Cervelli in fuga dagli Usa: leadership scientifica a rischio per assenza di visione politica. La crisi silenziosa della ricerca pubblica spiegata col caso NIH, dove tagliare i fondi oggi significa ritardare le cure di domani
Negli ultimi decenni, l’innovazione biotecnologica è nata in gran parte nei laboratori pubblici, grazie al sostegno costante di enti finanziatori come il National Institutes of Health (NIH). Questo organismo rappresenta il principale ente pubblico statunitense per la ricerca biomedica, con un budget che nel 2025 ha raggiunto circa 48 miliardi di dollari.
Tuttavia, a partire dal 2026, con l’Amministrazione Trump è previsto un taglio del finanziamento di quasi il 50%, una misura drastica che rischia di compromettere l’intero ecosistema della ricerca. L’impatto è stato immediato: licenziamenti su larga scala, chiusura di laboratori, e una drastica riduzione delle risorse disponibili per progetti che spaziano dall’oncologia alla salute mentale, dalla genetica ai vaccini, passando per malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla e autismo.
La comunità scientifica ha già reagito: oltre 340 dipendenti del NIH hanno firmato la “Bethesda Declaration”, una lettera aperta che denuncia l’interruzione di oltre 2.100 progetti di ricerca, per un valore stimato di 9,5 miliardi di dollari, e la cancellazione di contratti per ulteriori 2,6 miliardi. Questa mobilitazione sottolinea l’urgenza e la gravità della situazione.
Il problema, tuttavia, va ben oltre i numeri. In assenza di finanziamenti adeguati, viene spezzata la catena dell’innovazione: è grazie ai fondi pubblici e filantropici che i centri di ricerca possono sviluppare nuove conoscenze, testare approcci terapeutici innovativi, individuare biomarcatori precoci per la diagnosi, progettare sistemi di imaging avanzati e, nei casi di successo, brevettare le scoperte a beneficio dell’istituzione e della collettività. Da questi brevetti nascono molte startup e biotech che trasformano la scienza di base in soluzioni cliniche concrete.
Ridurre il sostegno alla ricerca significa interrompere questo ciclo virtuoso, con un effetto a catena su tutto il settore sanitario e tecnologico. È una decisione che sta già allontanando talenti e la fuga di cervelli si sta spingendo verso Europa e Asia, e compromette il ruolo di leadership scientifica che gli Stati Uniti hanno costruito in oltre mezzo secolo. Infatti di fronte a questa instabilità, molti professionisti del settore già guardando con interesse a Paesi che stanno investendo massicciamente in scienza e innovazione e Germania, Canada, Singapore e Corea del Sud emergono come principali destinazioni, mentre altri scelgono il rientro in atri paesi Europei approfittando dei nuovi fondi PNRR e Horizon Europe. A confermare questo esodo è un sondaggio pubblicato su Nature, a fine marzo 2025 che con circa 1.200 ricercatori statunitensi intervistati, ha mostrato che il 75% dei partecipanti sta considerando di lasciare gli Stati Uniti per continuare la propria carriera altrove, soprattutto in Europa o in Canada.
A catalizzare ulteriormente il fenomeno è anche l’ascesa di hub scientifici emergenti come quelli in Arabia Saudita (es. NEOM e KAUST), che offrono infrastrutture d’avanguardia, compensi competitivi e libertà di ricerca. In un contesto globale sempre più competitivo, gli Stati Uniti rischiano di perdere la propria leadership scientifica, non per mancanza di talento, ma per assenza di visione politica e investimento strutturale nella ricerca.
Nel mondo di oggi, dove le sfide sanitarie sono sempre più complesse e globali, investire nella ricerca non è un lusso, ma una responsabilità etica, strategica e civile. Tagliare i fondi oggi significa ritardare le cure di domani.