Rotta verso Gaza, la Global Sumud Flotilla non si ferma. Annalisa Corrado a greenreport: «La decarbonizzazione resta lo strumento per la pace più potente che abbiamo»
Stanotte il governo israeliano ha lanciato l’offensiva finale contro Gaza city, un’invasione portata avanti coi carri armati mentre i bombardamenti aerei spianano la strada, con calcolata ferocia contro ogni regola del diritto internazionale. Si tratta di genocidio, oggi c’è anche il rapporto della Commissione indipendente incaricata dall’Onu a confermarlo: «La Commissione ritiene che Israele sia responsabile del genocidio commesso a Gaza», afferma senza ombra di dubbio la presidente della Commissione, la magistrata sudafricana Navi Pillay. Eppure i carri armati avanzano. Ma dove le istituzioni falliscono, c’è la società civile a tenere alta la bandiera dell’umanità: i volontari della Global Sumud Flotilla hanno deciso, nonostante la catastrofe in corso – o meglio, a maggior ragione – faranno rotta verso la costa gazawa col loro carico di aiuti umanitari.
«La missione non si ferma nemmeno dopo l'attacco via terra a Gaza city. Aumenteranno ulteriormente i bisogni della popolazione civile e dunque la necessità di aprire il corridoio umanitario via mare. Auspichiamo che i governi europei davanti a questa escalation, a partire da quello italiano, rompano gli indugi e supportino la missione della Flottilla. Con ogni mezzo», dichiarano i parlamentari del Partito democratico a bordo della flotilla, Annalisa Corrado e Arturo Scotto.
«Siamo in rada a Portopalo di Capopassero, stiamo aspettando le barche in arrivo dalla Tunisia – conferma telefonicamente a greenreport Corrado, ecologista di lungo corso e responsabile Conversione ecologica del Pd nazionale – Dovrebbero raggiungerci tra stanotte e domani, poi faremo rotta in mare aperto verso le acque di Gaza, avanzando alla velocità del più lento». Non ci sono altre tappe intermedie in programma, fatta salva la possibilità di soste tecniche, ad esempio se il maltempo dovrebbe frenare le piccole imbarcazioni. Ma i rischi maggiori, è evidente, arrivano dalle minacce di Israele.
«Lo scopo umanitario della nostra missione è intatto se non ancora più urgente – argomenta Corrado – Ci muoviamo totalmente nel rispetto del diritto internazionale, quindi noi avanziamo protetti innanzitutto da quello. Chiediamo ai governi di muoversi per far sentire la loro voce a Netanyahu e per aiutarci anzi ad aprire dei canali umanitari. Se non il nostro, altri. Vogliamo usare la nostra missione per rendere urgente quello che si erano dimenticati lo fosse, evidentemente».
I canali istituzionali per portare i necessari aiuti umanitari alla popolazione gazawa, come l’iniziativa Food for Gaza ricordata dalla presidente Meloni, sono assolutamente insufficienti quando non irrispettosi della dignità umana dei cittadini: paracadutare gli aiuti dal cielo, anziché portare conforto, rischia di provocare risse e ancora più vittime. Ma, dietro pressione della società civile, dal Governo inizia ad arrivare anche qualche rassicurazione per l’incolumità dei volontari.
«Facciamo affidamento sulla promessa di Meloni di attivare tutti i meccanismi di protezione diplomatica che si devono a cittadini italiani che non stanno facendo niente contro legge – aggiunge Corrado – non è arrivata a dire ciò che ha garantito Sánchez (il primo ministro spagnolo, ndr), ovvero l’incremento della protezione consolare e diplomatica a tutti gli spagnoli a bordo, cosa che avremmo gradito, ma vigileremo sugli impegni presi».
Nel frattempo i canali ministeriali sono pienamente attivi. «Siamo in contatto continuo con l’unità di crisi della Farnesina, con cui abbiamo un ottimo rapporto – sottolinea Corrado – Hanno messo a disposizione un canale d’attenzione privilegiata a questa missione. Dal punto di vista tecnico, il ministero degli Esteri ci sta supportando, sebbene non aiutino le parole pronunciate stamani dal ministro, per il quale i volontari navigano a loro rischio e pericolo. Non è così. Ciò che manca è una maggiore copertura politica, ma si stanno aprendo degli spazi, come confermano peraltro le aperture dei ministri Crosetto e Giuli. È bene ricordare che, se i volontari sono qui, è perché non ci sono né i governi né le istituzioni europee: la società civile si sta prendendo la responsabilità di pericoli che non gli spetterebbero. E quindi il minimo che devono fare le istituzioni è mettersi a disposizione per proteggere quest’operazione». Anche attivando l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera Frontex, come suggerito su queste colonne dall’ammiraglio Caligiore? «Sarebbe un segnale molto potente, molto giusto», risponde Corrado.
In attesa di risposte, la mobilitazione che è riuscita a mettere in campo la flotilla è già un successo. «Questa missione umanitaria sta raggiungendo una dimensione che è superiore a noi, alle istituzioni, ha una portata simbolica di livello storico. Tutte le centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza, che hanno raccolto aiuti, che si stanno mobilitando, ci fanno sentire continuamente che non siamo soli – osserva Corrado – È un risveglio di coscienze e di possibilità di avere un impatto collettivo, come mostra il crescente numero di Stati che chiede il riconoscimento dello Stato di Palestina, o la risoluzione dell’Europarlamento su Gaza della scorsa settimana. Fino a poco tempo fa sembrava impossibile».
L’altra nota positiva è che s’iniziano finalmente a unire i puntini tra sostenibilità ambientale e socio-economica, perché non c’è sviluppo sostenibile in un mondo senza rispetto per i diritti umani. E non a caso gli ecologisti sono in prima fila – o direttamente a bordo, come nel caso di Corrado – a sostenere la flotilla.
«Gli ambientalisti moderni – chiosa Corrado nel merito – sanno che le battaglie sono intersezionali, quindi che non c'è giustizia ambientale senza giustizia sociale. Ma c’è di più, perché parafrasando Falcone (segui i soldi, troverai la mafia, ndr) per capire la guerra occorre seguire i combustibili fossili. Sui territori occupati della Cisgiordania passano infrastrutture con le quali Israele gestisce il gas che poi arriva anche in Europa; nell’area marittima della Palestina c’è uno dei più grandi giacimenti offshore di gas scoperti nel Mediterraneo, che Israele sta gestendo come se fosse interamente suo e ha concesso licenze anche a Eni, notizia che solo greenreport e pochissimi altri giornali hanno riportato in Italia. Checché se ne dica, dietro le guerre s’intravedono sempre interessi nell’accaparramento di risorse e infrastrutture fossili: per questo la decarbonizzazione resta lo strumento proattivo per la pace più potente che abbiamo».