Città spugna contro il consumo di suolo. Per rispondere ai crescenti rischi naturali servono politiche convergenti su verde urbano, qualità dell’aria e buona gestione dell’acqua
La sintesi del nuovo rapporto Ispra-Snpa sul consumo di suolo 2025, appena pubblicato, racconta con chiarezza la gravità del fenomeno: «Nel 2024 l’Italia ha perso 83,7 kmq di suolo naturale, il valore più alto degli ultimi dodici anni, con un ritmo di 2,7 mq al secondo. Le rigenerazioni coprono solo 5 kmq, portando il consumo netto a 78,5 kmq e oltre 21.500 kmq di territorio ormai impermeabilizzato (7,17% del totale). Le aree più colpite sono Lombardia, Veneto, Campania e la pianura Padana, dove crescono cantieri, logistica e fotovoltaico a terra. Il danno economico dei servizi ecosistemici perduti è stimato in oltre 10 miliardi l’anno. Ispra e Snpa ricordano l’obiettivo di azzerare il consumo netto di suolo entro il 2050 e di potenziare le politiche di rigenerazione urbana e naturale».
In queste parole si ritrovano tutti gli elementi critici del problema italiano: nonostante gli impegni formali e le dichiarazioni politiche, il consumo di suolo continua la sua corsa, spesso accelerando, come in un eterno gioco infantile in cui, dopo ogni trasgressione, si promette di “non farlo più”. L’Italia sembra incapace di pensare a un’azione realmente “antropica” di difesa e recupero degli spazi naturali: se agiamo, consumiamo. E anche le diverse direttive europee – da ultimo la Nature restoration law (il Regolamento Ue 2024/1991), che impone di restaurare almeno il 20% delle aree terrestri e marine entro il 2030 e tutti gli ecosistemi degradati entro il 2050 – non riescono a invertire la tendenza, lasciando le rigenerazioni su numeri irrilevanti.
I territori diventano sempre più “urbanizzati”, si realizza una perdita netta di servizi ecosistemici, di cui quasi nessuno nelle diverse località ha una esatta percezione se non quando la perdita diventa “esagerata e visibile”, e si perde il contributo della “natura” a mitigare i rischi meteoclimatici (alluvioni pluviali e fluviali, ondate di calore, incendi e siccità).
Sono tanti i punti su cui lavorare per mettere un freno quantitativo all’attuale trend dissipativo di suolo naturale. Tanti punti, ma se dobbiamo cominciare da alcune priorità, metterei in testa all’agenda dei prossimi venti anni la rigenerazione urbana ambientalmente sostenibile. Cioè, al di là degli aspetti quantitativi del consumo di suolo, magari da misurare attentamente con monitoraggi, troppo spesso burocratici, dei “target” da raggiungere, dedicherei tutti gli sforzi a ricostruire le città secondo principi naturalistici e di vivibilità.
Le città sono i luoghi dove vive, e vivrà sempre di più, la gran parte della popolazione e dove si svolge, spesso in maniera caotica e disordinata, la vita della comunità. La crescita della città ha perlopiù seguito percorsi funzionali di tipo “produttivo” e “riproduttivo” (casa, salute, istruzione, ricreazione, etc) con scarsa attenzione alle funzioni naturali del territorio. Quindi con grande sacrificio di spazio e di attenzione del verde, dell’acqua, dell’aria e di tutto ciò che di naturale esprimevano i luoghi.
Ecco, a mio avviso, la priorità che si pone nell’attuale fase dello sviluppo e in considerazione degli effetti, già ampiamente visibili, del cambiamento climatico è non tanto risparmiare dalla speculazione edilizia qualche prato verde, cosa saggia e da perseguire comunque, quanto piuttosto riportare elementi e funzioni di approccio naturalistico dentro le città specie laddove questi elementi e queste funzioni erano state maggiormente dimenticate nella specifica evoluzione urbana, prodotta dalla “storia urbanistica” di ogni singola realtà territoriale.
Il primo elemento è il verde urbano. Liberato da una sorta di marginalità rispetto alle zone importanti, quelle ricche dove si produce, e liberato anche dalla logica degli “standard”, spesso utili solo a ritagliare prati e giardini “avulsi” dalla vera vita della città, il verde urbano deve riprendersi il posto che gli spetta. Essere parte della parte vissuta e del paesaggio urbano della città. Rendendo, in tal modo, un duplice contributo alla vivibilità dei luoghi con l’abbassamento della temperatura urbana e con il miglioramento della qualità dell’aria e del paesaggio.
Il secondo elemento è, appunto, la qualità dell’aria. A differenza delle visioni “distopiche”, la qualità dell’aria registra nei principali centri urbani del paese trend di netto miglioramento. Ma ancora non basta. Si tratta di un tema che non può essere messo ai margini dell’interesse delle amministrazioni locali solo perché, a parte casi estremi, è una risorsa la cui qualità non è sempre percepibile dalla popolazione. Ma è una risorsa fondamentale per la vita dei cittadini, per la loro salute e il loro benessere. Verde urbano e aria pulita sono tematiche che si integrano a vicenda. La rigenerazione delle città deve tenere conto di questi elementi in termini di priorità assoluta.
Ed infine l’acqua. Il ciclo dell’acqua non ha mai fatto parte, o quasi mai, delle strategie urbanistiche delle città. I piani urbanistici si sono interessati dei fiumi in quanto connessi alla città costruita e perlopiù come vincolo da superare per tenere unita la città. Non è un caso che questa unificazione abbia portato molte, troppe volte, all’intubamento dei corsi d’acqua. Appunto, togliamo la discontinuità prodotta dallo scorrimento dell’acqua, per rendere il sistema più coeso e integrato.
E invece il ciclo dell’acqua, la sua comprensione, la sua difesa e l’utilizzo dei suoi servizi, appare centrale nella vita della città e, ancora di più, a fronte degli effetti del cambiamento climatico.
Il ciclo dell’acqua nell’area vasta di bacino, all’interno della quale si situa la città, e all’interno del perimetro più strettamente urbano, ha importanti riflessi sui due fenomeni critici che accompagnano i territori in questa fase meteoclimatica: e cioè la mancanza di acqua, con eventi siccitosi ricorrenti, e l’eccesso di acqua che porta con sé fenomeni franosi, alluvioni fluviali e allagamenti di natura pluviale. Si tratta di fenomeni complessi e di non facile risoluzione, ovviamente specifici per frequenza e gravità di ogni singola località del paese. E che richiedono mix di interventi strutturali e non strutturali tesi a mitigare le criticità e a prevenire i danni con sistemi di prevenzione e di allertamento fondati su forme tecnologicamente avanzate di formazione e informazione dei cittadini.
Il tema emergente della rigenerazione urbana sostenibile entra a pieno titolo in questo sistema di costruzione di una città resiliente verso i rischi naturali.
La prima politica riguarda, con evidente legame diretto con le politiche contro il consumo di suolo, la liberazione di strutture urbanizzate e il divieto assoluto di crearne di nuove in aree a rischio idrogeologico (oltre che sismico). Se è difficile fare la delocalizzazione è invece più agevole porre vincoli assoluti di nuova edificazione in aree a rischio.
La seconda politica riguarda invece la trasformazione dell’area urbanizzata in città spugna. La città spugna è come un ecosistema vivente capace di assorbire, trattenere e riutilizzare l’acqua in modo naturale, riducendo al minimo gli effetti estremi delle piogge intense e dei periodi di siccità. La sua struttura funzionale si basa su un insieme integrato di spazi permeabili, infrastrutture verdi e blu e sistemi di gestione intelligente delle acque meteoriche.
Le superfici impermeabili vengono progressivamente sostituite o integrate da parchi, giardini pluviali, tetti verdi e pavimentazioni drenanti, che permettono all’acqua di infiltrarsi nel suolo e ricaricare le falde invece di defluire rapidamente verso i sistemi fognari. Le reti idriche urbane si trasformano così in circuiti “lenti”, dove l’acqua piovana viene temporaneamente accumulata in bacini, laghetti o aree di ritenzione e poi restituita all’ambiente o riutilizzata per usi non potabili, come l’irrigazione o la pulizia urbana.
Il sistema è completato da corridoi ecologici e zone umide che favoriscono la biodiversità e regolano il microclima, mentre la pianificazione urbanistica integra la gestione idrica con il disegno degli spazi pubblici, creando città più resilienti, verdi e vivibili.
Appare evidente come il tema del verde urbano, della qualità dell’aria e della buona gestione dell’acqua siano temi integrati e convergenti verso un’idea di città più resiliente che garantisce contemporaneamente sicurezza idraulica, qualità ambientale e benessere urbano.
In conclusione, è fondamentale non consumare altro suolo oltre il 7,17% già impermeabilizzato: un obiettivo importante e non negoziabile. Ma lo è altrettanto – e forse di più – intervenire sul suolo già occupato, per restituirgli funzioni naturali, bellezza, salubrità e valore paesaggistico. Rigenerare non significa solo costruire meglio, ma riconciliare la città con la natura, facendone un’alleata contro i rischi ambientali e un presidio di qualità della vita.