Pace o sottomissione? Al via in Egitto i negoziati sul piano Trump per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas
Secondo i dati messi in fila dal ministero della Salute palestinese, sono almeno 67.160 le persone uccise da Israele nella guerra iniziata nell’ottobre 2023, e altre 169.679 sono state ferite a causa degli attacchi israeliani a Gaza; anche nelle ultime 24 ore il genocidio in corso sta continuando – con 21 morti palestinesi e 96 feriti – mentre le delegazioni di Hamas e Israele si sono riunite oggi a Sharm el-Sheikh per avviare i colloqui negoziali sul piano in 20 punti avanzato da Donald Trump per arrivare a un cessate il fuoco.
Partire dal dato di realtà significa riconoscere che oggi non c’è un’alternativa migliore da provare a percorrere, con un risultato in primo piano: se accettato, il piano prevede la fine immediata delle ostilità, il rilascio di tutti gli ostaggi in un'unica tranche, la non annessione da parte di Israele della Striscia di Gaza e la possibilità per i cittadini di Gaza di rimanervi se lo desiderano. Al contempo, il piano mostra enormi limiti.
Come sottolineano dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ipsi) i palestinesi non hanno preso parte ai negoziati e le regole di attuazione sembrano gravemente sbilanciate, ponendo un ampio potere nelle mani di un "Consiglio per la Pace" – con alla guida Tony Blair, inviso al mondo arabo per aver partecipato con George Bush all’invasione dell’Iraq da premier britannico – la cui natura e composizione non sono chiare.
«È importante sottolineare che i leader arabi sanno che escludere i palestinesi dalla determinazione del proprio destino e privarli dei loro diritti e l'autodeterminazione è un piano che legittima l'occupazione permanente e la sottomissione dei palestinesi ed è improbabile che funzioni o riceva il sostegno popolare nella regione», dichiara nel merito Tamara Kharroub, vicedirettrice esecutiva e senior fellow dell’Arab Center di Washington DC.
Innanzitutto, per quanto riguarda il ritiro delle forze israeliane (Idf) da Gaza, il piano prevede semplicemente un processo articolato in tre fasi, senza definire alcun calendario, lasciando inoltre aperta la possibilità che l’esercito israeliano rimanga in una zona cuscinetto. La creazione di uno Stato palestinese è riconosciuta come un’aspirazione del popolo palestinese, ma la sua legittimità non è parimenti riconosciuta e, soprattutto, il piano non fa alcun riferimento a prevenire l’annessione israeliana della Cisgiordania. Il ruolo dell’Autorità Nazionale Palestinese risulta secondario e subordinato a riforme per le quali non è previsto alcun termine temporale, né vi è menzione di future elezioni. Infine, non è specificato se il mandato della Forza internazionale di stabilizzazione – incaricata di garantire la sicurezza della Striscia e il disarmo di Hamas – sarà conferito dalle Nazioni Unite, come avviene di norma nelle situazioni post-belliche.
In una dichiarazione rilasciata dal suo portavoce, il segretario dell’Onu Guterres ha affermato che è ora «fondamentale che tutte le parti si impegnino a raggiungere un accordo e a metterlo in atto», ribadendo il suo appello «per un cessate il fuoco immediato e permanente, per un accesso umanitario senza restrizioni in tutta Gaza e per il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi», e «spera che ciò crei le condizioni che consentano la realizzazione della soluzione dei due Stati».
Al contempo, gli esperti dell’Onu evidenziano la speranza di un cessate il fuoco permanente a Gaza, ma hanno avvertito che qualsiasi piano di pace deve assolutamente salvaguardare i diritti umani dei palestinesi e non creare ulteriori condizioni di oppressione: «Imporre una pace immediata a qualsiasi prezzo, senza riguardo o sfacciatamente contro la legge e la giustizia, è la ricetta per ulteriore ingiustizia, violenza futura e instabilità». I colloqui in corso in Egitto sono dunque l’opzione migliore che abbiamo per mettere un freno alla mattanza, ma la strada tra pace e sottomissione per la Palestina si fa sempre più stretta.