Israele nella Striscia di Gaza oltre agli operatori sanitari uccide anche i giornalisti, per provare a soffocare la verità. L’Onu: «È scioccante mettere a tacere le ultime voci rimaste che denunciano la morte silenziosa dei bambini e la carestia»
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele «si rammarica profondamente per il tragico incidente» causato ieri dalle forze armate israeliane, in cui almeno 20 persone sono state uccise nell'ospedale di Khan Younis tra cui quattro operatori sanitari e cinque giornalisti. Altre cinquanta persone sono rimaste ferite, tra cui pazienti gravemente malati che stavano già ricevendo cure.
Difficile pensare si tratti davvero di un incidente, considerato che è stato colpito direttamente l'edificio principale dell'ospedale – che ospita il pronto soccorso, il reparto di degenza e l'unità chirurgica –, e che nella Striscia di Gaza oltre 240 giornalisti sono già stati uccisi dall’esercito israeliano negli ultimi due anni.
La protezione dei giornalisti è garantita dal diritto internazionale, ma Israele sta deliberatamente violando la Risoluzione 2222 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, adottata un decennio fa per proteggere i giornalisti in tempo di guerra, come sottolinea il direttore generale di Reporter senza frontiere, Thibaut Bruttin.
«Questi ultimi orribili omicidi evidenziano i rischi estremi che il personale medico e i giornalisti affrontano mentre svolgono il loro lavoro vitale nel contesto di questo brutale conflitto», dichiara senza mezzi termini il portavoce delle Nazioni Unite Stéphane Dujarric, che interviene per conto del segretario generale Guterres. Tra gli omicidi di ieri c'è anche quello della giornalista Mariam Abu Dagga, che aveva collaborato con l'Onu lo scorso anno per realizzare un reportage fotografico che descriveva la terribile situazione a Gaza, che nel mentre si è ulteriormente aggravata.
Ancora più duro il commento del Commissario generale dell’Unrwa – l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi – Philippe Lazzarini: «È scioccante mettere a tacere le ultime voci rimaste che denunciano la morte silenziosa dei bambini e la carestia, con l'indifferenza e l'inazione del mondo».
La morte dell'empatia umana è uno dei primi e più rivelatori segnali di una cultura che sta per sprofondare nella barbarie. A dirlo fu la filosofa e storica tedesca di origine ebraica Hannah Arendt, celebre indagatrice della banalità del male che ha attraversato l’Olocausto. Una pulizia etnica che rivive oggi, in nuova forma, sotto gli occhi indifferenti del mondo.
