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Dieci giorni di trattative e zero decisioni sui vincoli alla produzione: a Ginevra fallisce il vertice Onu per un Trattato internazionale contro l’inquinamento da plastica

 |  Editoriale

Se avete appena fatto una passeggiata in spiaggia e l’avete vista rovinata da rifiuti in plastica, sappiate che c’è una buona notizia: c’è chi non va in vacanza e sta lavorando per risolvere il problema a livello globale. Dopodiché, sappiate anche che è ora arrivata un’altra notizia, tutt’altro che buona, che ridimensiona di molto la prima: i rappresentanti di 184 Paesi che si sono riuniti a Ginevra per mettere a punto un Trattato contro l’inquinamento da plastica, dopo 10 giorni di serrati negoziati, proposte e controproposte, entusiasmanti accelerazioni e brusche frenate, si sono salutati con un nulla di fatto. Il vertice Onu era stato fissato in calendario per mettere sul piatto una normativa stringente riguardante la produzione di oggetti in plastica, ma i lavori sono stati sospesi perché i diplomatici presenti nel Comune svizzero non hanno trovato un’intesa sulla bozza di testo proposta dal presidente del comitato negoziale, Luis Vayas Valdivieso.

La commissaria europea per l’Ambiente, Jessika Roswall, ha sottolineato con una dichiarazione diffusa tramite la piattaforma social X che è importante «ottenere un trattato globale sulla plastica perché sappiamo che la posta in gioco non potrebbe essere più alta» e che «l’inquinamento da plastica è una delle crisi più significative della nostra epoca e la nostra responsabilità di agire è chiara». Ma il vertice Onu si è chiuso sì con il via libera a un documento che riconosce la natura «insostenibile» degli attuali livelli di produzione e consumo di plastica, che sottolinea sì l’importanza di «un’azione globale», ma al di là delle buone intenzioni e dell’elenco delle necessità, il testo approvato dai 184 paesi presenti a Ginevra non introduce alcun limite vincolante alla produzione di questo materiale altamente inquinante.

Numerose Ong e associazioni ambientaliste denunciano non solo l’esito fallimentare del vertice, ma le stesse norme alla base di questi appuntamenti. Il problema è emerso in tutta evidenza in questi giorni di confronto in Svizzera: diversi Paesi, tra cui l’India, l’Arabia Saudita, l’Iran, il Kuwait, il Vietnam, e per alcuni aspetti anche Stati Uniti e Cina, hanno portato al tavolo molti paletti difficilmente assimilabili, ribadendo anche che un Trattato contro l’inquinamento da plastica non può essere approvato senza il consenso unanime delle nazioni presenti. Un’impostazione duramente criticata da Greenpeace, Wwf e altre sigle del mondo ambientalista, che sottolineano invece l’opportunità di approvare alcune norme anche a maggioranza, se necessario alla lotta all’inquinamento provocato da questo materiale.

Spiega Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Panda: «Dopo quasi due settimane di negoziati tesi siamo ancora lontani da un trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica. Quello che abbiamo visto e sentito negli ultimi 10 giorni non è abbastanza. Pur offrendo una visione forte, era evidente che la maggioranza ambiziosa non era disposta a utilizzare appieno gli strumenti multilaterali a sua disposizione per garantire la serie di regole globali vincolanti richieste dal Trattato. Se gli ultimi 10 giorni ci hanno mostrato qualcosa, è che cercare un consenso unanime non ci consegnerà il Trattato che il mondo ha chiesto e i nostri leader hanno promesso».

Le imprese, il mondo scientifico, la società civile e gli altri stakeholder rilevanti hanno fatto la loro parte nel presentare le prove e nel sostenere la causa di un Trattato significativo e vincolante, ma ora sta ai vertici delle nazioni che portano avanti i negoziati fare la propria parte. «Il fallimento nel trovare un accordo a Ginevra è una amara delusione», sottolinea Zaynab Sadan, Global plastics policy lead del Wwf e capo della delegazione di Inc-5.2. «Quello che abbiamo visto a Ginevra è che la stragrande maggioranza degli Stati del mondo ha espresso la volontà e l’allineamento per un Trattato efficace per porre fine all0inquinamento da plastica. Questo dà speranza per il futuro. Tuttavia, una minoranza di Paesi oppositori e un processo decisionale basato sul consenso unanime ci lasciano senza aver raggiunto il risultato ambito e dimostrano che quest’approccio non è funzionale nei negoziati internazionali sull’ambiente. Continuare senza un cambiamento radicale nel processo decisionale, senza dare il giusto peso alle richieste della maggioranza, sarebbe inutile. Chiediamo quindi ai leader di non lasciare che tutto il lavoro fatto in questi anni vada sprecato e di sfruttare questa opportunità per costruire il Trattato che la maggioranza ha chiesto fin dall’inizio. Portare il trattato oltre il processo Inc è la via da seguire per andare oltre i vincoli dettati da una minoranza con ambizioni basse, aprendo la strada a un Trattato degno di questo nome».

Tra l’altro, come sottolinea Plastic Free Onlus, associazione ambientalista italiana nata nel 2019 e oggi presente in oltre 40 Paesi, le divergenze emerse tra le nazioni al tavolo, che rischiano di diventare un ostacolo difficilmente superabile, riguardano questioni centrali: dai meccanismi di finanziamento alla portata vincolante del testo, fino alla menzione degli effetti delle microplastiche sulla salute umana e perfino al titolo stesso del trattato. «Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo, Stati Uniti e Cina mantengono una posizione di assoluta intransigenza, respingendo ogni tentativo di mediazione», denuncia l’associazione. «L’inquinamento da plastica - sottolinea Luca De Gaetano, fondatore e presidente di Plastic Free Onlus - è una crisi globale che sta avvelenando oceani, cibo, acqua e perfino i nostri corpi. I negoziati in corso sono un momento cruciale: la comunità internazionale non può permettersi un trattato annacquato o rinvii che comprometterebbero il futuro delle prossime generazioni».

Il problema riguarda non solo la tutela dell’ambiente, il che già di per sé è grave e necessita di un tempestivo intervento di carattere normativo, ma rappresenta anche una vera e propria emergenza sanitaria. Come ha recentemente evidenziato Greenpeace con il dossier “Every Breath You Take”, la produzione petrolchimica per la filiera della plastica espone al rischio d’inquinamento atmosferico oltre 51 milioni di persone in 11 Paesi nel mondo. Un dato che per Greenpeace sottolinea ancor di più l’urgenza di un Trattato globale ambizioso che preveda una drastica riduzione della plastica entro i prossimi 15 anni, per proteggere la salute delle persone, il clima e l’ambiente. L’appello, dopo il buco nell’acqua di Ginevra, è a rivedere l’impostazione decisionale in sede Onu e a non perdere ulteriori mesi per mettere in campo vincolanti limiti alla produzione di plastica.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.