappresenta l'1,26% del Reddito nazionale lordo (Rnl) dell'Ue e include i costi di rimborso del Next generation Eu (Ngeu). Il Qfp attuale (2021-2027) aveva inizialmente un obiettivo di spesa dell'1,13% del Rnl, ma l'aggiunta di un ulteriore 0,11% per coprire i rimborsi del Ngeu (circa 25 miliardi di euro all'anno) dimostra che, in termini complessivi, non vi è praticamente alcun aumento significativo per le priorità dell'Ue.
Ricordiamo che il bilancio Ue, che rappresenta poco più dell’1% del Pil complessivo dei 27 Stati membri, diventa ogni 7 anni il teatro di inenarrabili litigi e meschinissimi calcoli, con poca o nulla capacità da parte dei Governi nazionali di andare al di là del conto di chi riceve di più, e con una serie di barriere ideologiche e di propaganda. Il tutto, combinato all’obbligo di decidere all’unanimità da parte del Consiglio, rende un vero e proprio incubo ogni discussione strategica e molto difficile la decisione.
Ci sono ora due anni di tempo per decidere sulla proposta della Commissione, dato che le nuove prospettive finanziarie devono valere per il periodo 2028-2034, e ci dovrà essere l’accordo del Parlamento europeo come del Consiglio: in questi anni, sarà interessante capire che cosa rimarrà della proposta originale presentata da Ursula von der Leyen, che è stata accolta da un coro quasi unanime – anche se molto diversificato – di critiche.
Nulla di nuovo, succede così quasi sempre, ma questa volta molto più di altre perché la proposta contiene delle innovazioni che toccano nel bene e nel male praticamente tutti gli interessi e le prassi che si sono costruiti in questi anni; pone anche un reale problema di procedure e di rispetto dei ruoli delle istituzioni – in particolare del Parlamento europeo e delle regioni – facendo emergere come “domini” delle decisioni la Commissione e i Governi nazionali.
Questo tema, assolutamente cruciale, è stato immediatamente notato dai relatori sul bilancio al Parlamento europeo (il popolare rumeno Siegfried Mureșan e la socialista portoghese Carla Tavares) e ribadito con parole diplomatiche, ma chiare, in una lettera non usuale firmata dai quattro gruppi che fanno parte della cosiddetta maggioranza “Ursula2”.
I documenti sono arrivati via via durante le ore successive alla presentazione, e (senza pretese di completezza) è utile fare alcune considerazioni sulla parte clima, energia e sulle risorse proprie – che è lo strumento di cui da decenni si discute per liberare la Ue dalla dipendenza dai contributi nazionali.
Il punto di partenza è la scelta di introdurre nel Qfp l’elemento centrale del modello Pnrr: i piani di partenariato nazionali e regionali, con una che una dotazione complessiva di 865 miliardi di euro (di cui 50 miliardi di euro provenienti dal Fondo sociale per il clima), che integrano 14 fondi esistenti e in particolare la Politica agricola comune (Pac) e la politica di coesione.
È immediatamente chiara la scelta di lasciare ai governi un amplissimo potere di decidere come e chi sarà destinatario di questi fondi, dietro la “foglia di fico” delle priorità europee, che come ben sappiamo già ora hanno insufficienti mezzi di controllo nella realizzazione degli obiettivi, figuriamoci se ci sarà una così estesa rinazionalizzazione.
Secondo elemento centrale delle scelte della Commissione è che nel secondo capitolo – intitolato Competitività, prosperità e sicurezza – vengono inseriti, fusi e rimescolati, importantissimi programmi e iniziative come Life (che non avrà più un programma dedicato) e Horizon (il fondo per l’innovazione, con una lente prioritariamente concentrata su settori industriali definiti strategici, tra i quali naturalmente emerge la difesa). L’effetto su beneficiari e iniziative consolidate da anni come Life sarà davvero importante e, secondo molti, del tutto negativo.
L’intero capitolo combina il Fondo per la competitività (243,5 miliardi di euro), Horizon (175) e il Fondo per l’innovazione disporrà (41); sono inoltre previste ampie possibilità di flessibilità e di intervento per la Commissione. Nel Fondo per la competitività, le risorse per la Clean transition saranno circa 26 miliardi di euro, ai quali nella sua comunicazione la Commissione ha un po’ arbitrariamente aggiunto i 41 miliardi del Fondo per l’innovazione, ma la parte del leone la faranno difesa e sicurezza, spazio e resilienza con ben 125,2 miliardi. Le scelte strategiche sono chiarissime.
Ma che fine faranno le priorità “verdi” in questo bilancio? Senza alcuna pretesa di completezza data la complessità di numeri e struttura, si possono però fare alcune considerazioni importanti.
In estrema sintesi, viene proposto un obiettivo complessivo di spesa per il clima e l'ambiente pari ad almeno il 35% del bilancio totale. Questo importo è destinato ai sei obiettivi ambientali dell'Ue (mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, biodiversità, acqua, inquinamento, economia circolare) e sarà giuridicamente vincolante, includendo un meccanismo di correzione e obiettivi per regolamento.
È evidente che, prima di considerarla una scelta positiva, bisognerà guardare con attenzione a cosa rientra nelle spese per clima e ambiente e agli strumenti per verificare che questi numeri vengano rispettati. Già sappiamo ad esempio che massici fondi potranno essere dedicati al nucleare, alle tecnologie di cattura del carbonio, perfino ad alcune infrastrutture gas e all’idrogeno, e che la logica è quella della prevalenza dell’industria piuttosto che di biodiversità e natura.
Quanto alla verifica del livello di “verde” della spesa – altro modello copiato da NextGenerationEu – già sappiamo che sono possibili doppi e tripli conteggi di una stessa spesa o progetti spacciati come verdi che non lo sono per nulla. In presenza di una massiccia rinazionalizzazione della spesa europea, questi rischi saranno ancora più reali e probabili.
In ogni caso, secondo la Commissione europea, si prevede che i seguenti fondi contribuiranno con le quote indicate:
- Piani di partenariato nazionali e regionali: 43%
- Fondo europeo per la competitività: 43%
- Programma quadro per la ricerca e l'innovazione: 40%
- Meccanismo per collegare l'Europa (connecting Europe): 70%
- Strumento per l'Europa globale: 30%
Si aggiungono contributi all'azione per il clima anche da programmi come Erasmus+, Europa creativa e il meccanismo di protezione civile dell'Unione. Il totale stimato per questa spesa è di circa 700 miliardi di euro. La regolamentazione sull'esecuzione prevede un'applicazione “semplificata” del principio "non arrecare danno significativo" (Dnsh), foriera anch’esse di imprecisioni e “flessibilità” da verificare con attenzione: sono infatti previste “linee guida precise” dalla Commissione in termini di esclusione di attività e di deroghe all'applicazione del principio, in caso di crisi e catastrofi naturali. Ci sarà da guardarle con molta attenzione e nei dettagli. Altro elemento da non trascurare: la difesa e la sicurezza sono esentate in blocco dall'applicazione del Dnsh. Da notare anche che non è stata fornita una tabella di marcia per eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili nell'ambito del Qfp.
In conclusione, questa proposta di bilancio segna una centralizzazione delle funzioni della Commissione, che già oggi pare incapace di lavorare in modo collegiale, uno spostamento di potere verso i Governi nazionali, indebolisce il ruolo del Parlamento europeo e mette a rischio il senso stesso di numerose politiche europee.
La retorica e alcuni strumenti pro-verde si scontrano con mezzi deboli, controlli incerti e margini troppo ampi per finanziare scelte che poco hanno a che fare con la transizione ecologica, a partire da spese militari e per la difesa senza vincoli né obblighi. Al di là di alcuni aspetti interessanti e positivi, la Commissione apre la porta a una rinazionalizzazione della spesa che rischia di ridurre trasparenza, coerenza e ambizione. Se il Parlamento e la società civile, ma anche alcune forze dentro la Commissione stessa, non reagiranno con forza, anche utilizzando al meglio alcuni degli strumenti che rimangono e il loro potere di mobilitazione e sensibilizzazione, l’Ue rischia di perdere l’occasione di dotarsi non solo di un bilancio ma anche di strumenti e politiche all’altezza delle sue sfide: climatiche, democratiche, sociali, di sicurezza.