Lo spreco della fiducia: smantellare la cooperazione internazionale ci lascia tutti vulnerabili. La ritirata Usa può tradursi in 14 milioni di morti in più entro il 2030, e dilapida il capitale sociale collettivo che teneva insieme le nostre società
In Nepal centinaia di veicoli di dell’Usaid – l'Agenzia governativa statunitense per lo sviluppo internazionale – giacciono in un deposito a pagamento; in Guatemala defibrillatori e tablet sono stati svenduti per pochi dollari; in Afghanistan quasi 500 tonnellate di alimenti terapeutici e milioni di contraccettivi sono stati inceneriti (The Atlantic, 2025). È il “fire sale” di Usaid: oltre 5.000 progetti cancellati in più di 120 paesi, con un costo stimato di 6 miliardi di dollari l’anno (Usaid Memo, 2025). Secondo The Lancet, questo arretramento potrebbe tradursi in 14 milioni di morti in più entro il 2030 (The Lancet global health, 2025). Non è solo denaro sprecato: è la distruzione di fiducia che teneva insieme governi, comunità e donatori.
Chi lavora sul campo sa che lo sviluppo non è solo costruire ospedali o pozzi. Nel nord del Mozambico, un’impresa privata tentava di portare sementi migliorate in aree remote. Non era carità: era business. Il ruolo dei donatori era ridurre i costi di sperimentazione in un mercato fragile, accelerando soluzioni sostenibili che da sole non avrebbero mai visto la luce. Questo è sviluppo: rendere possibili mercati e istituzioni più resilienti, costruire fiducia passo dopo passo.
Il Regno Unito lo aveva anticipato nel 2020, riducendo l’aiuto allo 0,5% del reddito nazionale lordo e fondendo il Dfid nel Foreign office, creando l’Fcdo. Fu un segnale: un’istituzione che per decenni aveva incarnato la solidarietà multilaterale veniva assorbita nella logica della politica estera. Oggi la ritirata americana spinge questo passaggio ancora più in là. Non si tratta solo di tagli: con Trump la cesura è stata culturale e strutturale. Interi settori sono stati messi fuori gioco – la cooperazione, il cambiamento climatico, i diritti Lgbt – non come errori di bilancio ma come un attacco alle culture e alle essenze che li sostenevano. Migliaia di persone, di ogni nazionalità, hanno perso il lavoro in tutti i paesi dove c’era Usaid, cancellando progetti che vivevano nell’intersezione fra interessi e speranze di due paesi. È quella dimensione multiculturale, quel limbo fraterno della cooperazione internazionale, ad essere stata spazzata via.
Oggi vivo a Washington DC, dopo aver passato ventidue anni in Africa e America Latina. Intorno a me ci sono colleghi che, come me, hanno speso la vita a guardare oltre il proprio giardino, a creare reti globali, a portare innovazioni da un Paese all’altro. Persone con competenze uniche, senza lavoro e smarrite in una crisi esistenziale. Perché il messaggio è chiaro: l’internazionalismo non serve più, la solidarietà non è più una priorità. Non si sono solo tagliati fondi: si è spezzata una comunità, disperso un capitale sociale collettivo che teneva insieme le nostre società.
Smantellare la cooperazione internazionale non significa solo ridurre spese. Significa cancellare fiducia, reti e multiculturalità. E senza fiducia, la capacità del mondo di affrontare sfide comuni evapora.