Mentre in Italia continua un battage pindarico sul nucleare che (ancora) non c’è – quello dei “piccoli reattori modulari” – è utile fare un quadro dello stato di un settore industriale che è in declino da tempo e pressoché ovunque.
Il declino è nei numeri
È un declino anzitutto nella quota di produzione a livello globale: si è passati da poco oltre il 17% della metà degli anni ’90 a circa il 9% del 2024. La produzione in termini assoluti è rimasta stabile – nonostante la relativa crescita di questa fonte in Cina, dove comunque non arriva al 5% del loro fabbisogno elettrico - mentre la produzione generale di elettricità è andata crescendo notevolmente, con le rinnovabili in crescita, dal 19% a oltre il 30% a livello globale nel 2023. E la tendenza continua.
A giugno la produzione solare in Europa ha superato, per la prima volta nella storia, la produzione da nucleare, come ci ricorda il recente rapporto di Ember. In termini di produzione annuale media c’è ancora un po’ di strada da fare, ma non moltissima. Solo nel 2021 la produzione da solare europea era di 163 TWh e quella da nucleare di 732 TWh; nel 2024 il solare ha raggiunto i 307 TWh (quasi un raddoppio in tre anni) e il nucleare ha prodotto 648 TWh. Il sorpasso, data la crescita della fonte solare assieme alla stagnazione strutturale di quella da nucleare, è questione di pochi anni: a questo ritmo il sorpasso della produzione su base annuale potrà esserci intorno al 2030; il sorpasso del solo solare sul carbone, invece, è già avvenuto l’anno scorso.
A livello globale, secondo il database di Ember - la situazione è ancor più netta: il solare è passato dai 1055 TWh del 2021 a 2129 del 2024: il nucleare nello stesso periodo è andato dai 2762 a 2788 TWh. Nel giro di un paio d’anni con questa tendenza la produzione da solare potrà sorpassare quella da nucleare.
Costi del nucleare sempre in crescita
Per le fonti rinnovabili, le batterie e le tecnologie efficienti (come i LED) si è assistito in questi anni a una drastica riduzione nei costi unitari – e un aumento delle efficienze – è avvenuto il contrario per le tecnologie nucleari. Invece di avere una “curva di apprendimento” – che è stata clamorosa nel caso delle rinnovabili e degli accumuli industriali o per le auto – per il nucleare si è vista una sorta di “curva di disapprendimento”. E questo non è un fenomeno nuovo. Infatti, già nel ventennio d’oro del nucleare – negli anni ’70-’90 - l’analisi dei costi delle centrali nucleari nei Paesi occidentali – dove esiste una maggior trasparenza e accesso ai dati e informazioni – mostrava l’andamento in crescita che si vede in figura. Una clamorosa esplosione dei costi c’è stata anche per i reattori di generazione III+ - come il reattore francese EPR e quello nippo-americano AP1000 – che rappresentano tuttora lo “stato dell’arte” industriale in campo nucleare.
Esplosione dei costi dell’EPR
Si tratta, com’è noto, di un reattore originariamente di progettazione franco-tedesca (Framatome e Siemens) da cui poi i tedeschi uscirono e Framatome, poi rinominata Areva, farà in tempo a fallire per i costi e la conseguente a lite legale sul reattore di Olkiluoto in Finlandia. Secondo il “memorandum of understanding” firmato nel 2009 da Berlusconi e Sarkozy, ne avremmo dovuto costruire quattro in Italia. In Francia, dal 2007, ne hanno costruito solo uno a Flamanville, con enormi ritardi e costi (tutti pubblici) alle stelle. La relazione della Cour des Comptes dello scorso 14 gennaio ne ha certificato un costo complessivo di 23,7 miliardi di euro a fronte di una previsione iniziale di 3,3 miliardi. Un articolo di Robert Wright dello scorso 10 febbraio sul Financial Times mostrava come i costi dei reattori EPR siano andati crescendo dal primo costruito a Olkiluoto in Finlandia a quelli in costruzione in UK a Hinkley Point. Si tratta di un aumento dei costi esattamente per lo stesso tipo di reattore, quella che possiamo definire una curva di “disapprendimento”: invece di imparare dai cantieri precedenti, i costi aumentano. Va notato che, se il primo cantiere in Finlandia era stato gestito da Areva, tutti gli altri sono stati gestiti sempre da EDF.
Il “rinascimento nucleare” in USA
Il “rinascimento nucleare”, invocato dapprima da Reagan, e poi lanciato come obiettivo da George W. Bush, che portò a una legge quadro nel 2005, avrebbe dovuto fare due cose: provocare un’ondata di ordinativi di impianti di nuova generazione (si puntava ad oltre una trentina di impianti) e avviare lo sviluppo della Generazione IV.
Di nuovi impianti se ne ordinarono in tutto quattro – reattori ad acqua pressurizzata AP1000 – di cui due furono cancellati per i costi esorbitanti che portarono al fallimento la Toshiba-Westinghouse. Ne sono stati completati due a Vogtle a costi più che raddoppiati (a partire da cifre ben superiori di quelle previste nel caso degli EPR). I costi medi dell’elettricità sono fuori mercato; secondo la banca d’affari Lazard i costi oscillano tra i 169 e 228 dollari al Megawattora.
Per il nucleare di IV generazione, invece, si è sostanzialmente al palo, al di là del battage che si fa sui reattori veloci raffreddati a piombo fuso. In settant’anni di storia della tecnologia nucleare nessun “reattore innovativo” è mai diventato uno standard industriale.
Tuttora tre quarti della potenza nucleare funzionante è costituita da reattori ad acqua pressurizzata (PWR) e anche i reattori allo “stato dell’arte” EPR (1630 MWe) e AP1000 (1100 MWe) fanno parte della stessa categoria.
I fantomatici SMR del governo
Di “piccoli reattori modulari” si parla da 30 anni e, finora, non se n’è costruito nessuno in nessun Paese occidentale. Che si possano tagliare i costi costruendo reattori più piccoli è controintuitivo: la costante crescita delle potenze installate è stata motivata soprattutto dall’obiettivo di ridurre i costi dell’elettricità. Obiettivo fallito: l’EPR che abbiamo citato è il reattore can la maggior potenza mai costruito (1630 MWe netti).
Farne piccoli ma in serie, questa sarebbe l’idea. Già scartata dal Politecnico di Milano negli anni 90’ (progetto IRIS) proprio perché i costi, anche producendoli in serie, erano troppo alti.
La startup americana NuScale da oltre 16 anni ha investito miliardi per sviluppare un piccolo reattore modulare ad acqua pressurizzata – l’ultima versione da 77 MW da assemblare in gruppi – ha abbandonato il primo progetto in Utah per una centrale con 6 unità per un totale di 462 MW. Durante la progettazione ha scoperto che i costi dell’elettricità sarebbero stati maggiori di quelli dei due AP1000 della centrale di Vogtle. Per l’abbandono del progetto la NuScale è stata oggetto di azione legale da parte degli investitori.
Gli altri progetti “meno irrealistici” – per la dimensione ed esperienza delle aziende che li promuovono - sono sempre basati sulla tecnologia dei reattori ad acqua pressurizzata. La francese EDF aveva da tempo promosso il suo SMR di nuova concezione NuWard. Nel 2024, dopo quattro anni di investimento su un progetto di unità da 170 MW lo ha abbandonato, perché le tecnologie ancora non sono disponibili. Ha ridefinito il progetto – cui ora partecipa anche Ansaldo - puntando a un reattore da 400 MW ad acqua pressurizzata. La Westinghouse ha, ancora sulla carta, il progetto di una versione piccola dell’AP1000, l’AP300 (300 MW). Aveva proposto al governo italiano di costruirne nei vecchi siti nucleari, ma pare senza aver avuto risposte. I progetti di SMR qui citati non sono proprio “piccoli”: hanno tutti potenze maggiori di quelle di tre dei vecchi reattori italiani (Trino Vercellese, Latina e Garigliano).
Il rapporto Confindustria-ENEA uscito recentemente valuta il costo dell’elettricità dei futuribili SMR tra 70 e 110 $/MWh. Un valore al momento totalmente non giustificabile se confrontato con l’analisi di casi reali (come quello della NuScale) e irrealisticamente ottimista rispetto alle analisi effettuata, ad esempio dall’IEEFA in uno studio focalizzato sui principali progetti statunitensi.
I sogni, e le solide realtà
Una famosa pubblicità usava questo slogan: “non sogni ma solide realtà”. Uno slogan che è agli antipodi del battage pro-nucleare del governo e di parte dell’industria italiana. La storia del nucleare nei Paesi che sono i leader in occidente di questa tecnologia ne mostra la profonda crisi; crisi alla quale né la Francia né gli USA pensano di rispondere con gli SMR. La Francia punta all’EPR2, una versione semplificata dell’EPR – progetto che la Cour des Comptes ha chiesto di rinviare finché non siano state superate le criticità dell’EPR – e l’analisi del MIT – ottimistica rispetto ai costi dei primi AP1000 se confrontata con le analisi finanziarie della banca d’affari Lazard – mostra che, anche costruendo 20 GW di potenza nucleare, l’SMR AP300 produrrà comunque sempre a costi superiori di quasi il 50% rispetto all’AP1000.
Tutti i progetti di SMR qui citati – che appaiono i “meno irrealistici” – sono reattori ad acqua pressurizzata, di gran lunga la tecnologia dominante in campo nucleare. Nessuno è “intrinsecamente sicuro”: sono semplicemente più piccoli dei “fratelli maggiori” ma per produrre la stessa quantità ne vanno costruiti proporzionalmente un numero superiore. Nulla di “più sicuro” né tantomeno di “nucleare sostenibile”.
Le solide realtà in campo energetico si chiamano rinnovabili, batterie e diverse tipologie di accumuli, reti elettriche intelligenti, maggior connessione delle reti tra Paesi e aree geografiche. Il resto – nucleare da fissione e, ancor più, da fusione – fa parte di un immaginario del passato energetico, specie per un Paese come l’Italia che da decenni cincischia per la gestione dei rifiuti nucleari e che non può permettersi di fare scommesse a debito.